Tra le scale del vecchio palazzo in un giorno senza luce aleggia profumo di trauma.
Deicidio striscia tra le natiche di ogni prescelta come il filo di un tanga, si impregna dei nasturzi del loro sfintere, gli afrori del loro sudore, ed esplode negli uteri in risplendente sfavillio di spore diamantine.
Tutta la vita è assoluto nichilismo abbellito dagli orpelli del desiderio.
Percorro la città deserta alla ricerca di una copertina e incontro il fantasma di una pittrice geniale, salgo le scale della sua casa silente, mi accolgono i suoi anziani genitori, così viene confezionato il gioiello del mio primo capolavoro. Poco più in là il surrealismo di una puttana ai margini della città nei più squallidi bassifondi.
Profumo di trauma tra le strade spettrali di una domenica morta nella mia automobile scassata, il poeta ha il suo poema.
Poi c’era la troia degli alberi bassi che si nascose nello scroto del dio ubriaco. Disio assassinato perso in un pessimo ritratto che fu ugualmente rilegato nell’opera.
Tutto svanì nel nichilismo degli astri, tutto è ancora lì, oltre il portale popolato dagli spettri del ricordo.
Una Napoli immota di primo pomeriggio, surreale come un quadro di De Chirico che per quello tanto mi impressiona, diede vita all’estetica del mio artifizio.
Inchiostro nero, sperma di seppia, che nottetempo s’erge come creatura mostruosa, e ancora oggi, e nei secoli, striscerà come il filo di un tanga, tra le natiche di ogni prescelta, in oscuro sacrificio.
Davide Giannicolo
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