Le Bustuariae avevano abbandonato la cripta, era notte fonda volgente all’alba e le adepte vagavano fra le tombe dissipandosi come nebbia. Solo Noctilla, la prediletta delle tenebre era rimasta nel soffocante luogo sotterraneo in compagnia del Magister dalla maschera di teschio, colui che l’aveva posseduta per prima iniziandola alla professione di prostituita frequentatrice di cimiteri. Il magister proteggeva le sue donne e ne traeva profitto, scovava quelle più avvezze alle perversioni notturne e le faceva sue, allevandole nel ventre del cimitero tra teschi e tumuli di ossa, truccandole coi colori pallidi della morte, come piaceva alle anime irrequiete che frequentavano i sepolcri. Quelle iene lascive che amavano la tomba e ne facevano giaciglio di tetre passioni. Roma e le sue province abbondavano di simili personaggi, questo era il motivo per cui il Magister quella notte aveva intrattenuto Noctilla congedando anzi tempo le altre Bustuariae.
“Hai stretto rapporti importanti con la vedova Tullia ultimamente, ho bisogno di piazzare alcuni uomini nella sua casa e qualche gladiatore nella scuola del suo fratello lanista, sai che ho sempre bisogno di nuovi Bustuarius da far combattere ai funerali.”
Noctilla si avvicinò all’uomo bizzarramente vestito.
“Avevo sette anni quando ho sognato Ade cinto di serpi proclamare il mio destino, m’ha fatta signora delle tombe e padrona dei fuochi fatui che illuminano i cimiteri nottetempo, allora lo chiamavo Magister, come ora i tuoi idioti chiamano te, ora, dopo anni di servigi, sacrifici e amplessi nella terra della morte io lo chimo padre, sì Ade, dio del sottosuolo è il mio unico padre, ed è molto meglio un padre, come tu ben sai, che cento Maestri.”
Il Magister si innervosì e afferrò una mazza di ferro arrugginito piena di punte atte a sfregio e contusione, pronto a punire la sua impudente allieva. Ma presto la sua mano si immobilizzò, una voce profonda, maestosa rimbombò nella cripta in un malefico eco che paralizzava le membra:
“Noi siamo i figli dell’Oltretomba e la luce ci fiacca le membra, noi conosciamo il rovescio e la lapide dal sotto. Noi siamo invulnerabili, né la vita né la morte ci toccano più. Noi ridiamo della brezza, del frastuono, delle melense, umane moine. Noi non andiamo né veniamo, ci adagiamo sui secoli, attendendo il rogo delle stelle.”
Noctilla sorrise a queste parole, fiera fissò negli occhi il Magister impaurito. Un uomo imponente irruppe nella cripta, il volto di teschio, questa volta reale e non una maschera, un morto vivente alto due metri con in mano un gladio affilato.
La testa del Magister fu tranciata dal collo in un colpo brutale, il sangue imbrattò le pareti secolari del sotterraneo.
“Vieni figlia mia, non temerai mai più...”
Noctilla si avvicinò al gigante dal volto di teschio, lo abbracciò posando il capo sul suo petto possente sentendosi protetta.
“Mai ho temuto padre mio Ade, mio unico Magister.”
“Non chiamarmi più così, avevi ragione poc’anzi, chiamami padre, io che ho mille è un solo volto decomposto dalla morte posso dirti, che è molto meglio un padre che cento maestri.”
Noctilla da quella notte fu padrona di se stessa, continuò ad aggirarsi per cimiteri nottetempo, a partecipare a intrighi e interagire con sicari e cospiratori, senza però mai dimenticare la sua stirpe e il suo sacro lignaggio.
Davide Giannicolo