e con le sue eleganti dita diafane
lo rendeva bello,
bello perfino sfregiato com'era.
La bellezza invadeva i nostri cuori,
fiori di carne,
leggiadri pocomai.
E un abbraccio d'amico
ottenebrava
a volte il dolore.
Ma noi stupidi
volevamo le aquile marchiarci d'onniscenza.
Finchè un giorno,
ferito al volto a causa d'un duello
fui costretto al riposo,
a spartir la solitudine
col mio cane mastino.
Ma la bellezza m'inseguiva,
cangevole d'aspetto,
sempre superba,
dolce solo per uccidere.
Poi ho scordato le alchimie del tempo,
ho lottato con fulmini,
cavalcato diamanti,
e la bellezza non si sà
se mi inseguisse o sfuggisse.
Tarantole insidiose d'alterigia,
mi dissero attraverso le stelle
d'abbandonar me stesso.
così che le Lamie,
credendomi morto
scempino il mio cadavere.
Davide Giannicolo