domenica 15 dicembre 2013

Di Notte (Due capitoli estratti dal romanzo di Davide Giannicolo)



Parte I
OMBRE, PASSIONE E DESIDERIO



*
FASTOSA LA LUNA


Quando Igor Vetusta era bambino, nella sua casa di campagna faceva spesso un sogno.
Quelle visioni gli stringevano il cuore come fossero ricordi in procinto d’esalare i taglienti effluvi della nostalgia; sentiva le oniriche scene appartenergli così intimamente, da viverle con febbrile eccitazione e in lui, nel suo stretto petto, già si destava una piccola fiamma, una vampa che ardeva con i colori vacui dell’ossessione.
Nel sogno, in un tetro maniero, un uomo si preparava con impazienza ad uscire nella notte,   l’arredamento della stanza era antico, come l’aria che fluttuava vaporosa in tutto il castello.
L’uomo, armato come un guerriero e vestito di nero cuoio, impartiva ordini ad un servitore:
“Prepara la mia carrozza, sto per andare a caccia!”
Nella voce dell’uomo si udivano note di morte, nei suoi occhi, verdi come foreste acquatiche, brillava l’insano lucore della follia.
Poi, un istante dopo la carrozza sfrecciava come impazzita nella foresta ammantata dalla notte, correva barcollando sul sentiero impervio in spericolata discesa, trainata da neri destrieri e accompagnata dalla satanica musica dell’abbaiare dei mastini.
Nella carrozza l’uomo vibrava di passione gustando rosso e denso vino, attraverso la finestra sentiva la notte carezzargli il volto, mentre gli alberi si chinavano verso di lui protraendo le loro dita nodose, provenienti dall’immane, inviolata oscurità del bosco.
Anche Igor percepiva durante il sogno quel morbido e allo stesso tempo tagliente tocco elargito dalla foresta nottetempo, quella ieratica brezza che accoglieva nella tenebra silente la spettrale marcia del cacciatore.
Lontano, donne danzanti intorno al fuoco di un oscuro sabba, si arrestavano di colpo nell’udire il latrare dei cani che si avvicinava inesorabile come vento di morte, mentre la carrozza avanzava tra gli alberi emanando dolci sensazioni di delirio, turpi angosce notturne.
Nella notte senza luna, i mastini si avventavano sulle tenere e bianche carni delle donne che liberavano agghiaccianti urla; purissime, più dell’acciaio, le zanne mostruose dei cani laceravano la pelle, mentre in rivoli caldi il sangue grondava.
Nel momento in cui la sacralità del sabba era infranta dall’irruzione, perpetrata al culmine estatico della cerimonia, e le partecipanti cominciavano a disperdersi scappando nude tra gli alberi incombenti, l’uomo della carrozza balzava sulle donne con in volto la cerea maschera della follia; la sua mano, innaturalmente pallida, vibrava sgozzandole e mutilandole tutte in pochi istanti.
A questo punto Igor si destava, ignorando la natura di quei sogni cupi.

Ma adesso che i suoi lineamenti erano divenuti del tutto identici a quelli dell’uomo del sogno, ora che le sue chiome cadevano in neri riccioli sulle ampie spalle, ora che era immerso nel sangue di una fanciulla, egli sapeva che l’uomo del sogno era lui, l’angelo della purificazione, colui che con la sua lama avrebbe ricondotto lontano Satana dai ventri delle donne.
Il cadavere giaceva dinnanzi a lui, sventrato dalla sua alabarda, Igor lo fissava con espressione calma e distaccata; si chinò sul corpo aperto e sanguinante, immerse le mani nella ferita così da poter sentire caldo il seme del diavolo, che virulento accendeva ancora quelle spoglie mortali.
Con le mani a coppa raccolse del sangue, lentamente bevve irrorandosi del rosso liquore.
“Io porto a me il male che affliggeva questa donna, io la purifico e la riconduco al cristallo di Dio!”

L’aveva inseguita nel bosco proprio come nel sogno, di solito le donne della sua caccia non lottavano mai, poiché nessuna strega sopravvive allo sguardo d’Igor Vetusta.

                                                                                *

CREPITA E S’INNALZA

La vecchia villa di campagna era la dimora della sua frustrante ossessione, solo la debole luce delle candele illuminava le ampie stanze, ornate da consunti arazzi e affreschi centenari.
Dall’esterno, la casa appariva come un rudere infestato dagli spettri, era in effetti un luogo di decadenza e languido abbandono. I cani lo accolsero correndogli in contro eccitati dall’odore di sangue che il suo corpo emanava, era sempre avviluppato da quella macabra fragranza, rossa dama di morte, distesa in eterno lungo le membra di Igor.
Giunse nell’enorme salone ove austeri dipinti rappresentavano uomini antichi, una stirpe dal ribollente sangue. Si sedette e la fievole fiamma della candela irradiò in un riverbero sinistro, posandosi come una falena di luce sullo specchio dei suoi occhiali da vista e mescendosi al verde fulgore dei suoi occhi.
Ai piedi della poltrona dormiva un cane mastino, così solido e robusto da indurre alle lacrime.
Ad un tratto un nevrotico pensiero scosse Igor ridestandolo da meste meditazioni,  s’alzò di scatto afferrando un candelabro d’ottone e si allontanò dalla silente stanza dei suoi pensieri.
Discese un’angusta scala dissestata ed erosa dal tempo, erano secoli che il buio rosicchiava quei luoghi; un impervio sentiero in discesa verso fauci di tenebra lo condusse lungo intricati e bui passaggi sotterranei, fino a giungere dinnanzi alla robusta porta di una cella.
Estrasse la chiave arrugginita e una volta aperta la porta entrò nella strettissima stanza, un massiccio crocefisso si stagliò dinnanzi a lui, uguale a quelli che si trovano nelle chiese; enorme il Cristo sanguinante osservava Igor con sguardo doloroso.
Legata mediante massicce catene vi era una donna seminuda, stupenda e giovane; i biondi capelli in cascate dorate, le coprivano il volto stanco cosparso di lividi e i dolci seni da poco sbocciati,.
Igor si sbottonò la camicia, morbida seta che carezzava l’umido e possente torso sudato, liberando le sue membra bianchissime che rifulgevano nella crudele oscurità della latebra.
Sulla schiena di Igor vi era tatuata un’immensa immagine del volto di Cristo sanguinante, al di sotto una spada puntata verso il basso, e su di essa una rozza scritta, come incisa con un coltello: “Onore templare”.
Quando la ragazza lo vide entrare fu invasa dal terrore, nei suoi occhi e nel corpo tutto, s’accese la virulenta scintilla della paura.
Igor carezzò con delicatezza il volto della fanciulla.
“Tu non eri sola quella notte. Dove sono le tue compagne? Dove si riuniscono?”
“Io non sono una strega! Te lo ripeto, io non so niente di queste cose!”
La ragazza disse queste parole distorcendo i lineamenti a causa di un pianto convulso e disperato, la mano che le carezzava il viso vibrò di rabbia, poi affondò le bianche dita nella tenera carne delle gote.
“Puttana del diavolo, io sento il male sedurmi mediante te, e se lo sento significa che non hai ancora rinunciato alle carezze dell’empio. Rinunci a Satana? Rinunci?”
“Rinuncio!” Disse la donna implorante, i sensi la stavano abbandonando, mentre il terrore le dominava le membra al solo pensiero di trascorrere ancora un istante con l’uomo che l’aveva rapita nottetempo.
“Menti, menti spudoratamente baldracca di Belial, il male alberga dentro di te!”
Igor le voltò le spalle tatuate e scelse dal tavolo di marmo uno strumento adatto alla verità.
Afferrò un flagello chiodato e vibrò secchi colpi alla donna legata, innalzava schiocchi d’agonia nel luogo dai cui muri saturava la punizione come fosse umidità, mentre il flagello si liberava in carezze di sangue, baci algolagniaci di dolore.
Rubizzi rivoli di sangue segnavano il passaggio dello strazio lungo il liscio corpo della donna.
“Confessi di aver fornicato con il diavolo? Confessi di aver bevuto il suo sperma in un rito blasfemo? Confessi d’essere araldo della perversione e di voler sedurre i guerrieri di Cristo?”.
La donna pianse, mescendo al sangue l’acre sapore delle lacrime.
Igor depose il flagello e arroventò sul fuoco una lunga e sottile sbarra di ferro grezzo, presto divenne rossa e incandescente, minacciosa come il bramoso occhio di fuoco di un demone.
Con gli occhi spalancati dalla follia ed il corpo sudato si avvicinò alla donna, le divaricò le gambe vincendo la gracile resistenza e si accinse a penetrare il ferro tra le vermiglie fauci della vulva.
Lei urlò con tutte le sue forze prima che la sbarra rovente poté sfiorare la sua pelle.
“Confesso! Confesso tutto!”
“Bene”. Rispose Igor deponendo il ferro, poi continuò:
“Dove hai incontrato Satana?”.
“Non lo so, giuro che non lo so”.
“E’l’empio che ti confonde, presto troverai la pace del fuoco, dimmi solo dove sono le tue compagne”.
“Non lo so”.
Igor afferrò la testa della ragazza e la scosse violentemente, lei riprese a piangere con disperazione, come una bambina.
Con un coltello le martoriò le gambe, iniziò poi ad accoltellarla ferocemente alle braccia, la donna così svenne in un poetico, sanguinante abbandono, appesa alle catene, era come se il soffio tagliente del dolore la dondolasse facendo oscillare il suo corpo inerte, anzi, forse l’unica cosa che la sorreggeva, sospendendola nell’aria, era proprio il martirio di quell’infamia.
“Io ti purifico donna, sii certa che troverò ogni tuo simile”.
Il seminudo corpo di Igor Vetusta roteò bianco nel buio e un’ascia, afferrata nel corso del movimento, si abbatté sul collo della donna falciandone la testa.
I suoi resti furono purificati, bruciati e restituiti a Dio.

mercoledì 25 settembre 2013

NOTTE SCARLATTA





Notte Scarlatta

Scavalcò il muro di cinta del cimitero, era goffo come una pantera ubriaca, quando notò che i lumi emanavano una luce fioca, morente.
Stringeva nelle mani una lancia e vagava inquieto tra le tombe, mentre di lontano, indistinte tra le lapidi si muovevano delle figure; subito una smania ossessiva s’impadronì di lui.
Era come se gli spettri di passate vite lo attraversassero simili ad un denso fiume nero, infondendo in lui una paranoica illusione di vita.
Giunse ad un mausoleo, le oscure sculture erano investite dal chiaro di luna, avvolte dalla magica luce lo osservavano con concupiscenza.
Dal basso di una cripta si udivano delle voci e danzante si scorgeva un lucore.
Discese le scale brandendo la lancia, lentamente. Un gruppo di ragazze poco più che adolescenti, dieci circa, notarono la sua presenza, si rivelarono essere orrendamente sorprese dalla sua improvvisa apparizione.
“Siete morte!” Fu questo il cupo motto di morte che egli profferì, poi falciò in due parti una ragazza vestita di nero dal trucco vagamente dark, sanguinante ella cadde tra le grida delle compagne.
Ne trapassò un'altra da parte a parte e corse all’inseguimento delle altre in fuga.
Lanciò una lunga catena d’argento che luccicante saettò nella tenebra avvinghiandosi al collo dell’ultima fuggitiva, con uno strattone Igor tirò la catena; emettendo un grido strozzato la ragazza cadde in terra all’indietro.
La guardò negli occhi per un lungo attimo, il corpo bellissimo della ragazza era pervaso dal male, così la infilzò con la lancia; distesa, con il petto trafitto ella s’abbandonò agli spasmi della morte, dalla sua bocca, denso germogliò un fiore di sangue.
Salite le scale corse verso il gruppo di donne che scappavano tra le tombe al chiaro di luna, lanciò la lancia che si conficcò nella schiena di una delle ragazze in fuga.
Restavano circa sette streghe intrappolate nella fitta trama di vicoli tombali, nel silenzio immoto ove s’innalzava leggiadra e triste la musica della morte.
Quando Igor raggiunse il gruppo si lanciò contro di loro con in pugno una lunga spada templare, ne falciò una con un colpo obliquo aprendo un enorme segno rosso sul ventre della puttana di Satana.
Ad un’altra recise la testa abbrancando tra i corpi terrorizzati, mutilando frattanto le altre, troncando braccia, gambe, squarciando ventri che nel sanguinare vomitavano in convulsa agonia le budella.
Il sangue imbrattava il volto di Igor Vetusta; la furia omicida e le sue tendenze necrofile erano temporaneamente appagate tra quei cadaveri a brandelli.
Restò solo, attorniato dal truculento scenario di violenza; era in piedi, la spada in pugno e il petto ansimante, come un angelo sterminatore cinto dalla corona di spine della sua infinita solitudine.
Infilzò la spada nella terra del cimitero e guardò verso la luna, un dolce vento gli carezzava il volto, poi alla sua sinistra notò un movimento leggero, vide una figura femminea aggirarsi fra le tombe, da lontano ne scorgeva la lunga veste bianca allontanarsi.
Un improvviso senso di debolezza lo investì; era un’altra cupa visione.
Cadde tra le ragazze mutilate e vide austeri cardinali custodire un segreto di devozione, cuori femminili in santificate urne d’argento. Vide l’uomo dall’armatura nera, l’antenato raffigurato nell’affresco di famiglia, bere il sangue delle streghe uccise. Ancora vide il monaco fustigarsi e allenarsi con la spada.
Tutte queste immagini si scagliavano dolorose contro i suoi occhi semicoscienti fino a che non riprese conoscenza due ore dopo,  sguaiatamente steso tra i morti scempiati, rintronato come dopo una delirante notte di bagordi, e naturalmente la donna era svanita nella tenebra….


Brano tratto dal romanzo “Di Notte”, dello stesso autore.
                                                                                                                    Davide Giannicolo



mercoledì 6 marzo 2013

CANE MASTINO


                                                                      Cane Mastino

Il ragazzo
Il ragazzo corre, sente il fiato mancare; il cuore scoppia pompando come la doppia cassa di un batterista Black Metal,  le voci nella sua testa sono infinite, violente, rabbiose.
Orfano! Questa parola lo ha perseguitato per tutta la vita, non vuole che succeda ancora, vuole una famiglia, la cercherà fra i reietti della città tra i quali ha intenzione di rifugiarsi, per questo è scappato dall’istituto, dove i dottori credono che le voci rimbombanti nella sua testa siano dovute alla follia; non è così.
Mentre scappa sente il fiato del cane sul collo, un mastino napoletano, enorme, agile nell’inseguimento nonostante la mole; non sa perché lo insegue, sa soltanto di non desiderare quelle zanne affilate nella carne, che sicuramente squarcerà a brani senza alcuna pietà, lo sa perché lo ascolta, perché è questo il suo dono, o forse la sua maledizione, da quando ha ricordo di sé lui riesce a sentire la voce di ogni animale.
“Fermati piccolo bastardo, se non ti riprendo resterò senza cena per settimane!”
Il ragazzo non ne può più, si ferma e si volta, deciso a parlare col cane.
“Aspetta, aspetta, ti troverò io qualcosa da mangiare!”
Il cane però non si ferma, si avventa su di lui travolgendolo con tutto il suo peso, il ragazzo è schienato, il cane troneggia su di lui osservandolo con le immense profondità dei suoi occhi d’oro, un filo di bava cola viscosamente sul volto dell’adolescente affannato.
“Riesci a capirmi?” Gorgheggia il cane.
“Sì!” Ammette lui.
“Come fai a riuscirci?”
“Non lo so, è un dono che ho dalla nascita, le vostre voci si confondono nella mia mente facendomi impazzire!!”
“Io sono Eschilo, sono un mastino di razza purissima!” Afferma il cane.
“Io non so qual è il mio vero nome!” Risponde il ragazzo, nessuno si è curato di dargliene uno.
Presto a interrompere la conversazione giunge un uomo, un corpulento e barbuto signore che sembra la versione senzatetto di Babbo Natale.
“Togli le zampe dal ragazzo Eschilo e lascialo andare!”
“Ma i miei padroni….”
“Da oggi cambierai padroni!!” Rispose l’uomo.
Anche lui riusciva a comprendere il cane, ciò era incredibile, non era mai successo al ragazzo di incontrare una persona simile a lui.
“Tu capisci quello che dice Eschilo vero ragazzino?” Mormorò il barbone.
“Sì!” Fu costretto ad ammettere per la seconda volta.
“Era molto che aspettavo uno come te, ho finalmente trovato il mio erede, giusto in tempo, cominciavo a sentirmi vecchio!”

Il maestro

L’uomo si chiamava Rocco, era stato un addestratore di cani da guerra in Germania, grazie al suo particolare dono era divenuto presto insostituibile nel corpo cinofilo dell’esercito.
Un giorno però aveva mollato tutto, non gli piaceva parlare del perché, forse non amava vedere i propri fratelli lanciati come carne da cannone contro morte certa.
Aveva vagabondato per molti anni in Europa, fino a che non decise di dedicarsi a una folle crociata.
Viveva adesso all’oasi del buon Gesù, un quartiere di Napoli interamente occupato da tossico dipendenti, non viveva da solo, con lui c’era una muta di cani randagi di svariate taglie, in tutto saranno stati una cinquantina.
Accolsero il ragazzo guaendo.
“Chi è? Chi è il ragazzo Rocco?”
“Sarà il nuovo Cane Mastino!” Rispose seccamente l’uomo ai suoi cani.
“Davvero?” Abbaiò qualcuno.
“Quindi anche lui riesce a comprenderci?” Fece eco un grosso Pitbull nero che si stava avvicinando.
“Ed Eschilo? Che ci fa qui? Finalmente abbraccia anche lui la causa?”
“E’ stato lui a trovarlo!”
Il ragazzo era confuso.
“Aspettate un secondo!! Cosa diavolo è il nuovo Cane Mastino?”
Un piccolo meticcio si strusciò sulle gambe del ragazzo grattandosi un fianco, aveva una vocina stridula e sottile dai toni ridicoli.
“Cane Mastino è un eroe, è il re di tutti noi, ci protegge e noi in cambio lo aiutiamo a dare una mano agli umani in difficoltà!”
“Io non ho intenzione di essere un eroe, no, assolutamente!”
Il ragazzo era fermo nella sua decisione.
Rocco fece finta di non sentirlo, si accese un lungo sigaro e prese a sbuffare nuvole di fumo azzurrognolo.
“E dove credi di andare ragazzo? Hai ricevuto un dono, e non c’è peccato più grande che lasciarlo inutilizzato, o tanto peggio usarlo per fini malvagi!”
L’uomo pensò all’infinità di cani che aveva mandato a morire, promettendogli gloria e vita eterna, le budella gli si strinsero in un moto di vergogna.
“Lascialo andare se vuole, non abbiamo bisogno di un nuovo Cane Mastino!” Disse il Pitbull.
“Ti sbagli Acheronte, io sono vecchio ormai, e la città ha bisogno di un vigilante! Il marciume del Duca è ovunque!”
“Ma non mi avevi promesso da mangiare?” Brontolò Eschilo, sedendosi sulle sue possenti zampe posteriori.
“Se no questo cane mastino, quello vero e originale, quello con la testa grossa e le mascelle da squalo, si riporterà il ragazzo da dov’è venuto!” Continuò il possente molosso.
A queste parole il ragazzo fremette, Eschilo era uno dei cani da guardia dell’istituto per ragazzi senza famiglia dal quale era scappato.
Rocco lanciò un pezzo di carne al cane, il mastino ci si avventò sopra sbranandola.
“Mmmmmpf buonissima, ma è carne umana!”
Il ragazzo fece un passo indietro.
“Carne umana?”
“Carne di violentatore!!” Precisò il piccolo meticcio.
Rocco strinse gli occhi senza contraddirlo, era quasi orgoglioso di quanto poi disse:
“La mia muta dovrà pur nutrirsi no? La città è piena di feccia!!”
“Allora resterai con noi?” Disse un grosso pastore maremmano che fino a quel momento era stato zitto.
Il ragazzo fece spallucce; cercava una famiglia, e aveva trovato un branco!!

Preparazione

Trascorsero cinque anni, il ragazzo non era più gracile come un tempo, era divenuto alto e possente, come un mastino.
Rocco gli aveva insegnato tutto in quegli anni, gli aveva mostrato ogni tecnica di combattimento militare da lui conosciuta: leve, proiezioni, colpi di mano mortali, punti vitali e svariati modi per divincolarsi dall’avversario.
Il ragazzo aveva inoltre imparato ad ascoltare il branco, a guidarlo e a vedere con gli occhi di ciascun suo componente.
I cani piccoli andavano in avanscoperta avvisando i più grossi, nulla era affidato al caso, i segugi e quelli con un buon fiuto battevano le piste cercando odore di sangue o misfatto, o solo quello di anomala adrenalina,  quelli grossi sgominavano i criminali numericamente avvantaggiati dando modo a Cane Mastino di piombare dall’alto, armato di spranghe e catene, pronto a maciullare loro le ossa in pochi istanti.
Un giorno il ragazzo fu reputato pronto e andò a caccia con loro.
Cane Mastino aveva un’uniforme abbastanza spartana, pantaloni di pelle nera, una maschera sadomaso con cerniera sulla bocca, un gilè di pelle nera e nulla più, ai piedi calzava anfibi attui a frantumare le mascelle sui quali si abbattevano; le sue armi erano pugni di ferro, spranghe, bottiglie e tutto ciò che si poteva rivelare contundente.
“A me sembri un po’ fascista! E anche pervertito con questa tenuta da feticista! Spacchi le ossa alla gente senza pensarci due volte, non puoi denunciarli?”
Il vecchio Cane Mastino rise mentre si liberava dell’uniforme.
“La polizia in questa città non esiste, tutti sono comandati dal Duca, lui qui è il solo padrone! Per quanto riguarda la tenuta, questo è quello che ho trovato!”
Dicendo ciò porse la maschera al ragazzo:
“Questa notte toccherà a te!”
Mentre il grosso barbone diceva ciò il meticcio corse verso di loro affannando:
“Violenza carnale alla stazione centrale, bisogna sbrigarsi!”
“Ma la stazione è lontana!” Disse il ragazzo.
“Tu indossa la maschera, ti mostro il mio ultimo effetto speciale!”

Esordio sanguinoso

Un carro rudimentale era trainato da dodici possenti cani, la velocità di quelle zampe muscolose era sorprendente.
Quando giunsero sul posto già Acheronte ed Eschilo avevano fatto fuori due violentatori, ne restavano tre; armati di lunghi coltelli tentavano di tenere a bada i cani.
“Adesso vai ragazzo, e vediamo se hai appreso i miei insegnamenti!”
Si sentiva ridicolo vestito in quel modo, la maschera in lattice era intrisa di sudore e non gli consentiva una comoda respirazione; si avventò lo stesso però, armato di spranga, contro i tre violentatori. Ne colpì uno alla mano disarmandolo, poi un secondo colpo raggiunse la testa dell’uomo che cadde all’indietro macchiando di sangue l’asfalto.
La donna mezza nuda piangeva, i suoi singhiozzi triplicarono le forze del nuovo Cane Mastino che con un altro colpo di spranga, sferrato alla carotide del terzo, cominciò a sentirsi onnipotente.
L’adrenalina permeava ogni sua fibra, e quasi non sentì la coltellata al braccio; l’eccitazione della rissa notturna rese il flusso sanguineo ancora più abbondante, se ne rese conto quando percepì il liquido bollente colare slungo la mano e gocciolare in terra.
Eschilo e Acheronte lo salvarono, avventandosi sull’uomo distratto e sbranandolo sul marciapiede.
“Non è pronto!” Grugnì Acheronte leccandosi il sangue che striava il suo manto nero.
In quell’istante però il suono di alcuni motori stuprò il silenzio della notte.
In meno di un momento una ventina di persone erano giunte in sella a motociclette sportive, uno di loro sparò alla gamba di Rocco che stava osservando il battesimo del suo pupillo.
Presto l’orda piombò sul vecchio massacrandolo di calci e pugni, uno di loro, un gigante tatuato, alzò il corpo tramortito del vecchio Cane Mastino mentre i cani venivano allontanati a colpi di pistola e catenate.
“Che cazzo avevate intenzione di fare? Allora è vera la storia del barbone e dei suoi cani! Questo è territorio del Duca, io sono Carnivorous, uno dei suoi colonnelli, e qui violentiamo chi cazzo ci pare!”
Dicendo ciò il gigante sollevò il vecchio Cane Mastino, che aveva il volto tumefatto e livido a causa delle percosse, la bocca sfondata dai calci, le ossa rotte e un occhio spappolato; lo issò sopra la propria testa e poi lo lasciò cadere, di schiena, su di un paletto, la sua spina dorsale si frantumò in un istante.
Acheronte ringhiava:
“Aiutalo ragazzo, fa qualcosa!”
Ma il sangue perduto a causa della coltellata lo aveva reso debole, in ogni cosa non avrebbe potuto tenere testa a quel gigante e alla sua banda; allora Acheronte si avventò sul volto di Carnivorous, sfregiandolo con le sue zanne e portando con sé un pezzo di esso, Eschilo intanto trascinava con sé il ragazzo mascherato con la potenza delle sue mascelle, strattonandolo mediante il gilè.
“Sparate a questi dannati cani, mi hanno deturpato la facciaaaaaa!”
Gridava Carnivorous; ma la muta di cani conosceva latebre e nascondigli che molti ignoravano, mentre il gruppo di criminali si raccoglieva intorno al loro capo cercando di soccorrerlo, il branco era già sparito in un tombino.
“Dove sono? Li avete presi?”
“Sono saltati nelle fogne, hanno portato con loro il corpo del vecchio ed il tizio mascherato, già non si sentono più!”
Carnivorous era furente, avrebbe trovato quei cani e li avrebbe fatti a pezzi, soprattutto quel maledetto Pitbull.

La decisione

Rocco era disteso sulla fredda terra, consumava i suoi ultimi sospiri, intorno a lui, in un drammatico silenzio, si era raccolto tutto il suo branco.
“Ve lo avevo detto che stavo diventando vecchio! Quel gigante mi ha massacrato! E abbiamo perso anche molti dei nostri fratelli!”
Il ragazzo se ne stava in silenzio, non si era dimostrato degno degli insegnamenti del suo maestro.
Il meticcio posò il suo musetto sulla spalla del vecchio:
“Non morire!”
“Credo proprio che mi tocca piccolino, stai tranquillo, non vi lascio soli….”
Il meticcio alzò gli occhi e guardò verso il ragazzo, che piangeva silenziosamente.
Rocco lasciò il suo ultimo respiro e il branco iniziò a ululare; un suono triste, straziante, s’innalzò nella notte, una catena di ululati che sorreggevano l’anima del morto e la conducevano verso la luna.

La caccia

Quella notte vide nascere un nuovo Cane Mastino, un erede risoluto, infuriato, colmo di rancore.
Indossò con lentezza sacrale la propria maschera mentre Acheronte ed Eschilo lo osservavano incuriositi, era come se stesse compiendo un rituale, ricevuto il battesimo, era ora di compiere vendetta.
I muscoli erano tesi come quelli di un cane da combattimento, rigirava la spranga nelle proprie mani, era pronto, sì ,quella notte era realmente pronto.
“Segugi!”
Tutti i cani da caccia, o chiunque avesse un buon fiuto, risposero all’appello accerchiandolo.
“Ricordate l’odore del gigante Carnivorous?”
“Non potremmo mai dimenticarlo!” Risposero all’unisono.
“Allora a cacciaaaaa!!” Gridò lui, ed il suo era un ringhio, un ringhio animale e ferino.

Cane Mastino

I cani erano eccitati, avevano banchettato con le carni del vecchio, quindi il primo Cane Mastino adesso era parte di loro, donandogli la sua forza e le sue conoscenze.
Il nuovo Cane Mastino se ne stava dritto sul carro, con le possenti braccia incrociate, pronto a lottare con gli assassini del suo maestro.
I segugi scovarono Carnivorous, era in un vicolo di piazza Garibaldi, coi suoi uomini, a scommettere su un combattimento di cani.
Presto il carro trainato dai molossi raggiunse i segugi.
“E’ lì dentro!” Disse un mezzo Bracco tedesco incrociato con un Pointer.
Cane Mastino udiva le minacce reciproche dei cani che combattevano all’interno del vicolo; si collegò telepaticamente a loro:
“Non lottate tra voi fratelli, ribellatevi a coloro che vi hanno messo l’uno contro l’altro e unitevi al mio branco!”
Immediatamente i cani cessarono la lotta e si fermarono, in quell’istante la muta di molossi irruppe nel vicolo e fece strazio delle carni dei criminali, tra ringhi, guaiti e urla infernali.
“E tu chi cazzo sei?”
Chiese un uomo che tentando di scappare finì dritto nel petto del colosso mascherato che gli si parava innanzi, e in quell’istante, colui che non aveva mai avuto una famiglia né tanto meno un nome, improvvisamente seppe chi era:
“Io sono Cane Mastino pezzo di merda, e tu sei fottuto!”
La spranga si abbatté sul cranio dello scommettitore spappolandoglielo.
Poi Cane Mastino ebbe modo di vedere Carnivorous, con il volto sfregiato, armato di pistola sparava ai suoi cani.
Fu un lampo scarlatto, la rabbia era il suo motore, chi toccava  le carni dei membri del suo branco toccava le sue, il dolore da loro provato era sentito anche da lui.
La spranga colpì il polso di Carnivorous che fu così disarmato, ma il gigante era due volte più grosso del già di per sé possente Cane Mastino, con un pugno quasi gli ruppe la mascella, poi una testata, granitica, devastante, fece vacillare il vigilante mascherato all’indietro.
Eschilo si divincolò dalla mischia e si fiondò su Carnivorous, affondò le zanne nei suoi testicoli e serrò le mascelle, non era deciso a mollare ed era impossibile divellere quella morsa contro la sua volontà, nulla, nemmeno un piede di porco poteva aprire quelle mascelle inamovibili.
Acheronte invece finì il lavoro che aveva compiuto alla faccia del gigante, cancellandola letteralmente con le sue zanne.
Quando Cane Mastino si rialzò vide il corpo del gigante Carnivorous ormai scempiato.
Intorno era una carneficina, i molossi avevano straziato la banda, non ne era sopravvissuto nemmeno uno, il vecchio cane Mastino era stato vendicato.
Un uomo però ebbe il tempo di sussurrare mentre moriva:
“Il Duca ti farà a pezzi buffone mascherato!”
Il Duca, chi era quest’uomo che credeva di fare i suoi comodi in quella città? Quel dittatore che regnava un impero criminale con il delitto e la violenza, rendendo legale lo stupro e quotidiani lo squallore, la droga e la prostituzione!!
Cane Mastino sentì il sangue montare alla testa, avrebbe liberato ogni cane da ciascun canile della città, poi sarebbe passato agli zoo, ai circhi, avrebbe creato un vero e proprio esercito spodestando il Duca dal suo trono di sangue, donando nuovamente un senso alla sua vita e alla città intera, poi sarebbe passato alla nazione, poi al mondo.
Finalmente capiva la natura del suo dono, la sua non era una maledizione, lui avrebbe reso nuovamente libero il regno animale e lo avrebbe protetto da ogni male, e con l’aiuto delle creature selvagge, avrebbe salvato anche l’uomo, dal suo inesorabile destino autodistruttivo.

Davide Giannicolo





domenica 13 gennaio 2013

VUOTA DI TE



Vuota di te

Obnubilato dal vino,
divelgo il coperchio della bara.

Ho vagato fino alla fossa,
bramata,
consunta,
strabordante disio.

Il cimitero m’acceca,
eppure delicato appare,
il tremolio degli scarlatti lumini,
che intorno a me danzano,
come spettri di scherno.

Ma nulla scorgo,
nella fossa con fatica scavata,
solo oscurità
e un miasma gorgogliante
che non è la fragranza del tuo crine.

In ginocchio,
nel fango,
apro le mie ubriache vene,
e di me
irroro la fossa
vuota di te.


                       Davide Giannicolo

mercoledì 2 gennaio 2013

Madrigale, di Davide Giannicolo

Madrigale

"S’arrampica, isterico l’insetto,
sul rosso bacio della Sarracenia;
palpita, frenetico il suo petto.

Ci pare d’udire la sua nenia:
disperazione fra le fronde altere,
verde morte che non chiede venia.


Lotta, inerme l’insetto, e spera,
poi dolcemente cala la sera."


                     Davide Giannicolo


E' un breve componimento, che ebbe molta fortuna dal XIV al XVIII secolo, non solo dal lato poetico ma anche musicale. Consisteva in origine di due o tre strofe di tre endecasillabi con rapporti vari di rima, seguiti da due endecasillabi a rima baciata, oppure da quattro endecasillabi a rima alternata.