Sangue e Violenza nella Cattedrale
Capitolo Primo:
“Caroline-Louise-Victorine Courrière”
Erano passati due mesi dal massacro compiuto nei bassifondi da Gran Garrota alla Vigilia di Natale. Il canonico Dagger non aveva potuto coprire quell’atto folle, visti i suoi continui tentativi di mantenere la setta satanica e le sue attività illecite nell’anonimato. Gli aveva dunque voltato le spalle insieme a Fravaglio di Triglia e gli altri. L’unica persona disposta ad aiutarlo, dandogli rifugio alla sua villa isolata, era Victorine, una francese infognata nell’esoterismo, praticante di sesso necrofilo e succubato, ex membro della setta del prete scomunicato e anche sua ex amante.
Se ne stava sul divano del salotto circondata da opere d’arte moderna dal dubbio gusto e la difficile comprensione, astratti dai colori isterici sparsi su tele gigantesche e sculture dalle geometrie non comuni. Era nuda, con la vulva ancora impastata dal seme di Gran Garrota, sotto di lei uno strato di ostie consacrate che faceva rubare a posta nelle chiese vicine dalla sua domestica, gli piaceva farsi possedere così, tra le ostie, calpestarle col suo corpo sudato dissacrando in questo modo blasfemo, coi suoi fluidi organici e la lussuria immonda, la santità della comunione e con essa il metaforico corpo di Cristo.
Entrò suo marito, noto cornuto consenziente, non badò affatto a Gran Garrota, anche lui nudo, colossale, che si puliva il glande tra i capelli biondi di Victorine, moglie malata di mente da lui appoggiata in tutto.
“Vado in centro cara, hai bisogno di qualcosa?”
Disse il cornuto, la donna non rispose, mentre giocava con lo scroto di Gran Garrota massaggiandogli le enormi palle pelose.
“Sono stanco di starmene qui nascosto!” Asserì il gigante ignorando il marito della sua protettrice che lasciava il salotto con rassegnazione.
“Lo sai che fai veramente schifo Victorine? Con queste ostie tutte appiccicate addosso insieme alla mia sborra? E quel cornuto mi fa più schifo di te!”
“Me lo hanno detto spesso e in tanti!” Disse la donna ridendo, prendendogli entrambi i testicoli in bocca in un sol boccone, era matta da legare, lo si vedeva nell’abisso malato dei suoi occhi. Risputò le palle di Gran Garrota sorridendo come una ragazzina pazza:
“Devi startene qui buono, dopo tutto il casino che hai combinato alla vigilia, mezzo quartiere ha dato una tua dettagliata descrizione, hai lasciato il tuo lavoro di copertura in fabbrica destando ancora più sospetti, ma d’altronde non potevi fare altro; quelli della setta, di cui tra l’altro non eri membro ma solo un manovale assassino e rapitore, ti hanno chiuso tutte le porte, ti resto solo io dunque mio caro, solo la tua Victorine e quel cornuto di suo marito. Sono il tuo unico rifugio, ti svuoterò queste palle come fa una vampira col sangue, questa notte ti mostrerò come faccio a fare sesso coi fantasmi tramite il succubato, al quale mi ha iniziata lo stesso Canonico Dagger quando eravamo amanti.”
Gran Garrota sospirò strozzando momentaneamente Victorine con la propria verga ritornata dritta e liscia grazie alle manovre di quella pazza.
Lo stava spompando da mesi con ninfomania irrefrenabile. Era proprio nella merda nelle sue mani, prigioniero in quella villa, malediceva la Monaca grassa della setta: quella che aveva abbandonato l’abito condotta sulla cattiva strada dal Canonico Dagger; era stata proprio lei a presentargli la folle e insaziabile Victorine.
Capitolo Secondo:
“Le delizie del Succubato”
Quella sera stessa alla villa di Victorine arrivò una processione di macchine lussuose. Gli ospiti si riunirono nel salone, c’erano la grassa monaca scomunicata e la ragazza ululante. Fu preparato un rituale: tra candele in circolo, al buio, una adolescente dai seni acerbi venne fustigata sotto gli sguardi crudeli da Gran Garrota, travestito da boia, in modo che nessuno potesse riconoscerlo.
Seguì un’orgia perversa in cui tutti, in un languore estatico, si accoppiarono con tutti, in effusioni promiscue e dissolute.
Gran Garrota sventrò la ragazza ululante col suo grosso membro. Non contento, col suo coltello a scatto dalla lama nera, le squarciò il ventre e iniziò a frugare con le mani nel caldo, sanguinante nido scarlatto delle sue viscere.
A sacrificio umano compiuto accadde qualcosa di strano:
Un grosso lupo mannaro apparve nel salone, il cui manto bruno era illuminato dal chiaro di luna, che filtrava attraverso le ampie vetrate. Era una lupa femmina, perché iniziò immediatamente a violentare Gran Garrota costringendolo a stare steso su di un divano, dopo essersi infilata l’arnese di lui tra le coltri della sua pelliccia, ove si celava una vulva cremisi e pulsante, cominciò a cavalcarlo ululando, sbavando sul suo petto filamenti luminescenti che le colavano dalle zanne gialle, come il colore sordido che assume una luna psicotica che seduce alla febbre del misfatto.
Victorine era fuori di sé, impazzita si provocò mediante uno stiletto un profondo taglio obliquo che da un seno le arrivava fino al pube, fulvo come la pelliccia di una volpe selvaggia.
Il pallore della sua pelle pareva rifulgere nel buio della stanza quando, dopo il suo atto, avvenne un ulteriore prodigio.
Capitolo terzo:
“Scambio di Corpi”
Mentre veniva cavalcato, improvvisamente Gran Garrota si rese conto di non essere più nel proprio corpo ma in quello della Lupa, praticamente stava violentando sé stesso.
La Lupa era in Gran Garrota e urlava di piacere facendo tremare i vetri della villa.
Il cadavere sventrato della ragazza ululante fu posseduto dallo spirito del Marchese De Sade, ospite improvviso giunto sotto forma di spettro, che iniziò a strangolare chiunque si trovasse a tiro, con una forza impossibile da riconoscere in un corpo minuto come quello dell’ adolescente di cui il “Divin Marchese” aveva preso possesso. Era assolutamente inquietante insomma, vedere quella ragazzina completamente nuda, spezzare le vertebre del collo degli altolocati ospiti, mentre li affogava con le sue dita sottili e affusolate da violinista, fino a fargli sputare sangue a fiotti sugli acerbi seni d’alabastro.
Terminato l’amplesso brutale, Gran Garrota nel corpo della lupa, che mai in vita sua aveva sperimentato il godimento femminile, avendolo molto apprezzato, soprattutto in quella qualità animalesca, violentò il marito inetto di Victorine, uccidendolo sul posto, infilandogli gli affilati artigli in gola, con ancora il membro di lui tra le gambe pelose.
Poi trucidò per vendetta la grassa monaca sacrilega in un rapporto saffico, la decapitò mediante le lunghe zanne dopo averla sbranata e gettò la sua testa contro le vetrate, infrangendole.
In seguito a quell’atto plateale un freddo penetrante si insinuò nella stanza, come un fantasma, concedendo al gelido alito della notte di smorzare le fiamme del camino che fino a poc’anzi ardeva impetuoso, come le anime infernali di quei libertini dissoluti, rotti a ogni peccato.
La lupa nel corpo di Gran Garrota fotteva a sangue Victorine che era entrata nel corpo del Marchese e dunque viceversa il Marchese veniva stantuffato dalla lupa sanguinando nelle parti intime, traendone lubrica estasi; mentre Victorine nel corpo del Marchese, il cui spirito s’era impossessato del corpo di suo marito cornuto, si inculava i cadaveri dei suoi ospiti, uccidendo a colpi di revolver, spappolando il cervello, dei pochi che restavano vivi.
Fu insomma un delirio totale dalla dubbia comprensione.
Capitolo Quattro:
“Vendetta”
Approfittando del corpo della Lupa, Gran Garrota pensò bene di fuggire attraverso le vetrate sfondate dalla testa decapitata della monaca.
Compì un balzo prodigioso abituandosi già a quelle carni nuove, pelose e sovrumane.
Atterrò in giardino in perfetto equilibrio e prese a correre tra i boschi che circondavano la villa deciso a raggiungere la città.
Sbavava irrequieto mentre si inebriava della brezza notturna; perfettamente a suo agio, eccitato dalla sinfonia di odori intorno a sé.
Una condizione magica, meravigliosa.
Raggiunse la cattedrale, dove il canonico Dagger e il suo braccio destro Fravaglio di Triglia, celebravano abusivamente una messa nera per un vasto pubblico di ricchi, completamente nudi, dissoluti e squallidi figli di puttana.
La licantropa sfondò il portone della cattedrale, compiendo un massacro in pochi istanti.
I corpi nudi e mutilati, dilaniati da zanne e artigli si ammassavano come in una fossa comune. Gli astanti non avevano nemmeno avuto il tempo di comprendere la natura della loro sorte beffarda.
Le gambe del furbo e scaltro Fravaglio di Triglia furono separate dal tronco e gettate nel rosone gotico della cattedrale, infrangendone i vetri centenari; rendendo visibile una rossa luna di sangue.
Il tronco grondante fluido scarlatto di Fravaglio di Triglia fu gettato contro il Canonico Dagger, che tentava di scappare tra le panche ricoperte di cadaveri.
Atterrato da quei resti umani ancora caldi a lui tanto cari il canonico pronunciò queste parole:
“Chi sei possente demone? Quale furia muove la tua ira funesta?”
“Sono Gran Garrota coglione! Pensare che la scorsa vigilia di Natale abbiamo mangiato insieme… E tu mi hai tradito bastardo, voltandomi le spalle insieme alla squallida combriccola di rammolliti che ti circonda!”
Il canonico tentava di giustificarsi, ma già fauci enormi gli divoravano la faccia estirpando pezzi di volto, spappolando le ossa del suo cranio.
Capitolo Quinto:
“Epilogo”
“Ho seppellito con l’aiuto di amici tutti i morti, qualcuno l’ho mangiato, ce n’è ancora per cena, delizioso il cannibalismo, quasi pari alla necrofilia o al vampirismo, se vuoi serviti pure, ma anche tu sei stato meraviglioso, hai fatto fuori quel presuntuoso di Dagger e nessuno potrà risalire a te, perché tutti i testimoni non hanno visto altro che un grosso licantropo incazzato che è tornato sui monti così com’è venuto. Fossi stata in te però (è proprio il caso di dirlo dopo il folle e ironico scambio di corpi della notte scorsa) io l’avrei bruciata la cattedrale, sai che spettacolo a notte alta al chiaro di luna! Anche l’occhio vuole la sua parte, ma tu mon cher, non hai certo un animo raffinato come il mio! Hahahahahahahhahahahahahah.”
Gran Garrota si risvegliò il giorno dopo nel proprio corpo, ascoltando queste parole stravolte dalla isterica risata di una pazza furiosa.Aveva l’ano sanguinante a causa di non si sa quali oscure pratiche.Victorine, pallida come un foglio di carta era a cavalcioni, completamente nuda, su di lui; fissandolo con i suoi soliti occhi da squilibrata irrecuperabile…
…e aveva ancora voglia di cazzo!
Davide Giannicolo
A Huysmans










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