Era un quartiere residenziale, palazzi, villette a due piani con giardini curati, qualche campo da calcio e piccoli parchi per bambini. Tutto era tranquillo in quel primo pomeriggio di fine estate. Il caldo era intenso, la gente riposava rintanata e gli unici suoni erano brusii lontani di programmi televisivi pomeridiani attui a conciliare il sonno.
Evil Bokken si aggirava in quelle strade silenziose, la solita spada di legno poggiata sulla spalla. Spiava dalle finestre i soggiorni vuoti, i balconi deserti, i giochi immoti, tutto era paralizzato, inerte, e lui pareva lo spettro della controra.
La canotta nera era intrisa di sudore, i pantaloncini blu oceano ricoperti di umide chiazze, le ciabatte frusciavano sull’asfalto come lo strascico di una sposa morta.
Aprì il cancello di ferro, piccolo e ben fatto, di una delle villette oppresse dal caldo e dal silenzio. Entrò nel vialetto sorridendo, qualche uccellino cinguettava suggerendo armonie nipponiche.
Presto anche lo scrosciare di una fontana si unì al canto soave degli uccelli, sul prato del giardino ben curato un uomo si stava allenando con una katana scintillante. I suoi movimenti erano fluidi e sereni, peccato che il cielo turchese fosse offuscato dai palazzoni che come grigi alveari sembravano opprimerlo.
Quell’uomo era stato il maestro di Evil Bokken, prima che questi violasse ogni principio di forma e disciplina della sua scuola di Kendo. Questi deglutì quando si accorse del gigante, ritto e immobile dinnanzi a lui.
“Sei occidentale, eppure ti credi un conservatore, non hai mai accettato il mio stile da combattente della strada e hai cercato di impormi il tuo, vecchio e obsoleto, morto e dimenticato, buono solo per i tornei di sfigati a cui fai partecipare i tuoi allievi”.
Il maestro sorrise e alzò la lama in posizione di guardia, fece strisciare lentamente i piedi nudi sul prato rasato di fresco.
Fu Evil Bokken a parlare ancora, immobile, come un immenso monumento foriero di potenza:
“Adesso vedremo chi tra noi due aveva ragione!”
Fu fulmineo nonostante la mole possente, in un attimo fu sotto il suo maestro e con il manico del Bokken girato al contrario colpì ripetutamente la sua bocca. Questi cadde nell’erba, sputò denti e sangue scarlatto mentre il gigante contemplava la sua opera, sembrava non avere fretta e di essere in cerca di un lento pestaggio.
Il maestro falciò l’aria con un colpo orizzontale all’altezza delle ginocchia di Evil Bokken, lo scalfì soltanto mentre si allontanava all’indietro con la velocità nuovamente inaspettata per un uomo della sua mole. Al balzo seguì un colpo dritto al centro della testa del maestro, che si aprì come un’anguria zampillando succo rosso, rugiada mattutina, scarlatta anziché diafana, si sparse tra i fili d’erba.
Il getto di sangue era imponente, il maestro vacillava ma ancora aveva la spada tra le mani ed era riuscito ad alzarsi.
“Questo non è un tatami, questa è la vita, sporca e infame, prova a meditare ora maestro, prova a contrastarmi con le tue stronzate!”
Un colpo di punta, in gergo detto Tsuki, sferrato in un tuffo in avanti a braccia tese con tutto il peso di Evil Bokken, fracassò la carotide del maestro facendogli vomitare immediatamente sangue. Se la spada fosse stata d’acciaio, anziché di legno, lo avrebbe trapassato con facilità estrema.
Il maestro annaspava in terra tossendo, non respirava mentre il suo sangue s’impregnava al terreno.
Evil Bokken lo colpì ripetutamente con la sua mazza ricurva, spezzando le rotule, le ossa delle mani, le vertebre del collo, fracassando sopracciglia e bulbi oculari.
“Io sono un guerriero della strada, non un patetico mestierante come te, tu inganni i ragazzi e ti nutri delle loro debolezze, ti fai pagare per fare il pagliaccio e non tieni conto delle capacità del singolo, è colpa tua se quel giorno ho perso contro il tuo pupillo, tu volevi che andasse così, mi hai braccato con le tue stupide regole, e sono stato umiliato, non te lo perdonerò mai maestro, è così che laverò la mia onta bastardo!”
Un ultimo colpo, potente più degli altri, aprì la testa a metà vomitando pezzi di materia cerebrale sul prato verde, fu così che il maestro si spense per sempre.
Capitolo terzo: il miglior allievo
Ancora sporco di sangue Evil Bokken si recò alla palestra vicina, dove sapeva avrebbe trovato il suo vecchio rivale, a cui il maestro aveva affidato il dojo.
Era ormai sera, la luna lastricava d’argento il passo del combattente urbano, guidandolo verso il tempio del suo rancore.
Spalancò la porta, il pupillo non era cambiato, si spaventò nel vederlo irrompere.
Senza proferire verbo Evil Bokken lanciò la spada di legno contro uno specchio a parete frantumandolo. Poi a mani nude, massacrò ogni allievo, ben presto non vi fu più specchio alcuno, restavano solo le nude mura e l’intonaco ammuffito. Usò uno stile brutale, da lottatore occidentale, calci nelle palle, testate, pugni nei timpani, rissa organizzata, furore metropolitano.
Restò il cavallo rampante della scuderia, l’allievo su cui il maestro aveva puntato ogni cosa, riversandovi tutto il suo sapere, doveva cancellarlo, come si distrugge una casata nemica che ci ha recato grave e incancellabile offesa.
Evil Bokken infilò un tirapugni sulle nocche della mano destra, e ogni suo colpo andò a segno. Il volto del pupillo non esisteva più, solo schegge d’osso maciullato e impasto di sangue ora sormontavano il corpo supino, nemmeno uno dei suoi colpi di katana aveva scalfito Evil Bokken.
“Come immaginavo, non valevi un cazzo”.
Una latta di benzina lavò i corpi morti, un fiammifero scintillò nella tenebra serena della sera estiva, poi il crepitare sinuoso delle fiamme che sciolgono il rancore, il fumo della vendetta che si innalza al cielo.
Il passato bruciava, lasciando spazio a un maestoso presente.
Davide Giannicolo
Continua...forse.