Dal libro di Volcidor:
Affondò la mano nella calotta cranica
scoperchiata, vi estrasse una manciata di vermiglia poltiglia e la portò alla
bocca. Il suono della masticazione, unito al carminio truculento che gli
tingeva i denti affilati, gli conferiva un aria da predatore, quale in effetti
egli era.
“Stupidi, giocano, annoiati dalla loro
misera condizione di uomini, cercano una via maestra, non sanno che l’unica via
è nella lama, nel sangue, nelle interiora, nella morte!”
Ruttò poi sguaiatamente, Gorgoth non era
uno che andava tanto per il sottile, poi si lisciò le corna pelose, facendoci
passare più volte i neri artigli, tanto da emettere fulgenti scintille; luci
che gli umani, attraverso l’abisso del cosmo, avrebbero ammirato come danzanti
stelle.
“Pensare che alcuni li invidiano, altri
Dei invece li aiutano, mostrandogli i loro patetici sentieri, quante volte lo
devo ripetere che non c’è altro linguaggio che il dolore per loro? Sono il
nostro sollazzo!”
Afferrò il teschio con entrambe le mani e
bevve la sostanza scarlatta ivi contenuta di cui prima aveva mangiato la
poltiglia, mentre ora ne suggeva il nettare, imbrattandosi mento e petto.
“Voglio giocare un po’ anch’io con loro
dunque, risponderò a qualche chiamata”.
“Anche tu sei come loro Gorgoth!”
Era stata Astarte a parlare, che con la
sua voce bitonale, sia maschile che femminile, si era annunciata discendendo i
gradini di pietra grezza della grotta; il suo corpo flessuoso, l’ignudo piede
bianco come il nucleo di una stella, l’effluvio di eternità che ella emanava,
sottomisero la brutalità di Gorgoth.
“Anche tu ti annoi, dipendi da loro,
invidi le loro incertezze, lo testimonia il fatto che non fai altro che
osservarli!”
“Cosa dici? Noi siamo i loro aguzzini, i
loro nemici, se così si può dire, visto che io considero mio nemico chi è degno
e capace di fronteggiarmi!”
Astarte si carezzò il seno sinistro,
perfetto, madreperlaceo, poi rise di gusto.
“E allora dimmi, che senso avrebbe la tua
eternità senza di loro?”
Gorgoth tacque, fissò Astarte con odio
mentre ancora la materia organica gli colava lungo il mento, poi grugnì, come
solo una nera bestia forgiata dal fuoco argenteo del cosmo in cui è stata
esiliata può fare.
“Sei venuta per adirarmi sgualdrina!?”
“Sai che amo stuzzicarti! Ma no, non sono
venuta per questo!”
“Allora perché violi la mia eterna
solitudine?”
“Il nostro esilio deve finire, se loro
possono avere contatti con noi, o meglio, con gli dei che essi invocano, ebbene
allora anche noi possiamo fare quello che ci pare lì da loro no?”
“Non ti capisco Astarte!”
“Capirai presto caprone, molto presto,
qualcosa si è infranto, e io ho intenzione di allargare la crepa”.
Astarte si vestì di petali d’avorio e polvere
d’ametista, innalzando nell’aria l’effluvio della grazia unita alle calde spire
di quella sua demoniaca, ammaliatrice seduzione; quella fragranza aliena
all’umana comprensione raggiunse le narici di Gorgoth, abituate da tempo ormai
solo allo zolfo e alla materia organica con la quale amava trastullarsi.
Non poteva accettare cotanta bellezza, era
contro ogni suo fondamentale principio, egli non poteva che soggiogare la
grazia, distruggere le linee simmetriche e armoniose che costituivano il corpo
di Astarte; eppure il sangue focoso di Gorgoth cominciò a danzare in violenti
sobbalzi, se sangue demone può possedere, forse sarebbe più appropriato
chiamare ciò che scorreva nel corpo di Gorgoth con il nome di fiamma, ebbene
Gorgoth si chinò dinnanzi a quell’androgino splendore.
“Cosa fai Astarte?”
Ella non rispose, silente e dispettosa
come una statua di brina; il suo corpo però cominciò a mutare in una sulfurea
trasmutazione, le esili, eleganti corna si ritirarono, così come i seni, che
lasciarono spazio ad un muscoloso petto di uomo, la chioma, da lunga e corvina
che era, divenne corta e meno nera, se vogliamo più umana, gli occhi rossi
furono sostituiti da due opali verdi, stupendi, scintillanti nelle loro
striature dorate.
Astarte era divenuta uno splendido
giovane, che nudo avanzava verso Gorgoth suscitando in questi una rabbiosa
repellenza.
“Cavalcherò le stelle e raggiungerò la
terra, come non faccio da tempo, vieni con me?”
Il giovane sorrise ammiccando, era ovvio
che per Gorgoth ci sarebbero state allettanti ricompense, ma il demone era
troppo orgoglioso e affezionato alla sua solitudine per accettare.
“Cosa vuoi che faccia laggiù? Non ci andrò
se non per disseminare violenza e barbarie, e sai bene che per adesso questo
non mi è concesso! Siamo relegati qui da eoni ormai, esiliati da forze che non
ci appartengono!”
“Non capisci ancora Gorgoth? Non comprendi
stupido bestione che ho trovato un modo?”
“Và pure oh maestà serenissima di accidia
e lussuria, io sono troppo abituato a stare solo con me stesso!”
Gorgoth pronunciò queste ultime parole con
una punta di amara malinconia, chinando lo sguardo dimostrò di non essere
composto unicamente di zolfo e brutalità.
“Fai come vuoi, resta a osservare
passivamente le gesta di coloro che potresti sbranare, tanto già so che mentre
mi osserverai morirai dall’invidia, l’orgoglio è un sentimento che si avvinghia
alle granitiche viscere di quelli come te!”
In un attimo eterno Astarte divenne pura
luce, si innalzò nel cielo nero mescendosi allo spazio siderale che li
attorniava, poi, il lucore abbagliante si distese come un sudario, allargandosi
flemmaticamente, con eleganza imperiale, poi, simile ad una cometa, il fascio
di luce argentea solcò lo spazio eterno che lo frapponeva alla terra,
raggiungendo in breve la dimora degli uomini…
1
Filippo aveva sonno, le palpebre gravavano
sugli occhi come lembi di carne morta, era ora di chiudere quel libro assurdo
che aveva trovato nei vecchi scatoloni del suo defunto padre: “Il libro di
Volcidor”.
Che follia, chi diavolo era poi questo
Volcidor? In copertina non vi erano riportati né editore né data di stampa,
doveva essere un libro antico, di quelli che hanno le pagine ingiallite che
sembrano sgretolarsi sotto le mani, eppure suo padre non gli sembrava affatto
il tipo capace di leggere simili idiozie.
Poggiò le mani sulle ruote della sedia a
rotelle e si diresse verso la finestra, pensò a quelle sue mani callose, ormai
abituate da anni a fare pressione sui cerchi metallici che erano divenuti le
sue gambe. È dura essere paralizzati dal bacino in giù a diciannove anni,
questo genere di avvenimenti ti fanno pensare con ricorrenza alla morte,
lanciarsi al di là dei vetri e schiantarsi violentemente sull’asfalto,
procurarsi una rivoltella e farsi saltare le cervella; erano questi i pensieri
di cui spesso era preda; poiché pensava di essere ancora vergine e non poter
mai stare con una donna, di non avere mai provato quella carnale ebbrezza di
cui tanto si parla, ovunque, a scuola, in tv, nei libri, nei film; il mondo
gira intorno a quello eppure lui….
Vaffanculo ai demoni, vaffanculo al mondo,
fanculo anche alle troie, perché non c’era solo quello, c’era che non poteva
più correre, né saltare, né fare qualsiasi altra cosa che è congeniale a un
giovane della sua età, come per esempio ballare, o semplicemente prendere a
calci in culo qualcuno.
Non voleva essere come quei patetici
imbecilli che fingono che vada tutto bene, che sfruttano la compassione degli
altri, simulandosi felici, solo per sopravvivere.
Il suo cuore era pesante, oberato da una
tristezza insopportabile, non usciva di casa ormai da settimane, leggeva di
continuo, rifiutando qualsiasi spiraglio che gli rivolgeva il mondo esterno,
ringraziava soltanto il sonno che lo narcotizzava per qualche ora, aveva
infatti pensato di darsi alle droghe, un passatempo ingegnoso per uno che non
può più fare un cazzo.
“Ho bisogno di prendere un po’ d’aria, sento la testa pesante, sembra
che le vene delle tempie stiano per scoppiare”.
Aprì la finestra e contemplò per qualche
minuto la volta celeste, l’aria della notte, pregna di lontane fragranze, si
insinuò nei suoi polmoni spalancando le ali piumate di umori reattivi.
Di tanto in tanto qualche automobile
percorreva la strada sottostante.
“Nemmeno guidare, nemmeno provare
quell’ebbrezza!”
La depressione si impegnava a scavare vie
scarlatte nella sua testa, c’era però la fragranza della notte, l’unica cosa
che lottava in suo favore per allietarlo, seppur brevemente. Dopo qualche
minuto Filippo decise di chiudere la finestra e andare a dormire, proprio
mentre stava per farlo, una stella cometa sfregiò il cielo con la sua fulgida
scia, proprio come quella che era divenuta Astarte nelle pagine del libro che
stava leggendo.
“Esprimi un desiderio Filippo!”
Ed egli lo espresse.
Davide Giannicolo