lunedì 26 gennaio 2015

Notti






Notti 

Il pingue nanetto si avviava verso l'automobile, 
faceva freddo, un aria gelida tagliava le ossa 
cercando di cristallizzarne il midollo.
Eppure qualcosa scaldava il ventre del tizio, 
un coacervo di immagini non ancora disgregate 
dal sonno appena infranto.
Turni di notte, che noia, se non fosse per i 
piacevoli svaghi mai sopiti della propria mente, 
grovigli di speranze pornografiche represse, 
ragazze che a lavoro avrebbero sorriso, 
si sarebbero chinate, mostrando lembi di carne 
intravista e da scoprire, sobbalzi pettorali di 
grosse tette il cui pudore viene distratto dalla fogadel lavoro.
Tutto ciò era per lui, uno spettacolo messo in 
piedi unicamente per il suo piacere, o almeno cosìlui credeva, quei pensieri erano indelebili come 
un impronta calcata nella sua mente 
masturbatorea.
Montò in macchina, una leggera erezione aveva 
vinto il freddo, pensò a dei nomi, nomi femminili, chi si sarebbe chinata per prima? A quale di 
quelle troiette avrebbe spiato per primo i glutei posti in bella mostra?
Il placido torpore svanì di colpo, vide solo un 
ombra, enorme, oscura come quella di un orso,
che però pareva un lampo.
Il parabrezza della macchina si schiantò in mille 
pezzi, un oggetto contundente ci si era abbattuto 
sopra con pesantezza, penetrando nell'abitacolo e spappolando la mascella del passeggero.
Il terrore pompò il sangue a mille, adesso non si 
trattava più di torpore, bensì di fuoco, roghi di 
paura che infiammavano il corpo del 
masturbatore incallito.
Qualcuno aprì la portiera, un gigante o qualcosa 
di simile, la sua presenza era opprimente, 
incombeva asfissiando, così come il pregnante 
odore della pelle nera che aderiva alle sue braccia
enormi.
Una mano inguantata, anch'essa ricoperta di 
cuoio, strinse la nuca grassoccia del tizio, il 
dolore alla mascella si stava assestando, 
cominciava a indurre lacrime copiose e conati di vomito.
Venne catapultato sull'asfalto, con la spinta di 
quell'unico arto che lo aveva afferrato, per terra, 
stordito ma terribilmente cosciente, il 
masturbatore potė vedere con chiarezza colui che gli stava innanzi.
Brandiva uno spadone, da usare a due mani a
giudicar dall'impugnatura, ma lui lo brandiva con dimestichezza con la mano libera, ostentò questo suo mesto potere, poi lentamente appoggiò la 
spessa lama, molto simile a una mazza di ferro, 
sulla propria spalla.
Il suo volto non era chiaro nella notte, pareva 
però pallido, cadaverico, eburneo come quello di uno spettro.
Il colosso issò lo spadone sulla propria testa, 
indugiò ammirando la paura sul volto della sua 
vittima, poi abbatté la lama sulla rotula, in un 
colpo secco e maestoso.
La lama non era affilata, era stata concepita più 
per spezzare che per tagliare, cosa che fece, la 
gamba si accartocciò sotto il colpo, nessuno, 
badava alle grida nel parcheggio inghiottito da
sbuffi maligni di nebbia, i grilli frinivano, 
reclamando il sangue in una macabra canzone 
dedicata alle tenebre.
Lo spadone cadde poi nuovamente sulla schiena 
dell'uomo rannicchiato sull'asfalto, che pensò 
bene di fingersi morto dopo quel colpo che forse 
lo aveva paralizzato per sempre.
Ma udì il clangore del ferro abbandonato con 
violenza sul cofano della sua automobile, allora 
aprì gli occhi, ma no, il gigante non stava 
andando via, srotolò una catena, lunga quanto una
delle sue gambe.
Cominciò a farla roteare in aria, quel sibilo era
 agghiacciante, più volte,le maglie d'acciaio si 
schiantarono contro quegli esterrefatti 
sopraccigli che spaccandosi miserevolmente 
aprirono i getti fascinosi di fontane di sangue.
"La tua bocca è spaccata e non puoi parlare, i tuoi arti spezzati e non puoi muoverti, i tuoi occhi 
sono sfondati e non puoi guardare...."
Il gigante gettò in terra la catena, accanto al corpo contorto, mugolante e orribilmente contuso, 
l'uomo trasalì nell'udire quel suono, ma allo 
stesso tempo un pesante calcio fracassò il suo 
timpano, e i suoni circostanti non divennero altro che dolore.
Qualcosa poi gli spezzò le mani, forse la spada-bastone, poiché era quello il violentissimo stile 
del colpo.
"Le tue orecchie non possono udire né le tue mani toccare...."
La bestia era su di lui, in piedi, con uno scarpone a far pressione contro la sua guancia tumefatta.
"Ma vedi, anche in queste condizioni tu sei 
ripugnante e affatto innocuo agli occhi della 
giustizia del nostro creatore...."
Spinse ancora di più lo scarpone, sembrava che il cervello dovesse esplodere dalle orecchie e dagli occhi.
"Poiché è la tua mente, la tua anima, queste due 
cose inscindibili dal corpo, sono queste due cose a renderti sporco e spregevole."
Il piede venne sollevato, ricadde giù con violenza, ed il cranio si spappolò emettendo un sinistro 
scricchiolio.
Quello che restò sull'asfalto, non era che una 
parvenza umana, un pezzo di carne smembrato, 
devastato, semplicemente sfasciato con brutale 
criterio di logica folle.
"Ringraziami porco, poiché ben più furioso, può 
essere l'occhio di Dio!"
Igor Vetusta si allontanò dal parcheggio, aveva 
raschiato via il male dal mondo, anche quella
notte.



Davide Giannicolo 



sabato 24 gennaio 2015

Jolly Roger


Voglio issare una Jolly Roger
sui vostri inetti deretani
dopo averli presi a calci.

Voglio mandarvi a forza nelle orecchie
un folle, ubriaco canto d'anarchia;
ammutinare questa nave lorda
lasciandola senza vele 
in una tempesta di diniego.



Davide Giannicolo

domenica 18 gennaio 2015

Ferri e catene




Ferri e catene
nella notte
in un tetro tintinnare.

Sospiri,
volti coperti,
contusione.

La lama che porta via con sè
inutili pezzi
da inutili corpi.

È il cuore,
il cuore sì
che trova pace.

Il palpito voluttuoso
si cheta
così come l'acqua d'un fiume
fluttua
appagata dal soffio leggero
della brezza mattutina.

Davide Giannicolo

martedì 13 gennaio 2015

Destati



Il farfugliare è per i pusillanimi e i sodomiti,

l'indugiare poi
mi repelle
sfregiandomi il cuore.

La menzogna

uccide la coscienza,
stimola l'efferatezza
e finisce
quasi sempre
sulla lama del coltello.

Davide Giannicolo

domenica 4 gennaio 2015

Perso nella città dei teschi verdi




Mi segue
il veggente
dal mostruoso corpo di verme.
Mi segue,
altissimo,
incombente
e fingo di non vederlo;
Non voltarti,
non voltarti,
ti sei nuovamente smarrito
nella città dei verdi teschi fluorescenti
ove è sempiterna notte.

Grida nella tenebra,
ancora non ricordi,
eppure
quante volte sei stato qui?

Grida,
grida,
grida!
Il veggente non ha da vaticinare
nulla di buono.

Non mi resta che tornare
quando avrò più coraggio,
o meno forza per gridare.

Davide Giannicolo