La strada era lunga,
i cadaveri molti,
Deicidio si nutriva delle loro carni.
Poi un caverna,
l’antro della follia,
Deicidio vi entrò.
Follia era in ginocchio,
nuda bellezza distorta,
cicatrici segnavano una pelle che mai conobbe il liscio velluto
che almeno Deicidio aveva provato.
“Contiamo le nostre cicatrici donna?”
Non si aspettava risposte,
era tempo che non credeva più alle risposte.
Ma Follia aveva più cicatrici di lui,
Questo bastò ad infastidirlo.
Una risata agghiacciante,
e quel corpo decadente, bello e scheletrico,
finalmente dimostrò d’esser dotato di languide movenze.
In ginocchio follia fissava Deicidio,
occhi vitrei,
le sue costole sembravano un’armatura ;
nulla è ciò che sembra,
banale ma vero,
in parte
solo in parte.
“Ti uccido!”
Follia parlò,
un’altra donna,
tutte così belle.
Nella sua immobilità, il demone chiamato Follia
Innervosì Deicidio,
che le sfondò le costole con un calcio,
non era un armatura,
nulla è ciò che sembra,
la banalità a volte è così potente.
Follia sorrise,
ma non era innamorata,
il sangue bagnava le sue stupende labbra disidratate e spaccate.
Poi s’alzò,
e mille violini suonarono.
Deicidio danzò con Follia,
ipnotizzato da quell’oscurità fu vulnerabile,
e Follia accoltellò la schiena del ribelle,
sorrideva Follia,
danzava bene.
Ma Deicidio sin da bambino aveva conosciuto le carezze della lama,
lui che si strappò il cuore per non amare.
Follia,
che ormai amava Deicidio,
fermò i violini,
una nuova danza:
l’estasi dell’amplesso,
il corpo scheletrico e i seni cadenti di lei si mossero agili sul maestoso viandante.
Poi ella abbandonò il suo amante.
“Và, io non ti fermerò.”
Deicidio aveva nuove cicatrici,
questa volta il loro sapore era estremamente dolce.
Lode a Follia,
bellissima e pazza.
Una risata riecheggiò nella caverna,
una risata terminante in un pianto,
singhiozzi che accompagnarono Deicidio lungo il suo cammino.
Lode a Follia,
bellissima e pazza.
Davide Giannicolo