Manolete danza insieme alla morte con serena eleganza.
Il drappo porpora volteggia nell’aria ricamando disegni leggiadri, come la gonna d’una ballerina fatata, mentre lui rimane ritto e immobile, imperturbabile.
Lo spadino celato pronto a finire Islero sfiancato, nella Suerte de Matar.
Recibiendo: antico movimento, nobile postura tra la musica dei plausi e le grida di giubilo.
Il sangue zampilla rendendo reale questo sogno.
Islero ha occhi di brace.
La morte prende per mano Manolete a ogni carica del potente animale, il manto nero come la notte, le corna lunghe e affilate come lame, un diavolo possente e micidiale, allevato appositamente come una macchina da combattimento dal nobile Eduardo Miura.
“Olè”
Grida la folla, sospiri d’ammirazione indiscussa, un angelo sceso tra noi incarna Manolete, eppure egli ha una vita tormentata che grava sul suo cuore di maestro e campione.
Ma nulla conta adesso, la vita è un sogno, una danza leggiadra con la morte, di cui Manolete è innamorato, non vede l’ora di baciare le sue labbra insanguinate di scarlatto rossetto e Islero è il suo colossale messaggero.
La poesia di una rosa che cade sulla sabbia dell’arena come una goccia di sangue.
La passione, il palpito della carne, la lotta, l’obbligo a sanguinare, la danza dell’angelo sceso in terra, Angelo tormentato dagli occhi tristi. Il brusio della calca osannante che lo rende schiavo.
“Maestro voi siete il più grande!”
Lo spadino penetra nella carne di Islero donandogli la morte, ma anche le sue corna affondano in un ultimo guizzo del collo mostruoso nella coscia del genio dei toreri, l’immenso, raffinato, statuario Manolete.
La vena femorale squarciata zampilla fiotti di sangue, rose rosse sulla sabbia dell’arena.
Islero dagli occhi di brace, vermigli come l’ira di Lucifero, ha ucciso il maestro Manolete, Angelo dannato sceso in terra.
La folla resta muta, sguardi attoniti, i petali delle rose si sfaldano, appassiscono.
Aveva solo trent’anni.
Davide Giannicolo