Macinatore, grattugia arrugginita, ossa e carne, onore distorto, vendetta. Penelope decomposta, Penelope Zombie, lutulenta puttana, catacomba, ritorno, violenza.
Membro di ferro, punizione, estorsione, puntualizzazione, marchio, feticcio.
Penelope assassinata, guanto di ferro, spada, usurpatore legittimo, violenza, sogno rosso come la porpora di ogni ferita, la porpora dei tuoi deliranti vestimenti in un’alba attorniata da onirici cadaveri.
Ritorno, lama, supremazia, atto dispotico, l’usurpatore Lotofago percosso, sanguinante, strisciante ai miei piedi.
Penelope: cazzo nel culo un’ultima volta; sotto il sigillo della mia forza, sotto la morsa della mia presa d’acciaio, tagliola anale di Pancrazio dominante. Non dibatterti Penelope morta: cazzo nel culo un’ultima volta, squartata come un animale al macello, immobilizzata, esposta con le natiche dilatate al massimo da una forza distruttiva pregna di rancore tradito, come hai potuto dimenticare? Questi Proci a banchettare nel mio talamo, il sudore della mia fronte, tutto il cazzo che mi hai rotto ora te lo sbatto nella faccia.
Come hai potuto dimenticare la furia della mia spada? La funesta cupezza della mia ira? Pensavi davvero di poter dormire tranquilli sonni col tenero mollusco sopito tra le tue mani?
Ti repelleva il tocco della mia callosa mano di guerriero, che adesso ti schiaffeggia le molli natiche fino a spaccarti le carni aprendo fontane di sangue.
Vendetta,
Vendetta,
Rancore.
Ridammi ogni mio sogno, ridammi la realtà della mia camera da letto.
Sono tornato e ho con me un vello purpureo, ho ucciso Argo a calci e messo in ginocchio il tuo nuovo me.
Estorsione uccide la mia antica eleganza, sputerò sulla tua vagina, usurpatore Lotofago sconfitto, inerme, implorante, piagnucolante, che cazzo ci fa qui un Lotofago? Come è arrivato dai meandri della sua isola remota fino agli anfratti della prigionia che ti avevo imposto, a frugare convulso nella tua vulva pulsante come un granchio impazzito in una buca?
Anfibio nero nel muso, denti rotti, danni ingenti, voglio i soldi e la tua carne, non sono Ulisse ma un Lestrigone pazzo fuoriuscito da una realtà distorta, piscerò nella tua faccia dopo averla sfregiata.
Specchio in frantumi, calma, sperma, respiri profondi, sangue, guanti neri carezzano il corpo violato di Penelope risorta, umiliata, nuovamente marchiata, purificata. Anfibi calpestano i cocci e i detriti dell’atto cruento di innata violenza, usurpatore Lotofago percosso, strisciante, mugghiante. Nuova vita, sperma e sangue versato, nuove certezze, una nuova alba lontano dalla morte, poiché ove v’è dolore e sangue v’è assenza di morte.
Il Re Teschio, impresso sul possente braccio della violenza, si allontana barcollando, ubriaco di tenebre ed espulso furore.
Sul pavimento distesa in posa di sfinito abbandono solo una puttana stuprata e un povero illuso picchiato gravemente, sperma, sangue e i cocci di vetro di uno specchio infranto.
Davide Giannicolo
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