“Ciliegio Cremisi in Sboccio” era il suo Shikona, ovvero il nome da combattimento che gli era stato dato prima di aver disonorato il mondo del Sumo professionistico. Nonostante il rango di Yokozuna, massima aspirazione per un lottatore, per giunta straniero, Gaijin, né giapponese tantomeno asiatico. Era tutto cominciato con le donne e il bere, qualche rissa in locali notturni con la testa ubriaca e la mente ormai annebbiata da una dimensione di totale aggressività, alla quale lo aveva portato lo stile di vita medioevale nipponico imposto dal suo rango. La violenza era ormai il suo linguaggio e i suoi 180 kg per un metro e novanta non avevano aiutato a non sfasciare cose preziose e mandare gente in ospedale, con gravi conseguenze, durante queste sue uscite mondane. Era stato dunque esortato ad abbandonare sia il rango che il Sumo. Un simile comportamento non si confaceva a uno Yokozuna, un grande campione, che doveva anzi essere esempio di eroico decoro alla stregua di un semidio. Ma il culmine giunse quando continuò a disonorarsi anche dopo il ritiro, sotto gli occhi dei media, ricoprendosi di tatuaggi e partecipando a combattimenti di arti marziali miste dalle regole poco trasparenti. Non aveva mai perso, molti lottatori erano stati ridotti a vegetali in sedia a rotelle dalla sua furia irrispettosa e sprezzante. Insomma aveva molti nemici, dalla Yakuza alla federazione nazionale di Sumo, fino ad arrivare ai cari delle persone che aveva ridotto in fin di vita.
Nonostante questo il suo sonno era tranquillo, russava ubriaco di whisky giapponese, completamente nudo, tra le pareti di carta della sua casa tradizionale, uno Yokozuna è legato alla casta dei samurai e lui si sentiva ancora tale, nonostante non fosse giapponese, ad attestarlo c’era la rarissima katana esposta sull’apposito trespolo di fronte al suo futon. Il killer gli fu addosso e sferrò un colpo di lama al collo, fu l’istinto a farlo girare di scatto nel sonno in modo da deviare il colpo e lo spesso strato di grasso che ricopriva il suo petto a salvarlo da una ferita letale. Sanguinava ugualmente come un maiale sgozzato però, mentre afferrava il ninja che si era introdotto nella sua stanza e lo scagliava contro pareti e mobilio, il sangue cominciò a spargersi ovunque, imbrattando il candore intorno con schizzi e pennellate di frenetica pittura scarlatta.
Applicò una presa potente allo shinobi e iniziò a strangolarlo, fu allora o poco prima, che sentì sotto le mani due seni vezzosi, delle curve succulente sui fianchi, ed ebbe una sadica erezione tra gli effluvi del suo stesso sangue. Si era dunque accorto che l’assassino era una donna, strappò le tradizionali vesti nere da shinobi e le lasciò la maschera, la girò di schiena costringendola a stare a quattro zampe come una cagna che offre al cielo il suo sesso rosso e palpitante. Serrò poi l’enorme mano sulla fragile nuca di lei che ricordava nel colore il nitore di un cigno, facendole capire in modo tacito, stringendo forte con le dita possenti, che avrebbe potuto frantumarle le vertebre del collo in qualsiasi momento.
“Ti conviene stare ferma e sottomessa, è il tuo unico modo di sopravvivere!”
Sputò sul proprio membro ipertrofico che già gocciolava di tetro e violento desiderio; il sottomettere il nemico e sopraffarlo con la propria enorme mole lo aveva sempre eccitato, possederlo adesso era l’apice di ogni sua fantasia morbosa di stupro e spargimento di fluidi. Ancora il sangue si riversava caldo e copioso sul suo petto diffondendo umidore, freddo e odore di ferro arrugginito. Infilò il membro nell sua vagina, udì un gemito delicato di colomba ferita, spinse sbavando, gonfiando i muscoli enormi come un orco fuori di sé, ma improvvisamente si udì uno scatto metallico, simile a quello dei coltelli a pulsante, come di molla e cesoia. Il lottatore si tirò indietro, non aveva più il pene tra le gambe, era rimasto nella vagina di lei, rapito come la preda di un mollusco predatore tra valve taglienti. Un violento fiotto di sangue erompeva simile a una fontana cremisi dal suo pube peloso, anche lei a pecorina sanguinava dalla vulva a causa del moncone mutilato, intrappolato tra le labbra maligne del suo sesso; era rimasta immobile nella sua posizione sottomessa, continuando a offrire alla vista i suoi genitali imbrattati, fica inerme eppure letale, rossa, spalancata e lacrimante come in sacrificio.
L’imbattuto Yokozuna barcollò all’indietro con in volto un espressione incredula, il suo sangue aveva allagato il pavimento, cercava vanamente con le mani di afferrare nuovamente i candidi glutei di lei come a volercisi aggrappare disperatamente, infine cadde in terra in un tonfo colossale. Allora la shinobi si alzò dal futon ormai tinto interamente di cinabro sanguigno, estrasse la trappola metallica dalla sua vulva insanguinata, tutto il suo corpo era cremisi come se avesse fatto un bagno nel sangue. Si trattava di un congegno a molla che si era introdotta precedentemente tra le gambe, un segreto ninja che non ci è dato conoscere, una sorta di ghigliottina taglia sigari. Solo con quel trucco, quel malvagio espediente, l’esile assassina avrebbe potuto sconfiggere il gigante, aveva infatti un braccio rotto e due dita frantumate alla mano opposta.
Fu così che il grande campione, dissoluto e ribelle, venne sconfitto per la prima volta, messo a terra definitivamente nella pozza del suo stesso sangue.
Davide Giannicolo
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