Faville rinchiuse in un lebbrosario
sognano il cielo
per tener testa alle
stelle.
Invece si spengono su
facce devastate dall’ignavia,
in una pioggia morente
che a mala pena
illumina
i funebri stanzoni
impregnati di dolore.
Il rombo delle onde
marine è lontano,
silfidi mutilate
al massimo appaiono in
sonno
ai cadaveri umani
che non dormono mai
e tendono le mani
affinché
tutto ciò che vi sia
di nobile
in me svanisca
e segua la loro
vacillante andatura
che conduce a un
purgatorio di colpa e perdizione ambivalente.
Con me ho una lama
grossa e ben
bilanciata
così da impedire ogni tocco delle empie creature,
nuove faville,
la lama si schianta
sul pavimento lercio di piscio,
non ha timore
chi brama la salvezza
e impugna l’acciaio
che non ammette
mescolanza.
Non ammette purgatorio
chi sa d’esser nel
giusto.
Davide Giannicolo
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