giovedì 11 dicembre 2014

I miei escrementi


Fortunatamente
l'olezzo dei miei escrementi
copre il puzzo esecrabile
della vostra anima.

E non vi vedo
non vi vedo piú;
confuso fra costellazioni d'istinto,
Vi ignoro
straziando le mie carni belluine.

Solo il mio sangue
rende ebbra la Luna.

Davide Giannicolo


mercoledì 10 dicembre 2014

Sorrisi a doppio taglio

Inghiotto sorrisi a doppio taglio
e si lacerano
le mie interiora
e mi fai male,
mi fai
Male
e non lo hai ancora capito.

Ho una regola:
Se mi imponi del dolore
ne riceverai fino a morirne,
mi fai male,
mi fai male,
balli nelle mie ferite 
col bruciore del sale.

Non morirò mai più,
non parlerò mai più,
stringerò forte
il dolore che ciascuno mi ha donato,

come fosse manico
d'un superbo coltello.

Davide Giannicolo


venerdì 28 novembre 2014

Devi Odiarli Tutti




Devi odiarli tutti;
solo in questo modo
non vi sarà ferita,
né strazio
né dolore.

Non devi toccarli
se non con una lama
o suola sudicia
o catena.

Solo in questo modo
potrai essere 
immortale.

Davide Giannicolo

giovedì 27 novembre 2014

Dal Piumaggio Azzurro

 


Giacciono
sul ghiaccio addormentati
cigni selvatici
dal piumaggio azzurro.

Pare che la morte li abbia colti
ma le nuvole
serpeggiano nei loro vitrei occhi.

La vita
al loro cospetto
non è altro che attesa
e l'attesa
che sotto il ghiaccio s'increspa
è condiscendente morte.
Davide Giannicolo

martedì 27 maggio 2014

Nemesi (Sputerò nel tuo cuore)





Nemesi (Sputerò nel tuo cuore)

Io sono la Nemesi,
sono l’oltraggio,
la Bestia del riscatto;
lo schiaffo che ritorna.

Sempre;
inesorabile.

Io sono il Boia,
il Frantuma Ossa
il Carnefice,
e amo le vittime.

Poiché i loro lamenti
hanno il sapore
del macello.

Un invisibile mandante
m’ha strappato via alle tenebre.
È stato persuasivo,
sì,
doloroso nelle sue richieste,
m’ha scelto
e io sono giunto.

Io sono la Nemesi,
lo strazio,
il dolore,
la nefasta contusione,
il lugubre,
severo
schiocco della frusta.

Un mandante addolorato
m’ha condotto fino a qui!

Io sono il mezzo,
il ferro,
la tortura;
Io sono il tramite
eterno,
inarrestabile
e sputerò nel tuo cuore.


                                      Davide Giannicolo


martedì 29 aprile 2014

Sonno Agitato



Sonno Agitato

Ho dormito un lungo sonno,
non privo di agitati sogni
e mi sono risvegliato
in un pistillo d'ametista;
fragili sono le mie coltri,
come una guancia da sfregiare.

                                                 Davide Giannicolo 
                                                       30/04/2014 
                                                       Nottetempo
                                                                                

mercoledì 23 aprile 2014

Qualcosa (Davide Giannicolo)



Qualcosa

Hai smarrito un pezzo di te
tra le pareti scrostate del “ieri”.

Non cerchi però affannosamente,
perché sei pigro,
pigro e porcino
come un maialino infangato
tra un mucchio di chincaglierie.

Eppure sei incosciente e pretenzioso
come tutti i maialini
e volevi far della mia stella
il tuo lurido ornamento.
Non ti nutrirai della sua luce!
Non ti nutrirai di luce alcuna!

Sarai sgozzato,
sacrificato
e banchetteranno con le tue carni,
così come accade ad ogni maialino,
soffocato da grumi di morte.

Non c’è tempo per pentirsi
sul filo del coltello,
no,
le lacrime non lavano via il sangue
in quel luogo doloroso
che non t’è concesso vedere,
non ancora
poiché tu
“Hai tutto eppure ti manca qualcosa.”

Quel qualcosa è la morte,
credimi,
è il sangue,
il dolore,
lo strazio e il sacrificio
di un maialino sgozzato.

                                               Davide Giannicolo

domenica 6 aprile 2014

Dal Libro di Volcidor, Capitolo I


Dal libro di Volcidor:
Affondò la mano nella calotta cranica scoperchiata, vi estrasse una manciata di vermiglia poltiglia e la portò alla bocca. Il suono della masticazione, unito al carminio truculento che gli tingeva i denti affilati, gli conferiva un aria da predatore, quale in effetti egli era.
“Stupidi, giocano, annoiati dalla loro misera condizione di uomini, cercano una via maestra, non sanno che l’unica via è nella lama, nel sangue, nelle interiora, nella morte!”
Ruttò poi sguaiatamente, Gorgoth non era uno che andava tanto per il sottile, poi si lisciò le corna pelose, facendoci passare più volte i neri artigli, tanto da emettere fulgenti scintille; luci che gli umani, attraverso l’abisso del cosmo, avrebbero ammirato come danzanti stelle.
“Pensare che alcuni li invidiano, altri Dei invece li aiutano, mostrandogli i loro patetici sentieri, quante volte lo devo ripetere che non c’è altro linguaggio che il dolore per loro? Sono il nostro sollazzo!”
Afferrò il teschio con entrambe le mani e bevve la sostanza scarlatta ivi contenuta di cui prima aveva mangiato la poltiglia, mentre ora ne suggeva il nettare, imbrattandosi mento e petto.
“Voglio giocare un po’ anch’io con loro dunque, risponderò a qualche chiamata”.
“Anche tu sei come loro Gorgoth!”
Era stata Astarte a parlare, che con la sua voce bitonale, sia maschile che femminile, si era annunciata discendendo i gradini di pietra grezza della grotta; il suo corpo flessuoso, l’ignudo piede bianco come il nucleo di una stella, l’effluvio di eternità che ella emanava, sottomisero la brutalità di Gorgoth.
“Anche tu ti annoi, dipendi da loro, invidi le loro incertezze, lo testimonia il fatto che non fai altro che osservarli!”
“Cosa dici? Noi siamo i loro aguzzini, i loro nemici, se così si può dire, visto che io considero mio nemico chi è degno e capace di fronteggiarmi!”
Astarte si carezzò il seno sinistro, perfetto, madreperlaceo, poi rise di gusto.
“E allora dimmi, che senso avrebbe la tua eternità senza di loro?”
Gorgoth tacque, fissò Astarte con odio mentre ancora la materia organica gli colava lungo il mento, poi grugnì, come solo una nera bestia forgiata dal fuoco argenteo del cosmo in cui è stata esiliata può fare.
“Sei venuta per adirarmi sgualdrina!?”
“Sai che amo stuzzicarti! Ma no, non sono venuta per questo!”
“Allora perché violi la mia eterna solitudine?”
“Il nostro esilio deve finire, se loro possono avere contatti con noi, o meglio, con gli dei che essi invocano, ebbene allora anche noi possiamo fare quello che ci pare lì da loro no?”
“Non ti capisco Astarte!”
“Capirai presto caprone, molto presto, qualcosa si è infranto, e io ho intenzione di allargare la crepa”.

 Astarte si vestì di petali d’avorio e polvere d’ametista, innalzando nell’aria l’effluvio della grazia unita alle calde spire di quella sua demoniaca, ammaliatrice seduzione; quella fragranza aliena all’umana comprensione raggiunse le narici di Gorgoth, abituate da tempo ormai solo allo zolfo e alla materia organica con la quale amava trastullarsi.
Non poteva accettare cotanta bellezza, era contro ogni suo fondamentale principio, egli non poteva che soggiogare la grazia, distruggere le linee simmetriche e armoniose che costituivano il corpo di Astarte; eppure il sangue focoso di Gorgoth cominciò a danzare in violenti sobbalzi, se sangue demone può possedere, forse sarebbe più appropriato chiamare ciò che scorreva nel corpo di Gorgoth con il nome di fiamma, ebbene Gorgoth si chinò dinnanzi a quell’androgino splendore.
“Cosa fai Astarte?”
Ella non rispose, silente e dispettosa come una statua di brina; il suo corpo però cominciò a mutare in una sulfurea trasmutazione, le esili, eleganti corna si ritirarono, così come i seni, che lasciarono spazio ad un muscoloso petto di uomo, la chioma, da lunga e corvina che era, divenne corta e meno nera, se vogliamo più umana, gli occhi rossi furono sostituiti da due opali verdi, stupendi, scintillanti nelle loro striature dorate.
Astarte era divenuta uno splendido giovane, che nudo avanzava verso Gorgoth suscitando in questi una rabbiosa repellenza.
“Cavalcherò le stelle e raggiungerò la terra, come non faccio da tempo, vieni con me?”
Il giovane sorrise ammiccando, era ovvio che per Gorgoth ci sarebbero state allettanti ricompense, ma il demone era troppo orgoglioso e affezionato alla sua solitudine per accettare.
“Cosa vuoi che faccia laggiù? Non ci andrò se non per disseminare violenza e barbarie, e sai bene che per adesso questo non mi è concesso! Siamo relegati qui da eoni ormai, esiliati da forze che non ci appartengono!”
“Non capisci ancora Gorgoth? Non comprendi stupido bestione che ho trovato un modo?”
“Và pure oh maestà serenissima di accidia e lussuria, io sono troppo abituato a stare solo con me stesso!”
Gorgoth pronunciò queste ultime parole con una punta di amara malinconia, chinando lo sguardo dimostrò di non essere composto unicamente di zolfo e brutalità.
“Fai come vuoi, resta a osservare passivamente le gesta di coloro che potresti sbranare, tanto già so che mentre mi osserverai morirai dall’invidia, l’orgoglio è un sentimento che si avvinghia alle granitiche viscere di quelli come te!”
In un attimo eterno Astarte divenne pura luce, si innalzò nel cielo nero mescendosi allo spazio siderale che li attorniava, poi, il lucore abbagliante si distese come un sudario, allargandosi flemmaticamente, con eleganza imperiale, poi, simile ad una cometa, il fascio di luce argentea solcò lo spazio eterno che lo frapponeva alla terra, raggiungendo in breve la dimora degli uomini…

                                                    
1
Filippo aveva sonno, le palpebre gravavano sugli occhi come lembi di carne morta, era ora di chiudere quel libro assurdo che aveva trovato nei vecchi scatoloni del suo defunto padre: “Il libro di Volcidor”.
Che follia, chi diavolo era poi questo Volcidor? In copertina non vi erano riportati né editore né data di stampa, doveva essere un libro antico, di quelli che hanno le pagine ingiallite che sembrano sgretolarsi sotto le mani, eppure suo padre non gli sembrava affatto il tipo capace di leggere simili idiozie.
Poggiò le mani sulle ruote della sedia a rotelle e si diresse verso la finestra, pensò a quelle sue mani callose, ormai abituate da anni a fare pressione sui cerchi metallici che erano divenuti le sue gambe. È dura essere paralizzati dal bacino in giù a diciannove anni, questo genere di avvenimenti ti fanno pensare con ricorrenza alla morte, lanciarsi al di là dei vetri e schiantarsi violentemente sull’asfalto, procurarsi una rivoltella e farsi saltare le cervella; erano questi i pensieri di cui spesso era preda; poiché pensava di essere ancora vergine e non poter mai stare con una donna, di non avere mai provato quella carnale ebbrezza di cui tanto si parla, ovunque, a scuola, in tv, nei libri, nei film; il mondo gira intorno a quello eppure lui….
Vaffanculo ai demoni, vaffanculo al mondo, fanculo anche alle troie, perché non c’era solo quello, c’era che non poteva più correre, né saltare, né fare qualsiasi altra cosa che è congeniale a un giovane della sua età, come per esempio ballare, o semplicemente prendere a calci in culo qualcuno.
Non voleva essere come quei patetici imbecilli che fingono che vada tutto bene, che sfruttano la compassione degli altri, simulandosi felici, solo per sopravvivere.
Il suo cuore era pesante, oberato da una tristezza insopportabile, non usciva di casa ormai da settimane, leggeva di continuo, rifiutando qualsiasi spiraglio che gli rivolgeva il mondo esterno, ringraziava soltanto il sonno che lo narcotizzava per qualche ora, aveva infatti pensato di darsi alle droghe, un passatempo ingegnoso per uno che non può più fare un cazzo.
“Ho bisogno di prendere un  po’ d’aria, sento la testa pesante, sembra che le vene delle tempie stiano per scoppiare”.
Aprì la finestra e contemplò per qualche minuto la volta celeste, l’aria della notte, pregna di lontane fragranze, si insinuò nei suoi polmoni spalancando le ali piumate di umori reattivi.
Di tanto in tanto qualche automobile percorreva la strada sottostante.
“Nemmeno guidare, nemmeno provare quell’ebbrezza!”
La depressione si impegnava a scavare vie scarlatte nella sua testa, c’era però la fragranza della notte, l’unica cosa che lottava in suo favore per allietarlo, seppur brevemente. Dopo qualche minuto Filippo decise di chiudere la finestra e andare a dormire, proprio mentre stava per farlo, una stella cometa sfregiò il cielo con la sua fulgida scia, proprio come quella che era divenuta Astarte nelle pagine del libro che stava leggendo.
“Esprimi un desiderio Filippo!”
Ed egli lo espresse.

Davide Giannicolo




mercoledì 26 marzo 2014

CANE



Sono un cane pazzo
smarrito in un labirinto di specchi.

Sono confuso,
dolorante
e immortale.

Dormo nel gelo
di immonde carezze
aspettando che il sole
sani le mie fratture.

Sono un cane pazzo
che nega se stesso
mentre ode il fragore
di echi distorti.

Non ho patria
né casa
né madre;

ho solo la Luna
a guardarmi dall'alto.

Davide Giannicolo

lunedì 24 marzo 2014

La sacra maestà del dolore


La sacra maestà del dolore

Hai veduto volare
al di là dei bagliori del tempio
la sacra maestà del dolore.

Tigre d’onore,
il vellutato tocco c’accarezza la mente.

Raro e prezioso
l’oscuro segreto,
perla d’ossidiana,
unica.

L’esilio della vergine,
tigre di velluto,
la poesia frustrante
                             delle membra dilaniate.

S’arrampica la bellezza
in evanescenti lucori di leggiadra ossessione.

Erompe la solitudine dei boschi
vibra candida
come fiore carezzato dalla bruma.

Il brusio delle tue gambe
respingo,
poiché l’angelo di ghiaccio si disfa
tra le sbarre
della gabbia dorata.


                                    Davide Giannicolo