domenica 6 aprile 2014

Dal Libro di Volcidor, Capitolo I


Dal libro di Volcidor:
Affondò la mano nella calotta cranica scoperchiata, vi estrasse una manciata di vermiglia poltiglia e la portò alla bocca. Il suono della masticazione, unito al carminio truculento che gli tingeva i denti affilati, gli conferiva un aria da predatore, quale in effetti egli era.
“Stupidi, giocano, annoiati dalla loro misera condizione di uomini, cercano una via maestra, non sanno che l’unica via è nella lama, nel sangue, nelle interiora, nella morte!”
Ruttò poi sguaiatamente, Gorgoth non era uno che andava tanto per il sottile, poi si lisciò le corna pelose, facendoci passare più volte i neri artigli, tanto da emettere fulgenti scintille; luci che gli umani, attraverso l’abisso del cosmo, avrebbero ammirato come danzanti stelle.
“Pensare che alcuni li invidiano, altri Dei invece li aiutano, mostrandogli i loro patetici sentieri, quante volte lo devo ripetere che non c’è altro linguaggio che il dolore per loro? Sono il nostro sollazzo!”
Afferrò il teschio con entrambe le mani e bevve la sostanza scarlatta ivi contenuta di cui prima aveva mangiato la poltiglia, mentre ora ne suggeva il nettare, imbrattandosi mento e petto.
“Voglio giocare un po’ anch’io con loro dunque, risponderò a qualche chiamata”.
“Anche tu sei come loro Gorgoth!”
Era stata Astarte a parlare, che con la sua voce bitonale, sia maschile che femminile, si era annunciata discendendo i gradini di pietra grezza della grotta; il suo corpo flessuoso, l’ignudo piede bianco come il nucleo di una stella, l’effluvio di eternità che ella emanava, sottomisero la brutalità di Gorgoth.
“Anche tu ti annoi, dipendi da loro, invidi le loro incertezze, lo testimonia il fatto che non fai altro che osservarli!”
“Cosa dici? Noi siamo i loro aguzzini, i loro nemici, se così si può dire, visto che io considero mio nemico chi è degno e capace di fronteggiarmi!”
Astarte si carezzò il seno sinistro, perfetto, madreperlaceo, poi rise di gusto.
“E allora dimmi, che senso avrebbe la tua eternità senza di loro?”
Gorgoth tacque, fissò Astarte con odio mentre ancora la materia organica gli colava lungo il mento, poi grugnì, come solo una nera bestia forgiata dal fuoco argenteo del cosmo in cui è stata esiliata può fare.
“Sei venuta per adirarmi sgualdrina!?”
“Sai che amo stuzzicarti! Ma no, non sono venuta per questo!”
“Allora perché violi la mia eterna solitudine?”
“Il nostro esilio deve finire, se loro possono avere contatti con noi, o meglio, con gli dei che essi invocano, ebbene allora anche noi possiamo fare quello che ci pare lì da loro no?”
“Non ti capisco Astarte!”
“Capirai presto caprone, molto presto, qualcosa si è infranto, e io ho intenzione di allargare la crepa”.

 Astarte si vestì di petali d’avorio e polvere d’ametista, innalzando nell’aria l’effluvio della grazia unita alle calde spire di quella sua demoniaca, ammaliatrice seduzione; quella fragranza aliena all’umana comprensione raggiunse le narici di Gorgoth, abituate da tempo ormai solo allo zolfo e alla materia organica con la quale amava trastullarsi.
Non poteva accettare cotanta bellezza, era contro ogni suo fondamentale principio, egli non poteva che soggiogare la grazia, distruggere le linee simmetriche e armoniose che costituivano il corpo di Astarte; eppure il sangue focoso di Gorgoth cominciò a danzare in violenti sobbalzi, se sangue demone può possedere, forse sarebbe più appropriato chiamare ciò che scorreva nel corpo di Gorgoth con il nome di fiamma, ebbene Gorgoth si chinò dinnanzi a quell’androgino splendore.
“Cosa fai Astarte?”
Ella non rispose, silente e dispettosa come una statua di brina; il suo corpo però cominciò a mutare in una sulfurea trasmutazione, le esili, eleganti corna si ritirarono, così come i seni, che lasciarono spazio ad un muscoloso petto di uomo, la chioma, da lunga e corvina che era, divenne corta e meno nera, se vogliamo più umana, gli occhi rossi furono sostituiti da due opali verdi, stupendi, scintillanti nelle loro striature dorate.
Astarte era divenuta uno splendido giovane, che nudo avanzava verso Gorgoth suscitando in questi una rabbiosa repellenza.
“Cavalcherò le stelle e raggiungerò la terra, come non faccio da tempo, vieni con me?”
Il giovane sorrise ammiccando, era ovvio che per Gorgoth ci sarebbero state allettanti ricompense, ma il demone era troppo orgoglioso e affezionato alla sua solitudine per accettare.
“Cosa vuoi che faccia laggiù? Non ci andrò se non per disseminare violenza e barbarie, e sai bene che per adesso questo non mi è concesso! Siamo relegati qui da eoni ormai, esiliati da forze che non ci appartengono!”
“Non capisci ancora Gorgoth? Non comprendi stupido bestione che ho trovato un modo?”
“Và pure oh maestà serenissima di accidia e lussuria, io sono troppo abituato a stare solo con me stesso!”
Gorgoth pronunciò queste ultime parole con una punta di amara malinconia, chinando lo sguardo dimostrò di non essere composto unicamente di zolfo e brutalità.
“Fai come vuoi, resta a osservare passivamente le gesta di coloro che potresti sbranare, tanto già so che mentre mi osserverai morirai dall’invidia, l’orgoglio è un sentimento che si avvinghia alle granitiche viscere di quelli come te!”
In un attimo eterno Astarte divenne pura luce, si innalzò nel cielo nero mescendosi allo spazio siderale che li attorniava, poi, il lucore abbagliante si distese come un sudario, allargandosi flemmaticamente, con eleganza imperiale, poi, simile ad una cometa, il fascio di luce argentea solcò lo spazio eterno che lo frapponeva alla terra, raggiungendo in breve la dimora degli uomini…

                                                    
1
Filippo aveva sonno, le palpebre gravavano sugli occhi come lembi di carne morta, era ora di chiudere quel libro assurdo che aveva trovato nei vecchi scatoloni del suo defunto padre: “Il libro di Volcidor”.
Che follia, chi diavolo era poi questo Volcidor? In copertina non vi erano riportati né editore né data di stampa, doveva essere un libro antico, di quelli che hanno le pagine ingiallite che sembrano sgretolarsi sotto le mani, eppure suo padre non gli sembrava affatto il tipo capace di leggere simili idiozie.
Poggiò le mani sulle ruote della sedia a rotelle e si diresse verso la finestra, pensò a quelle sue mani callose, ormai abituate da anni a fare pressione sui cerchi metallici che erano divenuti le sue gambe. È dura essere paralizzati dal bacino in giù a diciannove anni, questo genere di avvenimenti ti fanno pensare con ricorrenza alla morte, lanciarsi al di là dei vetri e schiantarsi violentemente sull’asfalto, procurarsi una rivoltella e farsi saltare le cervella; erano questi i pensieri di cui spesso era preda; poiché pensava di essere ancora vergine e non poter mai stare con una donna, di non avere mai provato quella carnale ebbrezza di cui tanto si parla, ovunque, a scuola, in tv, nei libri, nei film; il mondo gira intorno a quello eppure lui….
Vaffanculo ai demoni, vaffanculo al mondo, fanculo anche alle troie, perché non c’era solo quello, c’era che non poteva più correre, né saltare, né fare qualsiasi altra cosa che è congeniale a un giovane della sua età, come per esempio ballare, o semplicemente prendere a calci in culo qualcuno.
Non voleva essere come quei patetici imbecilli che fingono che vada tutto bene, che sfruttano la compassione degli altri, simulandosi felici, solo per sopravvivere.
Il suo cuore era pesante, oberato da una tristezza insopportabile, non usciva di casa ormai da settimane, leggeva di continuo, rifiutando qualsiasi spiraglio che gli rivolgeva il mondo esterno, ringraziava soltanto il sonno che lo narcotizzava per qualche ora, aveva infatti pensato di darsi alle droghe, un passatempo ingegnoso per uno che non può più fare un cazzo.
“Ho bisogno di prendere un  po’ d’aria, sento la testa pesante, sembra che le vene delle tempie stiano per scoppiare”.
Aprì la finestra e contemplò per qualche minuto la volta celeste, l’aria della notte, pregna di lontane fragranze, si insinuò nei suoi polmoni spalancando le ali piumate di umori reattivi.
Di tanto in tanto qualche automobile percorreva la strada sottostante.
“Nemmeno guidare, nemmeno provare quell’ebbrezza!”
La depressione si impegnava a scavare vie scarlatte nella sua testa, c’era però la fragranza della notte, l’unica cosa che lottava in suo favore per allietarlo, seppur brevemente. Dopo qualche minuto Filippo decise di chiudere la finestra e andare a dormire, proprio mentre stava per farlo, una stella cometa sfregiò il cielo con la sua fulgida scia, proprio come quella che era divenuta Astarte nelle pagine del libro che stava leggendo.
“Esprimi un desiderio Filippo!”
Ed egli lo espresse.

Davide Giannicolo




1 commento:

  1. Primo capitolo di un crudele, poetico romanzo che tocca temi come adolescenza e omosessualità in maniera disincantata e sanguigna...

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