mercoledì 22 aprile 2020

La donna dalla testa di teschio


Aveva spinto troppo oltre la sua curiosità, come una bambina col cuore in gola, guardando nel buco della serratura il germoglio del peccato, nessuno sa cosa vide. Forse suo padre accoppiarsi con sua madre insieme ad altri, forse un atto sacrilego al di là d’ogni decenza; sesso e violenza, tradimento, natura calpestata, torture domestiche. Qualcosa capace di essiccare l’anima, ma non fu la sua anima a bruciarsi, bensì la pelle del suo volto, che in un attimo svanì, lasciando nudo solo il teschio, su di un corpo vezzoso e appetibile. Carni bianche e seni floridi, con su a sormontarli, come la punta d’uno spillo, l’orripilante testa di morto.
Distrusse lo specchio, le orbite vuote non potevano lacrimare, eppure pianse, disperata, folle, nel veder il frutto dell’incantesimo blasfemo.
“Perché il peccato mi ha divorato il volto anche se non ne sono stata io l’artefice?”

Allora la casa si tinse di sangue, prima uccise il piccolo, bianco cane maltese, impregnandolo di succo scarlatto, poi andò dal caro babbo, che urlò nel vedere il teschio terrifico su di una donna nuda. I denti privi di labbra mangiarono il pomo d’Adamo, lacerando carotide e corde vocali.
Poi toccò alla mamma, la cara mamma che l’aveva cullata da bambina, quando il peccato non sembrava esistere, eppure c’era, celato nel benevolo seno. Pube scuro struscia sul volto disgustato della donna, putrida essenza della carne:
“Cancellerò anche la tua bellezza!”
Rasoio su guance paffute di donna di mezza età, carni che cadono in terra in fontane di sangue, grida funeste:
“Mi riconosci madre? Riconosci la tua bimba?”
La lama che scava fino all’osso, la morte che s’attarda mentre pasticcia col dolore.
E poi i fratelli, straziante pianto di infanti, annegati nella vasca, come gatti vittime di una bambina capricciosa, strida d’innocenza, follia disumana, inferno sulla terra.
Infine vestimenti eleganti a coprire le carni immonde di depravazione e assassinio, pizzo nero, è quello che ci vuole, gonne da donna adulta e velo sul volto, drappo funebre di una bellezza perduta.
Era nuda perché si era toccata lungamente, davanti a quella porta, sedotta dal peccato, mentre guardava logorata dalla colpa. Forse proprio per quello la maschera del suo volto innocente era caduta, decomposta, essiccata su se stessa e neanche buona per i vermi.

Da quel giorno la donna dal volto di teschio nottetempo vaga, ha una voce profonda e modi maliardi, è sensuale e dalle forme tonde. Ma attenti a non farvi sedurre, a non alzare il suo velo nero che emana l’olezzo di tomba, potreste cadere anche voi nel tetro baratro della dannazione eterna.

Davide Giannicolo a John William Polidori


Nota dell’autore: 
Questo racconto è tratto da una bozza di John William Polidori, scritta nella famosa notte in villa Diodati, in Svizzera, dove si gettarono le basi di Frankenstein di Mary Shelley e il vampiro dello stesso Polidori, dando origine alla letteratura gotica.




lunedì 20 aprile 2020

Pasolini

Pasolini non cresce mai, uguale a se stesso, come un eterno adolescente, i morti non rispondono, ma i morti intellettuali possono rispondere attraverso i loro scritti, un superlativo intellettuale, sempre ventenne, destinato alla morte violenta.
Un esteta succhia la giovinezza eterna come un vampiro attraverso i membri lisci di ragazzini pagati per farlo.
Pasolini condannava il consumismo e l’arrivismo, ma aveva grandi pretese, una giacca di pelle e una lussuosa automobile, spesso consumava mangiando bene in buoni ristoranti e aggirandosi come una iena nel mercato della carne, consumava, consumava e come Pasolini, solo che non voleva lo facessero gli altri. Comprava giovani ragazzi e li pagava con un piatto di spaghetti, oh Pasolini, De Sade e Lautreamont ridono di te, che non sei riuscito a uscire dalla fanciullezza e vivevi ancora con la mamma e le tue fantasie di frustrazioni antiche.
Divenire adulti equivale a uccidere i sogni, non lo sapevi? Te lo ha spiegato una mazza sul cranio, molto più vero e crudo del tuo onanista Saló.
Eri un coprofago, amavi la merda del popolo e mescolarti ad essa, mangiarla a grandi boccate insieme ai cazzi di quegli sporchi ragazzetti, perché questo ti faceva sentire grande, generoso, superiore, diciamoci poche cazzate, è inutile che Eduardo ti difenda da morto, lo faceva tanto anche il Ducasse ma aveva vent’anni meno di te e scriveva molto meglio. Ti affascinava il lato animale della vita, e lo hai scoperto, volevi distruggere, e sei stato distrutto, ovvio no? Che De Sade rida di te.

Davide Giannicolo