“Ciliegio Cremisi in Sboccio” era il suo Shikona, ovvero il nome da combattimento che gli era stato dato prima di aver disonorato il mondo del Sumo professionistico. Nonostante il rango di Yokozuna, massima aspirazione per un lottatore, per giunta straniero, Gaijin, né giapponese tantomeno asiatico. Era tutto cominciato con le donne e il bere, qualche rissa in locali notturni con la testa ubriaca e la mente ormai annebbiata da una dimensione di totale aggressività, alla quale lo aveva portato lo stile di vita medioevale nipponico imposto dal suo rango. La violenza era ormai il suo linguaggio e i suoi 180 kg per un metro e novanta non avevano aiutato a non sfasciare cose preziose e mandare gente in ospedale, con gravi conseguenze, durante queste sue uscite mondane. Era stato dunque esortato ad abbandonare sia il rango che il Sumo. Un simile comportamento non si confaceva a uno Yokozuna, un grande campione, che doveva anzi essere esempio di eroico decoro alla stregua di un semidio. Ma il culmine giunse quando continuò a disonorarsi anche dopo il ritiro, sotto gli occhi dei media, ricoprendosi di tatuaggi e partecipando a combattimenti di arti marziali miste dalle regole poco trasparenti.