Parlo le mille lingue del sortilegio.
Assiso sulle braci ove dimora la vendetta.
Davide Giannicolo
Necromania e puro amore per decadenza e violenza, poesia oscura, lirismo licantropico, monumentali astrattismi sanguinari, danza di catene e rasoi al chiaro di luna, letteratura notturna, solinga, antintellettuale. Questo è il manifesto del porto dei misfatti, e i viandanti che vi entreranno sentiranno gelidi moncherini carezzare il loro volto, o sinuose sirene, il cui bacio sa di prostituzione e antichità.
Morire a Mostaganem, come Pètrus Borel, lasciandosi andare al sole, circondato dall’ambiguità di maligne bellezze, mentre lontano ridonda il mare col roboante affanno delle onde.
No, se fossi lì preferirei una rissa algerina, con coltelli, denti spezzati e cocci di bottiglie ad affondar nelle carni.
Morire in via Alveo Farina, dove non mi sono mai addentrato, se non fino al ponte, sempre quel dannato ponte, ove scorrevano le auto dei viandanti, per andare chissà dove, mentre io restavo fermo, come un animale spaventato dai fari.
Forse lì sono già morto, e vi aleggia il mio fantasma, su e giù dal ponte al club mediterraneo, alla cabina telefonica a cui strappai la cornetta e che probabilmente non esiste più.
Solo che vorrei proseguire, non temendo Pellellera la strega, anzi andandoci a braccetto, in un pomeriggio di sole.
Poiché sotto l’alveo Borbonico detto miseramente Lagno, scorre la fonte che scende direttamente dal Vesuvio, sotterranea, ha per forza infuso in me parte di essa, ed è per questo che ne sono così attratto.
Una volta giunto alla Benedetto Cozzolino tornerei indietro, porgendo un mazzo di fiori gialli e selvatici a Pellellera, restituendo tutto alla realtà, insieme al suicidio temporaneo del mio testamento di Poeta.
Poi partirei, forse, per Mostaganem, sperando un giorno, di poter tornare, magari con qualche cicatrice in più.
Davide Giannicolo
A San Giorgio a Cremano e Pètrus Borel.