Maria Clemm, la zia di Edgar Allan Poe, dopo la morte di suo marito, se la passava veramente male a livello economico. Si vide quindi costretta a vendere Edwin, lo schivetto negro di famiglia, che oltre a essere una bocca in più da sfamare serviva a poco e niente.
Maria per Edgar più che una zia era una vera e propria madre, dato che lui la sua l’aveva vista morire sputando sangue a causa della tubercolosi quando era ancora un bambino. Fu naturale dunque assegnargli quella facile commissione, come mandarlo a comprare il pane.
“Edgar, mio caro, ho deciso di liberarmi di Edwin, non possiamo più permetterci di mantenerlo, non è che mi faresti il favore di farmi da agente e andare a venderlo per conto mio? Lo darò via per quaranta dollari, è un prezzo basso lo so, ma ne abbiamo bisogno, poi ci scapperebbe fuori anche una bella mancetta per te.”
Edgar già si vedeva in taverna, con qualche dollaro di cresta, in fondo bastava occuparsi dei documenti di vendita, togliersi dai piedi quel negro rompicoglioni nella transazione e magari sfotterlo pure un pò mentre lo lasciava nelle mani di qualcuno meno delicato di zia Maria, che lo avrebbe scorticato di bastonate dalla mattina alla sera. Insomma Edgar Allan Poe già pregustava la sbronza quando rispose.
“Ma certo zia Maria, me ne occuperò io, non devi affatto preoccuparti, sarà una transazione semplicissima e io ti farò da agente.”
Era il 10 dicembre del 1829, alle tre di pomeriggio, quindi dopo pranzo e ovviamente con una massiccia dose di liquori post dessert in corpo, con un freddo rigido che gli infiammava le guance scaldate dall’alcol, che Edgar Allan Poe presentò l’atto di vendita dinnanzi a un giudice di pace e cedette Edwin per quaranta dollari; un prezzaccio, come se il negro fosse una cassapanca tarlata di seconda mano.
Un po’ di firme e l’affare era fatto, Edwin adesso apparteneva a un certo Henry Ridgway, a quanto pare nero a sua volta, una cosa veramente surreale nonché aberrante. Edwin sarebbe stato però ceduto per contratto il primo marzo dell’anno successivo. Dunque Edgar Allan Poe doveva sorbirselo a casa della zia ancora per qualche mese.
Quello sfaccendato scansafatiche che gli rubava la minestra mangiando gli avanzi che toccavano a lui, che per campare si era dovuto arruolare nell’esercito. Non fu facile sopportarlo, fortunatamente non era quasi mai a casa, i soldi del servizio li aveva incassati e si erano immediatamente tradotti in vino, ma aveva promesso alla zia di portarlo dal nuovo padrone personalmente, sempre dietro una piccola mazzetta.
Giunse il primo marzo del 1830, Edwin doveva cambiare casa e Edgar lo accompagnò, doveva prendersi i quaranta dollari e farsi una bella cresta, voleva bersi tutta la sua parte alla faccia del negro.
Era una bella giornata a Baltimora, piena di corvi svolazzanti nella pioggia di un marzo pazzo.
“Dai su mio caro Edwin, non fare quella faccia triste, vedrai che starai bene!”
Un ghigno malefico si allargava sotto i baffetti di Poe che aveva l’ombrello mentre Edwin si beccava lo scroscio della pioggia e qualche corvo planando in basso tentava di cavargli un occhio.
“Lo so che non vedrai mai più i tuoi amici, la tua famiglia, tutti i tuoi affetti, che magari verrai picchiato a sangue tutti i giorni, mica hanno tutti la mano delicata come zia Maria, ma quei quaranta dollari ci servono Edwin, mica potevamo mangiarci la tua carnaccia. Dai tirati su, magari un giorno troverai uno scarabeo d’oro!”
Il negro taceva con la sua faccia triste, giunsero all’abitazione di Ridgway.
Edgar si liberò di Edwin mettendolo nelle mani del nuovo padrone sull’uscio di casa di quest’ultimo; intascò i quaranta dollari e quando la porta si chiuse non li rivide mai più, lasciando ai negri quel che era dei neri e agli schiavi ciò che loro spettava.
Aveva ore di studio da compiere, cosa se ne sarebbe fatto Edwin invece della libertà? Avrebbe poltrito ed evitato la fatica, come già faceva da schiavo, anche se qualcuno qualche secolo dopo avrebbe detto il contrario, che Edwin magari avrebbe potuto scrivere “Il Corvo” ma si sa che c’è sempre qualche cialtrone che rema contro corrente a dire la sua castroneria.
Dei quaranta dollari a casa Clemm ne tornarono solo trentacinque, cinque li aveva scialacquati Edgar in una gara di versi in taverna, che perse, di conseguenza dovette pagare sia le sue consumazioni che quelle dell’avversario, più qualche altro bicchiere di consolazione. Un corvo, uno solo volava sulla taverna malfamata di Baltimora, il corvo dal nero piumaggio della poesia.
Voi penserete che tutto ciò non è giusto, che Edwin era un essere umano e non meritava un simile trattamento, ma cosa devo dire io, che dopo secoli da questa vicenda, ammiratore di Poe, vedo ogni giorno un Edwin che mi guarda su un muletto? Lo vedo chiaramente che si venderebbe la mia vita per meno di quaranta dollari.
Davide Giannicolo
Note dell’autore:
Questo racconto si basa su una storia vera, realmente Poe vendette Edwin per quaranta dollari per conto di sua zia Maria Clemm e qui ne riporteremo gli atti originali conservati nella Poe Room alla Enoch Pratt Free Library, la biblioteca pubblica di Baltimora. Dove si trovano tutt’ora.
Come prima fonte vorrei citare il preparatissimo Daniele Imperi senza il quale questo racconto non avrebbe avuto vita dato che a ispirarmelo è stato proprio il suo articolo riguardante l’argomento che potete leggere qui: https://edgarallanpoe.it/schiavo-venduto-da-poe/
Fonte inesauribile sulla biografia di Poe che ho contattato personalmente ai fini di questo breve racconto.
Altra fonte utile, in lingua inglese, è stata la seguente: https://baltimorehistories.substack.com/p/edgar-allan-poe-and-edwin-the-enslaved
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