lunedì 13 dicembre 2021

La cravatta di Nerval



 Non so perché associo sempre il kebab alla Muay Thai che ho praticato scelleratamente per un mese procurandomi odio, vendetta a venire e un occhio nero. Lo scrivo mentre un nero rissoso del Mali sbircia curioso sul mio foglio. Forse perché quando vado in questi posti per farmi un panino, anzi due perché uno non mi basta, in mezzo a questi brutti ceffi e vagabondi, mi viene sempre voglia di fare a botte, sarà l’afrore della carne e dei contorni, che ricorda gli spogliatoi di una sgangherata palestra arabo-francese.

Nessuno vuole servirsi della cravatta di Nerval, così diceva pressapoco Isidor Ducasse che però morí a vent’anni.

Impiccarsi di notte a un cancello nei bassifondi di Parigi.

Piccoli castelli di Boemia o ruderi abbandonati nei paesi vesuviani, che differenza fa?

Meduse di diaspro che braccano il solingo passante al crepuscolo autunnale di campagne brulle.

Sapore d’hashish sulla bocca sitibonda di vino rosso.

Nessuno vuole servirsi della cravatta di Nerval, eppure hai chiuso Mervyn in un sacco di tela e lo hai sbattuto tre volte contro il muro secolare di un ponte della Senna, regalando il fagotto a un macellaio, spacciandolo per un cane rognoso  da sopprimere.

Piccoli castelli di Boemia o spettri nella circumvesuviana che differenza fa?

Ragazzini dal pallore cadaverico dei collegi o delle manifatture, accorrete ad ammirare il vostro corsaro dai capelli d’oro prima che un angelo nero venga a rasare quei boccoli in un’ultima, definitiva metamorfosi.

Sarà davvero così o Maldoror continuerà a mutare facendosi beffa della morte?

Nessuno vuole servirsi della cravatta di Nerval, eppure ne ho visti tanti, morire a vent’anni, senza aver mai ammirato un piccolo castello di Boemia. 

Davide Giannicolo

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