DAVIDE GIANNICOLO
Solo duri come
l’asfalto che le natiche ti abbevererà di dolore
Era tempo ormai che nel paesino accanto al mio si sviluppava
un crescente fenomeno alquanto bizzarro. Una comunità di lesbiche sbucava dal
nulla divenendo sempre più fiorente.
Io avevo avuto modo di conoscerle tramite un tipo di cui
sospettavo l’omosessualità, un tipo gracile e indifeso molto coinvolto in studi
esoterici e pratiche occulte, questo mi avvicinò a costui, e mi domandavo
perché i froci sono tutti gracili e indifesi, che monotona paranoia.
In quel periodo mi
accostavo sempre più ad una virile misantropia, la mia barba lunga mascherava
il volto d’un ombra funesta che ispirava
molte volte violenza al mio cervello.
Fu molto strano avvicinarsi a quel gruppo con i miei
propositi barbarici di orgia.
La loro leader era praticamente un maschio, corti capelli,
abiti maschili, braccia muscolose. Mi faceva arrapare come un cammello con il
cazzo nella sabbia. Le tipe che la attorniavano erano tutte molto femminili e
carine, datesi a pratiche saffiche a mio avviso a causa di una sorta di
repulsione verso il mondo maschile che diveniva sempre più frocio, alla fine
avevano anche ragione.
Mi lasciai convincere in una notte di delirio ad andare a ballare
con loro e con il finocchio, l’unico uomo che stava con me era un Nazi che
tentava l’approccio con la più opulenta di esse, tutto questo mi smarriva, tra l’altro
era angosciante il fatto che il nazi ascoltasse i Queen , mi chiedevo cosa
stesse accadendo al mondo moderno.
Passarono dei mesi prima che rivedessi ancora le lesbiche,
erano affiatate cazzo, sempre insieme, certamente la leader aveva carisma e se
le scopava tutte, il frocetto invece se ne stava sotto la loro ala in attesa di
una ignara vittima maschile alla quale rivelare il proprio palese segreto, la
comunità accoglieva questo esempio di eclatante sessualità distorta con orgoglio,
anch’io, anch’io, si, ho visto una lesbica dicevano i bigotti e gli stolti di
ogni dove.
Ascanio Tortorelli era conosciuto con il nome di Ormone Gnè
gnè, se una donna lo guardava lui sborrava. Voleva stare tutta la vita in esplorazione
sulle carni di una donna e questo non gli riusciva proprio alla grande, da
adolescente aveva voluto bruciarsi di droghe, ma non gli era riuscito bene
neanche quello, forse la sua indole era confacente ad altri tipi di pratiche
fosche, Gnè gnè era in fatti alla ricerca di un misfatto in grado di chetare la
sua fame brutale, gli esseri piccoli sia di spirito che di corpo tendono molto
alla perversione, è una sorta di capro espiatorio da sacrificare sull’altare di
sterco delle proprie insulse debolezze. Ascanio era secco come una ramo, dal
volto laido,infatti laido lo era parecchio, da ubriaco si sarebbe fatto fare una
pompa da un gay e poi l’avrebbe ucciso, forse anche da lucido, ma in realtà non
aveva le palle nemmeno per dargli un ceffone ad un gay.
Sonny gates era un provocatore, non te li rivelava mai i
suoi desideri, li insinuava nella tua testa facendoti divenire suo complice,
conoscendo lo spirito debole dell’ormone lo provocava di continuo sperando che
la serata sfociasse sempre in rivoli di sangue da ambo le parti. Era fissato
con la giustizia sessuale, aveva folli idee politiche sull’argomento
riguardanti la prigionia della donna e il regresso della detta specie, “La
femmina è una bestia” diceva sempre “ anche l’uomo lo è, ma l’uomo è un animale
che ha la facoltà di schiavizzare la donna, non capisco tutto questo progresso,
come si è potuti arrivare a tanto, donne che comandano, che gestiscono, che
addirittura decidono, è colpa dei froci, solo i froci sono potuti arrivare a
tanto.”
Poi c’era Michele Araldi, uno che se gli entravi nella testa
ti perdevi, scariche elettriche dalla ignota provenienza imperversavano di
continuo in quel cranio.
La sua fame sessuale era implacabile e senza esigenze,
bastava una donna opulenta e l’assenza di leggi, così il mondo sarebbe stato
per lui perfetto.
Infine c’ero io, che più mi tiravo fuori dal mondo
standomene da solo più il disgusto per esso mi pervadeva.
Vi lascio immaginare l’effetto che fece il gruppetto di
lesbiche ai nostri occhi misogini e pornoassuefatti.
Eravamo in un bar del cazzo, a bere e a mangiare
barbaramente e senza ritegno quando le lesbo fecero la loro comparsa.
Spiegai agli amici la situazione che le attorniava, e subito
un fuoco languido si accese negli occhi di tutti. La leader si muoveva decisa,
tranquilla ci osservava come fossimo stati noi quelli strani. Subito Sonny
partì elegante come un muratore tatuato:
“C’è un chiaro motivo che ci raduna qui stasera, noi siamo i
rappresentanti di una antica razza, noi siamo gli ultimi uomini cazzo. Dobbiamo
dare una lezione a queste lesbicotte.”
Gnè gnè rideva con un sorriso di iena guardandomi, Michele
chissà cosa cazzo pensava in quella sua mente schizzata. Il discorso di Sonny
era stato molto acceso e ascoltabile, tanto che la leader aveva avvertito il
tono ilare delle frecciate.
Sonny la guardò dritta in faccia e inneggiò:
“Viva la verga!”
La tipa fece finta di niente, ma era ovvio che si era aperto
una sorta di conflitto, effettivamente se la tipa ci si fosse messa d’impegno
avrebbe massacrato Sonny e Gnè, l’avevo vista quella sera in cui andammo a
ballare cambiare una ruota con robuste braccia capaci.
“Sei invidioso del fatto che loro siano più integrate di te
in questa società del cazzo.” Infine dissi a Sonny. Facevo sempre così, ero
contraddittorio per chetare il tumulto, ma condividevo a pieno anch’io in fine.
Quelle tipe rappresentavano la normalità in quel luogo,
eravamo noi quelli fuori posto, i reietti rifiuti da additare.
Non era buona cosa, proprio no.
Due giorni dopo fondai un gruppo death essenziale e
brutalissimo, ci chiamavamo Volcidor, eravamo in tre e quello più sano di mente
sparava ai gatti con il fucile a pressione da bersaglio lontano. Vale a dire
che ogni piombino spappolava la testa di ciascuno ignaro, malcapitato felino.
Suonavo la chitarra, in realtà non era vero, buttavo giù
accordi cupi e con lo strascico usciva il pezzo, il batterista non doveva far
altro che tastare, il bassista uguale.
Del cantato me ne occupavo io, un urlo forsennato senza
tregua ne respiro.
La mia vita era su un carro guidato da sei cavalli neri in
discesa su un declivio ripidissimo in mezzo ai boschi.
Nessuno nella banda mi dava una reale intenzione di violenze
in quei periodi, nemmeno la violentissima musica che sostituivo alla rabbia
anfetaminica, nemmeno lo sparare ai poveri gatti innocenti, nemmeno il
rovesciare tombe.
Dovevo fottere quella lesbica del cazzo e farla sanguinare
mediante il mio membro mostruoso, dovevo sottometterla con laido rigore e
costringerla alle umiliazioni più esecrabili e torve, farle capire il verbo
d’obbedienza della forza.
Solo quest’atto avrebbe salvato il mio desiderio, un
desiderio che si tramutava sempre di più in una sanguinaria mia morte.
In poche parole pensavo spesso alla comunità di lesbiche, ma
non solo a quello.
Una vasta produzione di porno in carne e ossa di tutte le
età e tipologie faceva sfoggio di se di continuo dinnanzi alla virilità
legionaria dei nostri orgogliosi occhi di giovani torelli in stagione di monta,
questo sclerava la mia mente e quella di tutti i loschi figuri che compirono
l’impresa.
Io e Sonny sapevamo che il misfatto doveva essere compiuto
con meditata, bastarda fierezza, quello che più ci invasava era la fittizia
convinzione che quel progetto avesse una specie di giustificazione o fine quasi
politico, forse religioso, comunque essenziale allo svolgersi normale delle
nostre onorevoli vite. Sapevamo anche che in una storia del genere ci volevano
due bottiglie di whisky scadente e qualche eccitante di qualsiasi natura, pur
che fosse stato potente, il fatto certo era però che io non ne avevo bisogno.
Data la nostra riconoscibile stazza, visto che in gruppo
giravamo spesso, decidemmo di adottare una sorta di tunica nera per
l’operazione e maschere la cui bocca fosse stata scoperta, questo lo feci
notare io dato che la bocca aveva bisogno di libertà per mordere a sangue,
sputare, leccare.
Le maschere erano di stoffa leggera ma difficilmente
strappabili dato che erano di tessuto elastico, ognuno si sarebbe costruito la
propria secondo i personali gusti.
“Solo duri!” pensavo io “Solo duri come l’asfalto che vi
grattugerà le chiappe lesbiche mentre vi scoperò!”
Questa sublimazione quasi bellica della mia virilità, il
porla nell’estremo atto della brutalità mi conduceva al pensiero della leader
sanguinante e sottomessa, la miscela di questo pensiero e queste sensazioni mi
conferivano una indomabile e dolorosamente sopportabile erezione.
Passarono varie settimane e la situazione non cambiava,
quando eravamo ubriachi non si parlava d’altro, si era infatti giunti a
conclusione che violentare donne è cosa giusta, la nostra politica non era
emendata da individui a rota sessuale e basta, bensì da persone indignate dal
corso degli eventi che ponevano l’uomo in condizione di schiavo.
La misoginia del nostro quartetto raggiungeva apici tragici.
Così una sera in cui la noia ci affliggeva decidemmo di
andare a fare un giro per distrarre le nostre menti dall’incessante pornografia
imperante, per le nostre menti cazzo ci voleva un butta fuori.
Nella mia auto i Sarcofago vomitavano note che non avevo mai
udito, martellai i ragazzi affinché ci recassimo al cimitero per passare la
notte tra birra e atmosfera, Michele propose di rapire una ragazzina, Fabio
Maloro, altro personaggio pornoleso, propose di sparare ad una sposa e poi
fotterla. Fu in quell’istante che Sonny, tra il serio e faceto, fattosi schermo
con quelle assurde, difficilmente realizzabili proposte tirò in ballo la storia
delle lesbiche.
“Perché non andiamo a vedere se ci sono le troiette?”
“E no Ja , rubiamoci una bambina, per piacere.” Michele
aveva un folle proposito che voleva a
tutti i costi realizzare.
Ma alla fine ci andammo, eravamo veramente ubriachi da non
renderci conto che avremmo potuto spezzare un collo di donna con la facilità
d’un orco che stupra una donzella.
C’era lei, la leader, che nella squallida solinga piazzetta
parlava con una donna bionda veramente bella.
Michele nel vederle urlò, un urlo isterico, lupo che abbranca.
Eravamo in automobile, io guidavo, Sonny mi stava di fianco,
l’ormone e Michele dietro davano di matto sussultando in una danza ubriaca di
ignota impotenza che brama sfociare, erompere in una forza avviluppatrice, Maloro
guardava al di là del finestrino con sguardo depresso.
“BBUCCCHINAAA” Disse Michele abbracciando il braccio di Gnè
gnè, la lesbica si incazzò di brutto, sembrò non gradire la nostra allegria.
Infatti aggressiva come una faina aggredì il mio
fottutissimo parabrezza, la vedevo con quella faccia patetica distorcere i
tratti di rabbia, guidavo ancora ed ero a circa trenta all’ora quando frenai di
botto, intanto tentavo di scorgerle le tette.
Michele scese dall’auto e le andò in contro, le mollò un
calcio in bocca, subito. Ma non doveva andare così, eravamo a volto scoperto,
c’era la biondina testimone.
A Michele sembrava non interessare, aveva infatti soppresso
il tentativo di reazione della leader con un pugno in testa dalla innata,
feroce violenza.
La bionda però nella sua apparente innocuità pensò bene di
accoltellare me, che ero appena sceso dalla macchina. Sono bello grosso, peso
centoventi chili, che si fotta la coltellata di una biondina, non ci pensai
neppure, le presi la testa e ci ammaccai il cofano con la sua cazzo di
fottutissima testa di bambola.
Poi la lanciai lontano sull’asfalto.
Io intanto però ero svenuto, una troia lesbica mi aveva
accoltellato a mezzanotte.
Tutto intorno a me divenne vacuo, capii che non me ne fotteva
un bel cazzo della vita, che era una bella esperienza morire così, nel più
tragico degli abbandoni spargendo sangue su di un marciapiedi.
Sentivo le voci dei miei amici che rincorrevano le tipe, io
ero lì, solo, e solo in quel istante ebbi un po’ di paura, se un vichingo, un
grande guerriero, muore per mano di una donna non potrà essere ospitato nella
grande sala del valalla. Se uno come me moriva per mano d’una lesbica era la
fine, se uno come me in generale moriva, era una gran fottuta perdita per il
clan degli ultimi uomini duri, però il pensiero della morte mi affascinava
invaghendomi di languore dal sapore di sangue, cazzo quanto era fascinosa la
morte mediante coltellata.
*************
Mi svegliai il giorno dopo in ospedale, c’erano mia madre,
mio padre e tutti gli altri, mi inorridì il pensiero, che subito m’investì, di
dire tutto ai miei, che ero un violento,irrecuperabile pazzo.
“Non l’hanno ancora arrestata quella puttana figlio mio,
perché le hai causato una commozione cerebrale, comunque è tutto a posto, hai
agito per legittima difesa. Stai bene? Stai bene figlio mio?”
Non volevo che arrestassero quella puttanella, volevo
torturarla, atrocemente.
Guardai gli altri negli occhi, erano in tanti cazzo, sempre
di più erano quelli che volevano aderire alla lesbopunizione. Con loro c’era
Fabio Maloro, s’era fatto un baffo da sodomizzatore bastardo giusto per entrare
in tema di violenza e percosse, anche lui voleva entrare nell’affare delle
lesbiche.
Trascorsero alcuni giorni ed io ebbi modo di riprendermi, la
lama della troietta aveva penetrato solo il grasso, che bello il mio urside
stato di grasso, sapevo che prima o poi mi avrebbe parato il culo.
Durante i giorni di convalescenza appresi che dei nostri era
anche Lord Dentice, sciamano e primo uomo del ordine sacro della strada del
Dentice di cui io ero uno dei capi supremi. Se lord Dentice era della partita
significava solo ed esclusivamente che l’allettava il banchetto, questo non mi
andava, non avevo certo bisogno del sacro dentice i cui membri alla fine erano
tutti sotto cura di psicofarmaci per punire un branco di lesbiche. Aderivo al
sacro dentice solo poiché volevo preservarne l’emblema, l’ermetico ordine di
teppisti notturni.
Ma erano anni che l’ordine cadeva in pezzi, tra i già
misteriosissimi membri vigeva la più completa anarchia, della setta spaccaossa
restava solo il nome.
Ma non potevo fare nulla per tenere lontano lord Dentice,
anzi la sua astuta fantasia era molto utile al progetto.
Lasciate che vi parli di costui: lord Dentice aveva avuto
una brutta vita randagia, si era drogato di qualunque sostanza, si era ornato
di galeotti tatuaggi che gli coprivano le braccia e avevo letto personalmente
una denuncia sporta da sua madre poiché egli voleva accoltellarla con un coltello
dal “manico rosso”(cito testualmente).
Aveva tentato di accoltellare anche suo fratello, e infinita altra
gente, compreso me, non posso mai dimenticarla quella sera, eravamo in questo
posto tipo concerto da oratorio organizzato da un prete che guardava laido le
tette alle scout, lord Dentice, che era anche il personaggio più grande d’età
tra noi ma non all’interno dell’ordine ermetico del sacro dentice, quella sera
aveva con se delle svastiche fatte con del nastro isolante rosso da appiccicare
sulle maglie, non che fossimo nazi o roba del genere, volevamo solo sconcertare
la virtuosa folla di checche intorno a noi. Durante il poco movimentato
concerto decidemmo di animare un po’ la cosa, Dentice agitava una piccola lama,
e io per scherzo ci ficcai sopra la mano, sanguinai di bestia, il taglio si
apriva come una bocca di sangue nella carne elastica tra il pollice e l’indice.
La gente ci guardava sgomenta, soprattutto me, grande e
grosso e sanguinante con una svastica rossa sul petto.
Era questo il sacro dentice in fondo, piccoli atti di
scandalo e rappresaglia nei confronti di borghesia e bigottismo, atti che ci
solleticavano l’anima, poiché un po’ contribuivano a mutarci in leggenda,
almeno per quanto mi riguarda, nel piccolo della mia coscienza con il solo mio
incedere mutavo in leggenda, è questo che io voglio lasciare a chi legge queste
pagine, la fottuta leggenda degli ultimi veri duri.
Insieme a lord Dentice e altri segreti membri dell’ermetico
ordine ho partecipato a milioni di altre efferatezze perpetrate con
indifferenza. Ma la mia posizione è sempre stata di distacco, di rispetto nei
confronti del poco di buono che potevo fare uscire dalla mia personalità, io
ero un adolescente che si stava ribellando, lord ed altri invece mostravano di
essersi persi in una sorta di limbo, cosa che io non condividevo.
Non partecipai mai a festini a base di psicofarmaci
improvvisati a casa di folli personaggi che li invitavano con la speranza
d’avere buona compagnia senza sapere di star ospitando gente più pazza di loro
che voleva i loro tranquillanti al fine di sballare. Era per questo che il
sacro ordine non poteva avere un seguito, non si sapeva effettivamente chi
erano i membri, qualche pazzo di tanto in tanto spariva, qualcuno si isolava,
qualcuno finiva male, qualcun altro, come me, se ne tirava fuori per riflettere
su se stesso e la propria affinità con il resto del mondo, che era ben scarsa.
Così rividi spesso lord Dentice ma sempre distaccandomi
dall’ordine morto e parlandone con nostalgia. Dentice era troppo estremo, anche
perché aveva poco da perdere, e sostanzialmente era sempre lo stesso, anche io
lo ero, solo volevo tenermi per me un mucchio di cose.
Ma questa volta non potevo tenerlo lontano dall’affare delle
lesbiche, era una cosa troppo grossa e divertente, poi perché tenerlo fuori,
anzi era uno dei soldati più adatti alla missione con il suo segretissimo stile
“curtllat e cavci rint e’ppall”.
Dunque i personaggi che decidevano di invischiarsi
nell’affare sembravano essere divisi in due principali categorie, quelli che
volevano portare alto lo stendardo dei veri duri e quelli sadici perversi e
drogati che tentavano di cavarci un qualche divertimento.
Intanto da me si fece vedere qualche sbirro con strane,
retoriche domande e un sacco di sospetti. Si sapeva che avevamo provocato, e il
fatto che la biondina aveva una lama sembrava essere l’unico elemento a nostro
favore.
Poi uscii finalmente, e una quantità immane di gente che
avevo dimenticato quasi, cominciò a farsi vedere, avevo voglia di ucciderli
tutti, di mandarli via a calci in culo. Cosa cazzo volevano loro che non
c’entravano un cazzo dalla mia sporca faccenda?
Così divenni io stesso il mandante e l’esecutore d’una
piccola lista nera.
***********
Addestrai quattro cani, lontano, in campagna, divennero il
mio segreto.
Vagavano liberi per i campi ma avvertivano il rumore della
mia macchina a distanza di chilometri.
Erano quattro molossi, raccolti dalla strada uno per volta,
con i musi pieni di cicatrici e sconfitta, ognuno di loro mi aveva guardato
nello stesso modo.
“Ho del potere, fidati di me!” Sembrava che questo volessero
dire.
E io mi fidai di ognuno di loro e avrei continuato a fidarmi
degli altri, erano loro il mio branco fedele, non avrebbero mai permesso che
nessuno m’accoltellasse come era accaduto quella volta.
Così cominciai a passere sempre più tempo in campagna,
isolato da tutti a volte dormivo in macchina perché non riuscivo ad
abbandonarli. In compagnia di una bottiglia restavo lì per ore, a volte per
giorni.
La solitudine mi affascinava, le persone mi angustiavano
sempre più, dopo quel evento divenni sempre più malfido e paranoico nei
confronti dei miei amici e della mia famiglia stessa, ripeto che i cani erano
in quel tempo la mia unica compagnia.
Nessuno conosceva il mio rifugio misantropico, tanto meno
avrebbe potuto sospettarlo. Ma un giorno fui seguito, e accadde qualcosa di
molto spiacevole.
Costui era una persona molto invadente di cui sopra è
riportato il nome ma che non cito adesso per rispetto alla memoria, costui
dicevo, mi seguì fino in campagna non so per quale cazzo di motivo.
Quando i cani mi corsero intorno lui mi fece notare la sua
presenza.
“E’ da quando sei uscito di casa che ti seguo, volevo sapere
che fine avevi fatto, perché mi eviti?”
Gli sorrisi e i cani lo assalirono desiderosi di annullare
quel anima perversa, quando vidi il suo volto contratto dal dolore fui
orgoglioso di quel atto perpetrato dai miei amici, ma volevo essere anch’io
della partita, così raccolsi dal terreno un bastone deforme, e cominciai a
deturpare quel patetico volto supplicante percuotendolo con infiniti colpi, il
frocio era uno dei tizi della macchina, uno di quelli che volevano solo cavarci
una sveltina a scrocco, fanculo avrei fatto scopare quelle lesbiche ai miei
cani piuttosto che a lui.
Il tipo veniva ancora dilaniato dai cani ma era ormai morto
da un pezzo, la mia furia non era chetata però, continuai ancora per ore, e
anche i cani mi seguirono nella mia marcia di dolore infausto fino a che non
tramontò il sole e una civetta mi distrasse con il suo canto elegante.
Era notte fonda ed ero ormai lì da ore a riflettere su come
uscire dalla faccenda, sporco di sangue com’ero, sudato e con quattro mezzi Pit
bull che mi giravano allegri e gioiosi tra i coglioni.
La decisione che presi non fu intelligente, anzi fu una
tremenda cazzata suggerita da un apparentemente calmo criminale sconvolto. E la
cosa mi provocò non poco dolore.
Avevo questo grosso coltello da caccia che portavo sempre in
campagna, mi ero incattivito di brutto e fantasticavo spesso sul delitto, sul
delitto e mai sul castigo nonostante l’esempio del mio amico Romanovic
Rascolinickov .
Estrassi il coltello e sventrai tutti i cani, tra i loro
cadaveri scempiati piansi, piansi perché il delitto ci trascina sempre a fare
delle cazzate che non avevamo calcolato, cazzate che ti pongono in un punto di
non ritorno dove non ti resta che andare avanti e un po’ calpestare te stesso,
un punto dove non sei più duro ne maligno, ma semplicemente patetico. Prima del
delitto, nel periodo in cui l’idea prende a divenire ossessiva ogni persona
muta e divine individuo lontano dal concetto che aveva di se stesso, le nostre
percezioni sono alterate e a noi quasi estranee in questi momenti, è questa la
grande presa per il culo del sanguinoso misfatto, ovvero che non siamo mai
perfettamente noi stessi nell’attimo in cui lo compiamo.
Ed eccomi lì imbrattato di sangue umano e di cane
inginocchiato a piangere tra i cadaveri. Non mi pesava l’aver ucciso
quell’idiota, ma la mia folle idea di liberarmi dei cani mi rendeva inerme e
incapace di muovermi. Un attimo dopo notai un debole fruscio, mi pietrificai,
si avvicinava qualcuno.
“Sapevo che prima o poi l’avresti fatto, quel tipo era un
ficcanaso e l’hai sistemato, ti aiuteremo noi a liberartene, come ci ha
insegnato il rumeno, ricordi? E ci libereremo anche dei cani, che idiota che
sei stato erano il tuo unico alibi.!”
Erano Lord Dentice e Fabio Maloro, evidentemente mi avevano
seguito anche loro.
“E’ stata la prima cosa che mi è venuta in mente, la gente
avrebbe notato subito dei cani insanguinati che se ne vanno a spasso a giocare
con arti umani in bocca, colleghi questo stronzo fatto a pezzi con un altro
stronzo coinvolto in storie di violenza ed ecco che il caso è risolto.”
Notai che con l’organizzazione di più membri tutto è
diverso, l’omicidio diviene leggero da sopportare, con il supporto reciproco
addirittura una missione.
In una notte Maloro e Dentice risolsero tutto mentre io ero
lì in ansia a scavare una buca e a pensare a quanto bastardo ero stato ad
uccidere i cani.
Scavare una fossa è una cosa molto poetica, l’affanno
notturno, la solitudine, l’uomo che occulta il proprio misfatto inosservato
nella campagna.
I miei folli complici mi portarono acqua, vestiti puliti e
cinquantaquattro batterie per la macchina procurate da uno sfasciacarrozze
parente di Dentice, forse appropriatosene indebitamente ugualmente.
I cadaveri furono gettati nella fossa e l’acido delle batterie
fu versato sui resti giacenti nel buio, il rumore che ne derivò fu frizzante
come il peso che mi fu scrollato di dosso, anche gli abiti sporchi di sangue
fecero la stessa fine, poi mi ripulii e indossai i nuovi vestiti.
La fossa fu ricoperta e livellata, sotto la terra non vi era
ormai più nulla.
Ero in debito di brutto con quei bastardi, si erano
assicurati un posto nella missione attua a imporre i veri duri come esempio.
L’evento di quella notte era valso a farmi comprendere che
quella non era una faccenda che riguardava solo me, ma che chiamava in causa
svariati, motivati personaggi.
************
Sciolsi il gruppo death, presi a calci in culo il batterista
e accoltellai il bassista ad una gamba, era successo tutto in una sera di
delirio alcolico in cui avevo capito che tutto stava andando a puttane, che non
c’era più spazio per i sogni e per gli sfoghi, perché la violenza stava
scavando un confortevole nido dentro me. In realtà le persone che suonavano con
me si spacciavano per cattivissimi satanisti black metal ma poi non erano
diversi dai ragazzini che comprano i gadget dei backstreet boys, con le loro
ipocrisie da adolescenti frustrati e le loro magliette pagate a caro prezzo.
Vaffanculo, se suoni duro devi essere cattivo sul serio, devi discendere dal
conte burzum, quanti froci dalle facce da culo appaiono sulle riviste musicali
con le loro pose cattive e poi magari si cagano sotto se gli rubi il lecca
lecca. Non ci stavo più, era tutto una grande pagliacciata, non che il mio
credo fosse la violenza, o satana, o cazzate del genere, il mio credo era la
verità schietta, l’onore barbaro e l’eleganza guerriera, le ipocrisie mi sono
sempre state sul cazzo.
In seguito alla coltellata ebbi qualche problema con la
legge, ma aspettate, aspettate cazzo, sto correndo troppo, non volete che vi
racconti com’è andata? O avete chiuso il fottuto libro già da tempo?
Eravamo lì riuniti per suonare, in questa sala prove del
cazzo piena di coglioni, io mi presento un po’ ubriachino, cercate di
comprendere il periodo di merda che stavo attraversando, e poi io canto meglio
da ubriaco.
Arrivano anche i due frocetti e questi sono entrambi
convinti che questo genere di metal è troppo estremo, anzi che in realtà non
c’è metal nei nostri pezzi, c’è solo cacofonia priva di melodia.
Allora io mi alzo da seduto che ero e comincio a prendere a
calci in culo il batterista fino a che non mi chiede pietà, poi in preda ad una
sorta di crisi, una profonda delusione interiore gli grido in faccia che a me
il metal mi ha sempre fatto schifo, a me piace la musica violenta e oscura, a
volte il metal invece è una barzelletta, i metallari sono repressi bambini
froci inguaribili.
Così la rabbia mi ha sconvolto talmente tanto che ho
estratto la lama che di solito porto con me e l’ho piantata nella coscia del
bassista. Cazzo stavo proprio impazzendo, li ho guardati entrambi con sguardo
folle ma mi ero reso conto di essere diventato un animale misantropico e
intrattabile.
Andai via assaporando l’inverno addosso, faceva freddo ed
era tutto stupendo, la solitudine a volte ti solletica con gelide mani adunche
e seducenti, muliebri mani di strega, in certe notti di delirio così gelide la
solitudine è l’unica che ti dà ragione.
Giunsi vicino a casa e da lontano, alle spalle del Vesuvio
ammantato dalla tenebra scorsi un fuggevole lampo, sorrisi e continuai la mia
strada.
Ad aspettarmi sotto casa, poetica e bagnata dalla prima
pioggia d’autunno vi era la leader del gruppo di lesbiche, con le muscolose
braccia incrociate mi attendeva, d’un tratto ebbi l’impressione che quella era
una vera dura, altro che cazzate sataniche da bambini repressi, quella era
degna di camminare al mio fianco, non c’era nessun motivo per il quale io e lei
dovessimo strare in lotta, quella lì era una leonessa.
Le arrivai faccia a faccia, mi eccitava l’idea di dovermi
scontrare con lei.
Ci guardammo per un po’, fui io poi a parlare per primo:
“Allora? Che ci fai qui? Come facevi a sapere dove vivo?”
Mi mollò un pugno veramente tosto, vacillarono i miei
centoventi chili.
Poi mi aggredì con ferocia, ma durò poco la sua illusione,
la sollevai da terra e la spiaccicai nel muro, sentii il suo respiro strozzarsi
e vidi il suo volto contorcersi in una smorfia di indicibile sforzo, lo
zuccherino voleva a tutti i costi riprendere fiato.
Io a quel punto la baciai, perché il contatto con la sua
carne, il sentire gli spasmi delle sue membra guerriere mi aveva orribilmente
eccitato, anzi, forse mi ero innamorato.
Vedere quegli occhi selvaggi osservarmi a due centimetri dai
miei con rancore iracondo, guardare le sue labbra tremare di rabbia, contorte
in una smorfia di sdegno e furore, era bella come mai nessuna donna poteva esserlo,
era un angelo rabbioso quello che stavo premendo contro la mia bocca.
Si abbandonò a quel bacio improvvisamente, con trasporto
languido si lasciò cadere nelle mie braccia
assecondandomi, accompagnata da un dolce, caldofervore sensuale, quasi
con una innata fame mangiava le mie labbra.
Le sbottonai la camicia mascolina che aveva e rivelai il suo
stupendo seno bruno, poi mi beccai un'altra coltellata, la seconda cazzo.
Era la bionda , la vidi apparire alle mie spalle mentre
cadevo in ginocchio premendo con il palmo della mano contro la ferita all’anca,
era la mano con cui stavo per carezzare i seni alla sua amica, che paradosso,
dalla delizia al sangue, in fondo ho sempre creduto che l’amore sia passione e
che la passione sia sangue.
“Sei una puttana, ti ho visto come lo baciavi, eravamo qui
per fargliela pagare e tu baci questo stronzo? Puttana!”
La bionda vestita da bambolona opulenta porno gridava
isterica e fuori di se, stava piangendo e agitava il coltello sporco di sangue
sotto il naso della sua presunta amante. Era la seconda coltellata che mi
mollava quella puttana.
“Se non c’ero io te lo saresti fatto questo bestione di
merda, sotto il suo palazzo come una vaccona vogliosa e sporca.” Le ultime
parole le urlò ancora più isteriche e traboccanti stizza nervosa tipica
femminile, quegli insopportabili, psicotici gridolini di puttana incazzata.
Mentre gridava le ultime parole mi ficcò un tacco a spillo nelle costole
mediante un calcio bastardo e ben piazzato.
Infine scoppiò:
“Sei una lurida puttana, lurida puttana zozza traditrice !”
La colpì con un fendente allo stomaco, tutta la lama le
penetrò nelle budella mentre osservavo da terra il volto della leader attonito
sgranare gli occhi e la testa bionda della puttana girata di spalle con il suo
corpo vezzoso che copriva la scena.
Vidi solo il sangue macchiare il marmo bianco del palazzo,
prima con piccole gocce, per poi espandersi in una macabra polla, così la
leader vomitò sangue e cadde in terra con gli occhi ancora perplessi.
La troia bionda si voltò verso di me, mi sollevò la testa
prendendomi per i capelli, aveva il viso segnato dal pianto, il volto distorto
dal gonfiore degli occhi, era proprio infame e pazza quella cagna psicopatica.
“Adesso io ti ucciderò dannato bastardo, Milena non aveva
mai baciato un uomo, mai. A parte suo padre che glie li rubava i baci quel
viscido sporco figlio di troia, lei era mia capisci? Un giorno sarebbe stata
solo mia.”
La guardai e sorrisi.
“Che cazzo ridi stronzo? Cosa cazzo ti ridi!!?!”
Mi sfregiò la faccia dalla fronte attraversando il naso fino
al mento, era totalmente in preda ad un crollo isterico, mi avrebbe fatto a
pezzi.
Decisi che prima di perdere altro sangue e dunque svenire
dovevo farmi una cinta con il clitoride di quella baldracca tanto che glie
l’avrei allungato.
Scattai improvvisamente in avanti e le tirai una testata con
tutto lo slancio della spinta, l’impatto fu devastante, la testa da barbie
schizzò come se l’avesse trafitta un proiettile, anche la troia cadde
all’indietro emettendo quel odioso gridolino del cazzo. Lo stesso slancio mi
aveva permesso di esserle praticamente addosso, ma la troia era veramente una
figlia di puttana e puttana ella stessa, perché cominciò ad accoltellarmi
ferocemente al braccio. Il dolore mi stordiva atrocemente, non capivo più
nulla, quei fendenti si incidevano nell’osso e mi stavano facendo impazzire,
presto sarei svenuto, fottute tragedie insanguinate.
“Vaffanculo pazza stronza puttana, vediamo chi è più fuori
di testa!”
Sgranai gli occhi e le azzannai il collo, affondai gli
incisivi e i canini nella carne dura della carotide e la tirai via come fossi un
dannato cane, l’acre odore del sangue ormai s’innalzava ovunque, dama purpurea
che osservava silenziosa la scena.
Il volto della bastarda cambiò colorito, era eburneo come la
cera, dalla sua gola colava sangue a fiumi ornato da sinistre bollicine create dall’aria che aveva
in corpo, forse stava cercando di gridare. Intanto sentivo le forze mancare e
lo stordimento braccarmi le tempie, provavo dolore in ogni singola parte del
corpo e il sangue che mi colava dal
volto contribuiva ad appannarmi la vista, quando tutto divenne opaco scorsi una
luce azzurra che si avvicinava all’androne, erano gli sbirri.
*************
Il bassista aveva cantato, naturale, ero stato incolpato
della morte della leader e dell’altra troia, nonché della sparizione del
coglione che mi aveva seguito in campagna dove avevo i cani, in più il gay
amico delle lesbiche era stato trovato sgozzato sul Vesuvio con addosso
svariati grammi di cocaina e vari segni di violenza sessuale, mi era stato
attribuito anche quello, impossibile incolpare i miei compagni poiché tra loro nessuno
penso avrebbe violentato un gay, a meno
che non era tutto un alibi fuorviante.
Pensavo a come era veloce per un giornalista scrivere
cazzate alla rinfusa senza uno straccio di prova, non c’è notizia che appare
sui quotidiani che non sia stata travisata. Quindi immagino mia madre e mio
padre come abbiano reagito sapendo che ero un maniaco ammazza gay.
Gli sbirri intanto mi ossessionavano con tredicimila
domande.
“E’ finita la tua convalescenza, sei guarito, adesso puoi
parlare:
Hai ucciso tu Leda Porchetti? E Milena Sporcoaffare? Che
fine ha fatto il tuo amico? E il ragazzo ritrovato sul Vesuvio? Conoscevi anche
lui vero? Sei gay? Hai mai fatto sesso orale? Hai mai fatto l’amore con una
delle ragazze uccise? Hai mai fatto l’amore con un uomo? Fai uso di droghe? Vi
è qualche arma oltre i coltelli e i ganci che abbiamo rinvenuto nella tua
abitazione di cui noi non siamo a conoscenza?”
Stavo impazzendo, e cercavo di procedere con ordine, ero in
cella ed ero stato appena trasferito dall’ospedale dove mi avevano
tamponato per bene dopo un mese di ricovero. Avevo perso l’uso del braccio
destro più una grossa cicatrice sulla faccia che non mi faceva proprio carino,
inoltre la coltellata alla schiena mi aveva danneggiato l’anca e zoppicavo come
un essere strisciante.
“Ho ucciso la puttana bionda perché mi aveva aggredito e non
era la prima volta che lo faceva, è stata lei ad uccidere la sua amica perché
ci ha beccati mentre ci baciavamo e lei era la sua amante, è stata la sera in
cui ho accoltellato Luca Buonoanulla alla gamba a causa di una temporanea lite
in cui certamente ho sbagliato e di cui mi assumo tutte le responsabilità, per
quanto riguarda il tipo sul Vesuvio non ne so niente, non faccio uso di droghe
ne vado a letto con uomini, mai fatto in vita mia, guardate bene i giri strani
che aveva quel frocio, di certo si scopava qualche pazzo dissoluto magari anche
vecchio ed erotomane, io non c’entro un cazzo con queste cose, mai stato
coinvolto in niente di simile. Che poi quell’ altro imbecille fosse scomparso
non ne sapevo niente, si sarà fatto abbordare pure lui da qualche pazzo, ce
l’aveva l’istinto del marchettaro, me lo diceva sempre che per soldi si sarebbe
fatto fottere, sinceramente persone così mi fanno vomitare e per questo non mi
vergogno a dire che spero che sia morto o col cazzo di qualche riccone
psicopatico in bocca in questo momento mentre le parlo.”
Gli interroganti annuirono, due mesi dopo fui rilasciato se
pur fortemente sospettato, la mia condizione di incensurato mi metteva in pena sospesa dato che mi si poteva imputare
solo l’aggressione al bassista idiota. Penso che abbiano chiarito la dinamica
dei fatti di quella notte, il fatto che le lesbiche erano lì per farmela pagare
e poi s’erano uccise tra loro visto che io non avevo mai impugnato il coltello
che aveva fatto fuori la leader e quasi storpiato me.
Non so chi abbia ucciso quel gay sul Vesuvio, forse Dentice
e Maloro insieme con Sonny e Michele, ma non mi erano chiare le violenze
fisiche che gli erano state fatte.
Ho fatto corsi di dominazione della rabbia, ho fatto terapie
e sedute d’ogni genere in seguito ma non ho mai smesso di credere che erano
tutte cazzate inutili, un cane rabbioso non si domina mai e poi c’è da
aggiungere che è feroce il sentimento di vendetta d’un uomo azzoppato da una
troia.
Lo testimonia il fatto che adesso qui di fianco a me c’è un
fucile da caccia che spappolerà le vagine del resto della banda. In questi
giorni le beccherò una per una e impartirò la mia lezione, lo farò da solo senza
coinvolgere altri in questa stupida punizione che non ha nulla di sacro, solo
vendetta e sdegno, pazzia e autolesionismo. Non vi racconterò i particolari
anche se so che vi ecciterebbero molto, perché?
Perché una volta finito punterò la bocca di questo fucile
dritto verso la mia faccia e dirò addio alla mia adorata famiglia che non
c’entra proprio un cazzo con questo mio colpo di scena misantropico.
A Lautrèamont e Sade .
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