mercoledì 23 maggio 2012

Divina d'orrore



Pallori diafani sul suo corpo,
porcellana gotica.

Ali d’ebano nere,
mio malato angelo.
Corvine le chiome
fluttuano librate
nel turbine della sua bellezza.

Incede,
languida, nera duchessa decaduta.

Ai polsi profondi tagli,
la bellezza del suicidio
aleggia nei sublimi lineamenti suoi.

Nel nero velluto delle consunte vesti,
scorgo tracce di lutto che accarezzano
il lugubre pallore delle membra.

Poi le sottili dita adunche e fragili e
il cremisi, rubicondo, eterno bacio
dell’affilato stiletto sui suoi polsi.

Gemelle fiamme di tormento i suoi occhi,
incantano di malinconia straziante.

Vaga mesta per cimiteri d’autunno,
celebra la morte,
divina d’orrore ella muore e risorge ogni notte,
e nemmeno la fiamma del mio peccaminoso amore
riscalda le sue membra gelide.

Testo di: Davide Giannicolo

Desiderio




Un candito frutto,
cinto di carnale disio,
sulla terrazza arsa dal sole
indugia.

Allungo le mani,
deciso
nell’atto di coglierlo.

Soavemente le mie dita
all’apparenza brutali,
carezzano la superficie liscia e sinuosa
che sembra carne ardente.

Fremono le foglie
al mio tocco leggero
che man mano
di desiderio è impregnato.

Un mango succoso
o qualcosa di simile,
poiché in terra
mai ho scorto
qualcosa ad esso affine.

Si agita,
spasmodico,
il mio desiderio,
ed è più forte di qualsiasi moto interiore
l’impulso di posarvi le labbra.

La mia bramosia,
diviene ossessione,
assaggio avidamente
la vellutata scorza
che racchiude in sé
sapori riconducibili ad un metafisico incanto.

Ed eccomi ubriaco
del succo divino,
stordito,
ormai totalmente assoggettato
a quella malia delicata
dal vivido sapore.

Sento quasi dei gemiti soffusi
innalzarsi,
mentre il sole ardente
infiamma questo singolare amplesso,
poiché io sono carne
che s’unisce sempre più con vigore
a qualcosa che è composta
dell’essenza di un fiore.

Maggiormente si dischiude,
aprendosi completamente alle mie labbra
ormai avide,
polpa sublime,
rossa,
intrisa  d’essenza divina.

Chiari sono i gemiti adesso,
di entrambi,
il frutto e la carne,
si mescolano divenendo un'unica cosa,

era forse intriso di un narcotico elemento
quel succo vermiglio
che ora cola dalla mia bocca mai sazia?

Poiché mi sembra d’entrare totalmente
in quella densa,
inumana porta,
che la buccia mi ha aperto
concedendomi l’estasi.

Fremo,
e pare che anche il frutto lo faccia,
s’innalza l’incanto,
unendoci in questo banchetto surreale.

Cos’ho realmente fra le mani
Se non desiderio?



Testo: Davide Giannicolo
Immagini: Caravaggio e Fabrizio Beretta