giovedì 8 agosto 2024

Calipso


 

La spuma delle onde si tinge di rosso cinabro infrangendosi contro scogli ostili, neri rasoi che celano incubi e lamprede, fino a condurre alla sabbia frastagliata di cocci di gusci marini e cadaveri di granchi bianchi come spettri, la mia prigionia.

Ulisse, sette anni, ricordi ancora il tuo nome?

Incantesimo, stregoneria, l’eterna solitudine di Calipso. Non mi libererà mai, non tornerò, o sono io a non volerlo?

Olezzo di alghe marce, isola deserta, letto di conchiglie, inerzia, sortilegio, non riesco a muovermi. 

Cuore straziato.

Nostalgia.

Costrizione.

Isocrono dolore.

Non voglio, non riesco ad abbandonarla.

Il mare si scaglia contro le rocce giorno e notte, luna sanguinante, sole nero, monotonia, ipnosi, sogno. 

Il suono di una malia senza tempo che il tempo cancella, non sono più me stesso, non esisto più, prigioniero dell’amore di Calipso. La amo anch’io? Me ne sono convinto o mi ha persuaso il meccanico lamento delle onde?

Non è come essere preda delle mostruose fellatio di Scilla e Cariddi, di viscose zanne e taglienti bivalve.

No, questo è ugualmente un incubo, composto però di immobilità ed eterno silenzio, impotenza arrendevole, catena invisibile, peso schiacciante sul petto, paura dell’ignoto e del domani lontano da lei, anche se ella mi repelle come la carezza di una medusa tra i fluttui notturni.

Non posso, non voglio tornare, non posso non voglio abbandonarla, la amo, ho paura, l’isola mi inghiotte, incantesimo, malia, affascino, sortilegio.

Il suo sesso rosso e salato m’annega in un mare di sogno, polpi e murene m’avvinghiano senza che io possa formulare nemmeno un pensiero.

Penelope, mia amata, dimentica i giorni felici, non attendermi, io sono perduto.

Davide Giannicolo

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