sabato 26 ottobre 2024

Algoritmo di una Zoccola

 


Allora, da dove cominciare? Naturalmente dal principio, che a quanto pare è tragico, ma non credo scatenante, poiché a quanto mi dicesti fosti abusata da bambina. Ma è vero? O volevi solo travestirti da agnello tra i lupi…

Tuo marito però, quel pelato di Cercola, non sa un cazzo di te, e se lo sa glie lo devo risbattere davanti  agli occhi, perché me lo immagino lui quant’è convinto e pure un pò arrogante, allora l’aggia fa suffrì. Perché tu accompagni il tuo figlioletto a scuola e fai la brava mammina, ma la tua fica tra le mutandine ben selezionate è slabbrata come una fisarmonica suonata da un orco dalle mani tozze. Sei sempre stata una puttanella e facevi le seghe(il pesce in mano) a i cuozzi sotto i garage di Cercola, nelle casette popolari di fianco al tuo parco blasonato.

Hai scelto sempre i più infimi, forse per offendermi, offendendo te stessa, tanto lo capirebbe anche un minchione che quest’algoritmo è frutto della rabbia e celebra la tua eterna puttanaggine.

Lo conoscevo bene quel posto, ci ho fumato hashish assistendo i miei amici fare cover dei Nirvana in quelle cantine claustrofobiche. Mi ci sono fatto un piercing mentre bevevo whisky in un appartamento sopra. Tu invece facevi il pesce in mano a Marcello nei sotterranei, e quando me lo disse, Marcello, un tamarro esagerato, un cuozzo senza storia, come ci rimasi male, hai sempre amato questi soggetti, questi bifolchi. E se ci rimasi male io, ci deve rimanere male pure il pelatone della Cercola, che sicuro è un cuozzo pure lui. È normale che tutto ciò non ha valenza letteraria, che il mio pubblico non deve prendermi sul serio, deve solo sapere che hai la fessa sguarrata e questo è il tuo algoritmo.

Crescendo ti lasciai un po’ perdere, chissà quanti te ne sei chiavata, conto bifolchi di San Sebastiano al Vesuvio che non parlavano nemmeno l’italiano, i tristi rappresentanti della razza umana li sceglievi tutti tu, e adesso la troietta accompagna il figlio a scuola.

Poi a chi ti sei chiavata? È così difficile tenere il conto. 

Arrivò internet, nei primi del duemila, e ti aprì un mondo di possibilità. Scopasti gente in camere d’albergo sperando che ti facessero fare l’attricetta (stai ancor a Cercola e accumpagn o creatur a scol). Portasti la tua fica in Grecia, ho pure le foto, a farti sbattere da un certo aspirante pilota di aereoplani, e io venni con te, glie lo dico io al pelato, come mi piacerebbe averlo qui davanti adesso per raccontarglielo bene, sentivo i tuoi gemiti attraverso la parete, ma non soffrivo no, poiché già mi facevi schifo come un polipo che si agita nella melma, il tuo algoritmo già ci aveva separati in maniera indissolubile, fu per questo che venni anch’io, fu una definitiva amputazione della cancrena che eri tu.

Decidesti di fare l’animatrice nei campeggi in Sardegna, mi ci volevi trascinare dentro, fortunatamente rifiutai grazie a qualche Angelo ribelle che mi fece riflettere. Puttana, anche lì scopasti sfigati assurdi, tutte le tue azioni finivano nel bidone infinito della tua fessa sfondata. Il pelato le sa queste cose?

Andasti all’università e ti lasciai perdere, perché non ce la facevo più, riuscisti anche lì a trovare un tamarrello senza macchina che ti eiaculava in giro, in giro credo sia su tutto il corpo che per tutta Napoli nella cinquecento giallo canarino che ti aveva comprato il babbo per chiavare là.

Andasti a Londra, sempre coi soldi di tuo padre, e non oso immaginare quanti cazzi, di quante razze, ti facesti ficcare dentro. Il mio algoritmo è per forza di cose impreciso, quello perfetto puoi tracciarlo solo tu, forse…

Poi hai trovato questo coglione che ti ha sposata, che probabilmente non sa un cazzo di te, che dorme al tuo fianco ogni notte e magari ti schifa pure. Hai un figlio, che non sa quanto sei Troia, ma un giorno forse lo saprà, se incontrerà Marcello, che abita vicino a te, a cui facevi il pesce in mano, o Peppe, che ti scopava in macchina, o me, che ti volevo solo bene, e stanotte ti ho sognata, trauma irrisolto della mia vita disperata.

Dovevi rimanere nella cloaca di Londra, dove tutte le zoccole vengono dimenticate, dove ogni algoritmo si annulla, invece sei voluta tornare riaffiorando dall’oblio come un ratto espulso da una fogna intasata.

Salutami il Pelato e digli che non deve offendersi, perché sono anch’io senza capelli.

Davide Giannicolo

lunedì 7 ottobre 2024

Immagini dal Ghetto

 


Il treno sferraglia sul ponte di fronte al balcone, inquieto ed inquietante il fantasma della carnalità resta immobile sui binari e fissa la donna dalla pelle ambrata nella casa fatiscente.



Denti bianchissimi addentano un frutto troppo acerbo, labbra grosse, laide, suggono il nettare come fosse sangue bianco.



Il fantasma del desiderio, immobile sui binari, estrae un membro liscio e inizia a carezzarlo; La scimmia glabra lo fissa, paralizzata, il frutto nelle mani, silenziosa sul balcone, la veste da casa stretta sui capezzoli turgidi e lunghi come dita.



Il treno che sferraglia nella giungla di cemento, non c’è un albero, sole artificiale, ratti nascosti, mattoni marci, pietre vetuste.

Il fantasma della carnalità sui ciottoli dei binari mentre il treno violenta il silenzio con scintille di metallo, eiacula.



Scene del ghetto, emulo di Masoch ma  più terra terra.

La vulva rossa della donna ha delle scosse, proprio come quelle provocate dal treno che sferraglia. La veste da casa scostata da mano tremante sua propria, adesso anche il suo frutto di carne, dall’acre odore esotico, produce un latte denso che cola lungo le cosce tozze. Dita che frugano irrequiete nel fradicio, luminoso, nerissimo pelo che sormonta la scarlatta bocca affamata e implorante.



Tremore, calore, fuoco nel ventre.

Orgasmo sul balcone nel deserto di cemento, non c’è un albero, non c’è un’anima, il treno si allontana, degrado, vergogna, tremore, sporcizia, bruciore tattile, ferita umida, spossatezza, appagamento, colpa, morte dei sensi, tristezza, olezzo di carne, pelle semisvelata.



Il fantasma della carnalità sorride, anche la scimmia glabra ricambia, masturbazione reciproca, platonica, corpi che vibrano e non si toccano in una magica stregoneria di lontananza. 



Tornerà il giorno dopo, proprio come il treno, in un gioco adulto di trasgressioni urbane e domestiche.

Lui prigioniero dei binari della stazione, lei incarcerata nella cadente casa serraglio dall’intonaco scrostato.

Il silenzio del primo pomeriggio uccide ogni cosa nel quartiere remoto.

Tutto è finito come le gocce viscose e luminescenti del desiderio.

Fino al prossimo treno.

Davide Giannicolo