Il ghetto era molto antico, i suoi scantinati avevano visto i secoli e ne avevano anche l’odore. Ora era un coacervo di tutte le razze, persone provenienti da remote regioni dell’Africa e dell’Asia occupavano palazzi cadenti e popolavano quegli antichi scantinati, vagavano per scale silenziose, spacciando spezie e droghe, hashish e magia nera.
Il porto dei misfatti
Necromania e puro amore per decadenza e violenza, poesia oscura, lirismo licantropico, monumentali astrattismi sanguinari, danza di catene e rasoi al chiaro di luna, letteratura notturna, solinga, antintellettuale. Questo è il manifesto del porto dei misfatti, e i viandanti che vi entreranno sentiranno gelidi moncherini carezzare il loro volto, o sinuose sirene, il cui bacio sa di prostituzione e antichità.
domenica 14 dicembre 2025
Necromanzia nel Ghetto
domenica 30 novembre 2025
The Villain
Facciamo del Trash Talking oppure un po’ di Stalking?
Ti penetro
Nel feretro
Mi sento un po’ sul baratro.
Teschio di Diamante
Magico e potente
Te lo mette in culo
immediatamente.
Il pomo della spada
Fa una stregoneria
Brucia le tue viscere
ti manda in agonia.
Ci sono ricchioncelli in stile Dungeon Synth.
Meglio non li veda il Capitano Flint.
Il nano nella torre
Sa che il sangue scorre.
Ho borchie e pelle nera
Per l’elfa della sera
pallida ed altera
Come una bomboniera
Le rompo la cerniera.
Scheletro in armatura di te non ha premura,
Spada maledetta tagliamene una fetta.
Il Goblin nella grotta
Ti stupra e ti ricatta,
Di viscida pozione poi t’imbratta.
Teschio di Diamante
Magico e potente
Ti farà del male
Reiteratamente.
Ci sono ricchioncelli in stile Dungeon Synth.
Meglio non li veda il Capitano Flint.
Davide Giannicolo
Dungeon Villain
martedì 14 ottobre 2025
Fuck Me Serial Killer
La nebbia era bassa e densa, si vedevano a malapena le foglie morte sull’asfalto dei viali della zona suburbana, 31 ottobre sera, poco prima delle sette.
In biblioteca era rimasta solo lei, registrava gli ultimi testi al computer. Un silenzio mesto regnava nelle stanze deserte dell’edificio, neanche all’esterno, lungo le strade di aceri e castagni dalle foglie cadute, si udiva alcun suono.
Fu allora che lui apparve, alto e massiccio, nerovestito, una quercia immobile all’entrata della sala. Indossava una maschera e la fissava immobile. Lei si paralizzò, le labbra leggermente schiuse, una piccola goccia di orina tra le mutandine a causa dello spavento. Lo scrutava angosciata cercando di capire chi mai si nascondesse sotto quella maschera nera come il resto degli indumenti, un pessimo scherzo di Halloween a quell’ora in una biblioteca deserta. Avrebbe voluto sorridere, risollevarsi, rimproverare il buontempone, ma lui avanzò, lentamente, inesorabile, il terrore si impadronì del corpo di lei.
La mano inguantata le afferrò la gola, la sollevò e schiantò l’esile figura sulla scrivania, il silenzio era lacerante, si udiva solo l’affanno dell’’aggressore, come il rantolo di un orso.
Le sfilò i pantaloni di pelle nera che tanto amava indossare per tirare su il sedere, strappò il perizomino filiforme rosa confetto, estrasse un membro pulsante e gonfio dall’immenso glande rosso, le venne in mente una zucca illuminata nelle tenebre della notte mentre lui la penetrava con quell’arnese. La stuprò sulla scrivania, il mostro possente la sconquassava con la violenza meccanica di un pistone. Una danza di pipistrelli fuori dalle vetrate della finestra, il vento gelido di fine ottobre, il fruscio delle foglie cadute, la decomposizione tra le aiuole ordinate, brulicare di vermi impossibile da celare, notte d’Ognissanti, notte di lupi mannari, vampiri, streghe, mostri e stupratori mascherati. Fu un’esplosione organica, lei venne più volte mentre si stringeva alla sua schiena possente, ma l’orgasmo più grande avvenne quando venne anche lui, riversandole dentro il suo seme in un getto perlaceo e veemente. Lo sperma le colava dalla vulva, era ancora distesa sulla scrivania a gambe larghe con il sesso ricoperto da una peluria bruna invischiata, mentre lui si allontanava lentamente, così come era venuto.
Le era piaciuto, non c’era dubbio, era sempre stato il suo sogno, essere posseduta violentemente da un enorme tizio slasher, grosso, risoluto, rozzo e possente.
Tornò a casa, aveva organizzato un festino per Halloween con suo marito, se la gente avesse saputo, la classica bibliotecaria tutta perfettina e impeccabile.
Indossava una divisa nazista femminile con tanto di fascia rossa con svastica, frustino e berretto S.S.
Aveva legato il suo compagno, magrolino e insignificante, con delle manette alla spalliera del letto. Fu allora che lui, lo slasher mascherato, sfondò la porta facendosi nuovamente vivo, questa volta aveva in mano un grosso coltello da caccia modello Bowie. Accoltellò il povero coglione ammanettato e la possedette nuovamente, così, vestita da Gestapo sul cadavere del marito scempiato dalle coltellate. Era come una sorta di ménage a trois con il morto, sangue ovunque sulle lenzuola e sulla pelle, un amplesso dal sapore di macello, la carne impiastricciata di fluidi e odori ferrosi, grida di godimento mentre ci si strusciava rantolando sulla carne morta. Una perfetta notte di Halloween per la bibliotecaria repressa dalle tendenze sadomaso, con tanto di cadavere macellato. Lui sparì nella notte insieme ai pipistrelli e alle creature strane ed erranti che popolano quella magica notte d’autunno una volta l’anno, o almeno fu quello che lei raccontò agli inquirenti quando scoprirono il cadavere del marito, perché nessuno ha mai saputo, in quella cittadina fuori mano dove ciascuno sa tutto di tutti, se quella storia fosse vera o fosse stata lei a ucciderlo in un gioco erotico spinto troppo oltre.
Davide Giannicolo
domenica 14 settembre 2025
Mal d’Aurora
Nei sobborghi satanici della mia mente,
vaga una solitudine avida d’angoscia.
Impossibile coadiuvare azione e pensiero,
se il primo è zoppo e il secondo marcisce nelle fogne.
Ovunque io mi volti io scorgo il disagio,
la decadenza di un’umanità sull’orlo della catastrofe.
Eppure all’ aurora cantano gli uccelli del mattino, come frammenti ritrovati del Satyricon di Petronio.
Nessuna latebra può nascondere la disperazione del cuore umano, costretto a contorcersi come un verme, eternamente, nel fango dei secoli.
E allora penso, la vita è catastrofe da sempre.
Così come la carne nasce per decomporsi miseramente all’ombra dell’avello.
La mano carezza l’amante fremente e allo stesso tempo sferza la coltellata.
Tutto, ennui perpetua, è uguale a sempre, nel rigore di una nausea inalterata.
Solo la violenza ridona splendore a ogni azione.
domenica 7 settembre 2025
Tarda Estate
Soffia sul mare il vento di Settembre
annunciando un fantasma d’autunno.
Gli amici partono.
Le onde portano via i ricordi,
cullandoli dolcemente sui fondali silenziosi.
Nulla ha più senso in questa spiaggia adesso, neanche le lacrime o la malinconia.
Inutile indugiare ancora accanto al suicidio delle passate emozioni e tentare di rianimarne il cadavere.
Resta solo l’ombra dei nostri sorrisi passati
con la speranza di quelli a venire.
domenica 24 agosto 2025
Notti
Il pingue nanetto si avviava verso l'automobile, faceva freddo, un’aria gelida tagliava le ossa cercando di cristallizzarne il midollo.
Eppure qualcosa scaldava il ventre del tizio, un coacervo di immagini non ancora disgregate dal sonno appena infranto.
Turni di notte, che noia, se non fosse per i piacevoli svaghi mai sopiti della propria mente, grovigli di speranze pornografiche represse, ragazze che a lavoro avrebbero sorriso, si sarebbero chinate, mostrando lembi di carne intravista e da scoprire, sobbalzi pettorali di grosse tette il cui pudore viene distratto dalla foga del lavoro.
Tutto ciò era per lui, uno spettacolo messo in piedi unicamente per il suo piacere, o almeno così lui credeva, quei pensieri erano indelebili come un impronta calcata nella sua mente masturbatorea.
Montò in macchina, una leggera erezione aveva vinto il freddo, pensò a dei nomi, nomi femminili, chi si sarebbe chinata per prima? A quale di quelle troiette avrebbe spiato per primo i glutei posti in bella mostra?
Il placido torpore svanì di colpo, vide solo un ombra, enorme, oscura come quella di un orso, che però pareva un lampo.
Il parabrezza della macchina si schiantò in mille pezzi, un oggetto contundente ci si era abbattuto sopra con pesantezza, penetrando nell'abitacolo e spappolando la mascella del passeggero.
Il terrore pompò il sangue a mille, adesso non si trattava più di torpore, bensì di fuoco, roghi di paura che infiammavano il corpo del masturbatore incallito.
Qualcuno aprì la portiera, un gigante o qualcosa di simile, la sua presenza era opprimente, incombeva asfissiando, così come il pregnante odore della pelle nera che aderiva alle sue braccia enormi.
Una mano inguantata, anch'essa ricoperta di cuoio, strinse la nuca grassoccia del tizio, il dolore alla mascella si stava assestando, cominciava a indurre lacrime copiose e conati di vomito.
Venne catapultato sull'asfalto, con la spinta di quell'unico arto che lo aveva afferrato, per terra, stordito ma terribilmente cosciente, il masturbatore potė vedere con chiarezza colui che gli stava innanzi.
Brandiva uno spadone, da usare a due mani a giudicar dall'impugnatura, ma lui la brandiva con dimestichezza con la mano libera, ostentò questo suo mesto potere, poi lentamente appoggiò la spessa lama, molto simile a una mazza di ferro, sulla propria spalla.
Il suo volto non era chiaro nella notte, pareva però pallido, cadaverico, eburneo come quello di uno spettro.
Il colosso issò lo spadone sulla propria testa, indugiò ammirando la paura sul volto della sua vittima, poi abbatté la lama sulla rotula, in un colpo secco e maestoso.
La lama non era affilata, era stata concepita più per spezzare che per7 tagliare, cosa che fece, la gamba si accartocciò sotto il colpo, nessuno, badava alle grida nel parcheggio inghiottito da sbuffi maligni di nebbia, i grilli frinivano, reclamando il sangue in una macabra canzone dedicata alle tenebre.
Lo spadone cadde poi nuovamente sulla schiena dell'uomo rannicchiato sull'asfalto, che pensò bene di fingersi morto dopo quel colpo che forse lo aveva paralizzato per sempre.
Ma udì il clangore del ferro abbandonato con violenza sul cofano della sua automobile, allora aprì gli occhi, ma no, il gigante non stava andando via, srotolò una catena, lunga quanto una delle sue gambe.
Cominciò a farla roteare in aria, quel sibilo era agghiacciante, più volte, le maglie d'acciaio si schiantarono contro quegli esterrefatti sopraccigli che spaccandosi miserevolmente aprirono i getti fascinosi di fontane di sangue.
"La tua bocca è spaccata e non puoi parlare, i tuoi arti spezzati e non puoi muoverti, i tuoi occhi sono sfondati e non puoi guardare..."
Il gigante gettò in terra la catena, accanto al corpo contorto, mugolante e orribilmente contuso, l'uomo trasalì nell'udire quel suono, ma allo stesso tempo un pesante calcio fracassò il suo timpano, e i suoni circostanti non divennero altro che dolore.
Qualcosa poi gli spezzò le mani, forse la spada-bastone, poiché era quello il violentissimo stile del colpo.
"Le tue orecchie non possono udire né le tue mani toccare..."
La bestia era su di lui, in piedi, con uno scarpone a far pressione contro la sua guancia tumefatta.
"Ma vedi, anche in queste condizioni tu sei ripugnante e affatto innocuo agli occhi della giustizia del nostro creatore..."
Spinse ancora di più lo scarpone, sembrava che il cervello dovesse esplodere dalle orecchie e dagli occhi.
"Poiché è la tua mente, la tua anima, queste due cose inscindibili dal corpo, sono queste due cose a renderti sporco e spregevole."
Il piede venne sollevato, ricadde giù con violenza, ed il cranio si spappolò emettendo un sinistro scricchiolio.
Quello che restò sull'asfalto, non era che una parvenza umana, un pezzo di carne smembrato, devastato, semplicemente sfasciato con brutale criterio di logica folle.
"Ringraziami porco, poiché ben più furioso, può essere l'occhio di Dio!"
Igor Vetusta si allontanò dal parcheggio, aveva raschiato via il male dal mondo, anche quella notte.
Dedicato ai parcheggi isolati nottetempo.











