Aveva spinto troppo oltre la sua curiosità, come una bambina col cuore in gola, guardando nel buco della serratura il germoglio del peccato, nessuno sa cosa vide. Forse suo padre accoppiarsi con sua madre insieme ad altri, forse un atto sacrilego al di là d’ogni decenza; sesso e violenza, tradimento, natura calpestata, torture domestiche. Qualcosa capace di essiccare l’anima, ma non fu la sua anima a bruciarsi, bensì la pelle del suo volto, che in un attimo svanì, lasciando nudo solo il teschio, su di un corpo vezzoso e appetibile. Carni bianche e seni floridi, con su a sormontarli, come la punta d’uno spillo, l’orripilante testa di morto.
Distrusse lo specchio, le orbite vuote non potevano lacrimare, eppure pianse, disperata, folle, nel veder il frutto dell’incantesimo blasfemo.
“Perché il peccato mi ha divorato il volto anche se non ne sono stata io l’artefice?”
Allora la casa si tinse di sangue, prima uccise il piccolo, bianco cane maltese, impregnandolo di succo scarlatto, poi andò dal caro babbo, che urlò nel vedere il teschio terrifico su di una donna nuda. I denti privi di labbra mangiarono il pomo d’Adamo, lacerando carotide e corde vocali.
Poi toccò alla mamma, la cara mamma che l’aveva cullata da bambina, quando il peccato non sembrava esistere, eppure c’era, celato nel benevolo seno. Pube scuro struscia sul volto disgustato della donna, putrida essenza della carne:
“Cancellerò anche la tua bellezza!”
Rasoio su guance paffute di donna di mezza età, carni che cadono in terra in fontane di sangue, grida funeste:
“Mi riconosci madre? Riconosci la tua bimba?”
La lama che scava fino all’osso, la morte che s’attarda mentre pasticcia col dolore.
E poi i fratelli, straziante pianto di infanti, annegati nella vasca, come gatti vittime di una bambina capricciosa, strida d’innocenza, follia disumana, inferno sulla terra.
Infine vestimenti eleganti a coprire le carni immonde di depravazione e assassinio, pizzo nero, è quello che ci vuole, gonne da donna adulta e velo sul volto, drappo funebre di una bellezza perduta.
Era nuda perché si era toccata lungamente, davanti a quella porta, sedotta dal peccato, mentre guardava logorata dalla colpa. Forse proprio per quello la maschera del suo volto innocente era caduta, decomposta, essiccata su se stessa e neanche buona per i vermi.
Da quel giorno la donna dal volto di teschio nottetempo vaga, ha una voce profonda e modi maliardi, è sensuale e dalle forme tonde. Ma attenti a non farvi sedurre, a non alzare il suo velo nero che emana l’olezzo di tomba, potreste cadere anche voi nel tetro baratro della dannazione eterna.
Davide Giannicolo a John William Polidori
Nota dell’autore:
Questo racconto è tratto da una bozza di John William Polidori, scritta nella famosa notte in villa Diodati, in Svizzera, dove si gettarono le basi di Frankenstein di Mary Shelley e il vampiro dello stesso Polidori, dando origine alla letteratura gotica.
“Il povero Polidori ebbe un’idea atroce su una dama che aveva un teschio al posto della testa, come castigo per aver spiato dal buco di una serratura – non ricordo più per vedere cosa, ma qualcosa senz’altro di spaventoso e peccaminoso; ma quando l’ebbe ridotta così non sapeva più che farne e fu costretto a relegarla nella tomba dei Capuleti, unico luogo degno di lei.”[M.SHELLEY, 1831].