lunedì 24 marzo 2025

Trauma



Il trauma spadroneggia nel mio inconscio,

banchetta con le scorie della mente.

Cose che avrei potuto fare. Immobili ad aspettarmi in un ghiaccio malefico.

Parole che non ho mai detto, cucite come lepidotteri nella mia bocca ormai priva di fiato.

Paure malamente sopite.

Oltraggi mai lavati col sangue, la cui onta impunita m’addenta le costole.

Ferite lasciate a imputridire senza sanarsi.

Nostalgie consunte dal tempo come vecchie foto.

Sensazioni svanite in un deserto di nulla eterno, irrecuperabili.

Dormo,

ricercando una piccola morte,

poiché la vita m'è avversa.

Ma il trauma s’impadronisce anche del sogno.

È scaltro, si beffa di me, conosce ogni disarmo e colpo di punta.

Come un crossdresser si palesa disgustandomi ogni volta.

Altre volte appare come una baldracca di carne tremolante che scoppia d’opulenza, disfacendosi al mio tocco in un groviglio di vermi che rovina sul piancito della mia corteccia cerebrale.

Si veste di rabbia, rancore, lussuria, malinconia e suicidio itinerante.

Pregno di invisibilità, mai sazio di ricordo incompiuto e fallimento ancor rovente.

Muore e immantinente risorge, non ha voce.

Il trauma, giorno e notte, fustiga i miei neuroni.

Davide Giannicolo



venerdì 21 marzo 2025

Blasting Enomao

 


Distruttivo Enomao dai cavalli invincibili, più veloci del vento del nord, donati dal feroce dio Ares, suo violento e sanguinario padre.

Tetra profezia costringe la sua mano a decapitare ogni pretendente della figlia Ippodamia, la cui giovane carne però, freme d’ardore.

Distruttivo Enomao continuamente in lizza, nessun pretendente può battere il suo possente carro in un agone, tantomeno l’auriga che lo conduce, Mirtilo figlio di Ermes, anch’egli ahimè a insaputa di Enomao, innamorato segretamente  di Ippodamia.

Distruttivo Enomao, tradito dalla sua stessa carne. Invischiato sanguinante nella polvere, massacrato, a causa della sua stessa figlia.

Le ruote del carro manomesse, il povero Mirtilo ingannato da una bugiarda promessa d’amore. La carne scorticata, le ossa spappolate, la prima gara persa, l’agone della morte inesorabile.

Distruttivo Enomao sei stato beffato.

Pelope, lo scaltro bastardo, lui è il responsabile. 

Lui ha sedotto tua figlia Ippodamia, lui l’ha persuasa a ingannare Mirtilo in modo da manomettere il tuo carro. È lui quel genero vaticinato che ti avrebbe ucciso. Ma tua figlia, sua complice, quello non te lo aspettavi. Il trionfo della carne, le trombe pompose della morte, la tua rovinosa caduta nella sabbia, il cranio spaccato da una pietra. 

Distruttivo Enomao, credo che eterno sia stato e sarà il tuo rancore, fantasma di furia e dolore che ancora oggi riecheggia sull’altare di Poseidone, testimone di ogni tuo spargimento di sangue.

Davide Giannicolo

domenica 16 marzo 2025

Una passeggiata con Edwin



Maria Clemm, la zia di Edgar Allan Poe, dopo la morte di suo marito, se la passava veramente male a livello economico. Si vide quindi costretta a vendere Edwin, lo schivetto negro di famiglia, che oltre a essere una bocca in più da sfamare serviva a poco e niente. 

Maria per Edgar più che una zia era una vera e propria madre, dato che lui la sua l’aveva vista morire  sputando sangue a causa della tubercolosi quando era ancora un bambino. Fu naturale dunque assegnargli quella facile commissione, come mandarlo a comprare il pane. 

“Edgar, mio caro, ho deciso di liberarmi di Edwin, non possiamo più permetterci di mantenerlo, non è che mi faresti il favore di farmi da agente e andare a venderlo per conto mio? Lo darò via per quaranta dollari, è un prezzo basso lo so, ma ne abbiamo bisogno, poi ci scapperebbe fuori anche una bella mancetta per te.”

Edgar già si vedeva in taverna, con qualche dollaro di cresta, in fondo bastava occuparsi dei documenti di vendita, togliersi dai piedi quel negro rompicoglioni nella transazione e magari sfotterlo pure un pò mentre lo lasciava nelle mani di qualcuno meno delicato di zia Maria, che lo avrebbe scorticato di bastonate dalla mattina alla sera. Insomma Edgar Allan Poe già pregustava la sbronza quando rispose. 

“Ma certo zia Maria, me ne occuperò io, non devi affatto preoccuparti, sarà una transazione semplicissima e io ti farò da agente.”

Era il 10 dicembre del 1829, alle tre di pomeriggio, quindi dopo pranzo e ovviamente con una massiccia dose di liquori post dessert in corpo, con un freddo rigido che gli infiammava le guance scaldate dall’alcol, che Edgar Allan Poe presentò l’atto di vendita dinnanzi a un giudice di pace e cedette Edwin per quaranta dollari; un prezzaccio, come se il negro fosse una cassapanca tarlata di seconda mano.

Un po’ di firme e l’affare era fatto, Edwin adesso apparteneva a un certo Henry Ridgway, a quanto pare nero a sua volta, una cosa veramente surreale nonché aberrante. Edwin sarebbe stato però ceduto per contratto il primo marzo dell’anno successivo. Dunque Edgar Allan Poe doveva sorbirselo a casa della zia ancora per qualche mese. 

Quello sfaccendato scansafatiche che gli rubava la minestra mangiando gli avanzi che toccavano a lui, che per campare si era dovuto arruolare nell’esercito. Non fu facile sopportarlo, fortunatamente non era quasi mai a casa, i soldi del servizio li aveva incassati e si erano immediatamente tradotti in vino, ma aveva promesso alla zia di portarlo dal nuovo padrone personalmente, sempre dietro una piccola mazzetta.

Giunse il primo marzo del 1830, Edwin doveva cambiare casa e Edgar lo accompagnò, doveva prendersi i quaranta dollari e farsi una bella cresta, voleva bersi tutta la sua parte alla faccia del negro.

Era una bella giornata a Baltimora, piena di corvi svolazzanti nella pioggia di un marzo pazzo.

“Dai su mio caro Edwin, non fare quella faccia triste, vedrai che starai bene!”

Un ghigno malefico si allargava sotto i baffetti di Poe che aveva l’ombrello mentre Edwin si beccava lo scroscio della pioggia e qualche corvo planando in basso tentava di cavargli un occhio.

“Lo so che non vedrai mai più i tuoi amici, la tua famiglia, tutti i tuoi affetti, che magari verrai picchiato a sangue tutti i giorni, mica hanno tutti la mano delicata come zia Maria, ma quei quaranta dollari ci servono Edwin, mica potevamo mangiarci la tua carnaccia. Dai tirati su, magari un giorno troverai uno scarabeo d’oro!”

Il negro taceva con la sua faccia triste, giunsero all’abitazione di Ridgway. 

Edgar si liberò di Edwin mettendolo nelle mani del nuovo padrone sull’uscio di casa di quest’ultimo; intascò i quaranta dollari e quando la porta si chiuse non li rivide mai più, lasciando ai negri quel che era dei neri e agli schiavi ciò che loro spettava.

Aveva ore di studio da compiere, cosa se ne sarebbe fatto Edwin invece della libertà? Avrebbe poltrito ed evitato la fatica, come già faceva da schiavo, anche se qualcuno qualche secolo dopo avrebbe detto il contrario, che Edwin magari avrebbe potuto scrivere       “Il Corvo” ma si sa che c’è sempre qualche cialtrone che rema contro corrente a dire la sua castroneria.

Dei quaranta dollari a casa Clemm ne tornarono solo trentacinque, cinque li aveva scialacquati Edgar in una gara di versi in taverna, che perse, di conseguenza dovette pagare sia le sue consumazioni che quelle dell’avversario, più qualche altro bicchiere di consolazione. Un corvo, uno solo volava sulla taverna malfamata di Baltimora, il corvo dal nero piumaggio della poesia.

Voi penserete che tutto ciò non è giusto, che Edwin era un essere umano e non meritava un simile trattamento, ma cosa devo dire io, che dopo secoli da questa vicenda, ammiratore di Poe, vedo ogni giorno un Edwin che mi guarda su un muletto? Lo vedo chiaramente che si venderebbe la mia vita per meno di quaranta dollari.


Davide Giannicolo


Note dell’autore:

Questo racconto si basa su una storia vera, realmente Poe vendette Edwin per quaranta dollari per conto di sua zia Maria Clemm e qui ne riporteremo gli atti originali conservati nella Poe Room alla Enoch Pratt Free Library, la biblioteca pubblica di Baltimora. Dove si trovano tutt’ora.




Come prima fonte vorrei citare il preparatissimo Daniele Imperi senza il quale questo racconto non avrebbe avuto vita dato che a ispirarmelo è stato proprio il suo articolo riguardante l’argomento che potete leggere qui: https://edgarallanpoe.it/schiavo-venduto-da-poe/ 

Fonte inesauribile sulla biografia di Poe che ho contattato personalmente ai fini di questo breve racconto.

Altra fonte utile, in lingua inglese, è stata la seguente: https://baltimorehistories.substack.com/p/edgar-allan-poe-and-edwin-the-enslaved 

 




martedì 4 marzo 2025

Red Moon



Il Red Moon era una topaia, pochi avventori ubriachi al punto di non capire nulla, musica Death Metal Old School per tutto il tempo in un tetro sottofondo. Ma quello che più colpiva era l’oscurità, era talmente buio che sul pavimento potevi inciampare in un cadavere o su una gabbia toracica decomposta senza accorgertene. Non ero lì per caso, a bere Whiskey forte accompagnato con birra nera come il contorno del locale. Giacca di pelle marrone e guanti borchiati. Non mi ero volutamente infilato in quel fumetto di Ghost Rider anni ‘90 scritto da un pazzo alcolizzato e violento. 
Ma cercherò di andare con ordine.
Sono il Detective Mario Lovebuzz e non sono nuovo a questo genere di cose, occhi privati, come si diceva un tempo, non sono uno sbirro, tu paghi e io mi caccio nei guai in cui non vuoi ficcarti tu. 
Come dicevo ho già fatto cose di questo tipo. 
Ho sbudellato Voje in cimiteri nottetempo insieme a quel folle di Igor Vetusta e al mio collega O’Vampir. Ho incontrato persino il Baron Samedi, o qualcosa del genere, tutte cose che quel frocio inglese di Dylan Dog non si sogna nemmeno di fare. Insomma me ne stavo nel mio ufficio a contare gli scarafaggi quando mi si presenta questo cliente per bene, non i soliti morti di fame, uno coi soldi, si vedeva dalla faccia, dai vestiti e tutto il resto. Figlia scomparsa, un buon compenso in ballo. Mi mostra la foto, una bella ragazza, non oso immaginare che fine possa aver fatto tra le belve in cui si è cacciata. Un giro di droga, sembra ci sia un nuovo sballo nella metropoli, una roba che ti rende folle e ti fa sbranare la gente, Lunatic la chiamano, la sostanza che è un cristallo tipo il crack. Insomma la ragazza si è ficcata in questo giro di motociclisti, Punk, degenerati o checcazzosiano, questo aveva scoperto il vecchio detective prima di me, quello serio e pagato il doppio della mia parcella, prima di crepare, proprio al Red Moon. 
“Cosa le fa pensare che io possa fare di meglio?” Dissi al paparino disperato per la sua principessa rapita da chissà quale infame incantesimo.
“Mi hanno detto che i suoi metodi sono rozzi, ma che non molla mai, come un mastino e che è specializzato nei casi surreali, che si muove tra i reietti, gli zombie e i fantasmi di questa città come nessun altro, e questo mi sembra proprio un caso del genere!”
Mi ha dato un bell’anticipo e si sa come funziona con l’affitto, le spese e tutto il resto, rifiutare il lavoro sarebbe stato folle, anche se uno ci aveva lasciato la pelle e le ossa prima di me, in fondo è il mio mestiere, non posso certo fare lo schizzinoso.
Il vecchio detective dopo essere stato visto per l’ultima volta al Red Moon era stato ritrovato sotto un ponte vicino al porto, una carcassa dilaniata divorata dai ratti, insomma non mi aspettava niente di bello.

Mi guardavo intorno nel locale, c’erano un paio di belle figliole tutte pelle e borchie, con le tette al vento e miriadi di tatuaggi. Bevevano peggio di camionisti e non avevano certo modi raffinati, oltre a loro un gigante barbuto che sembrava il buttafuori se ne stava davanti alla porta d’ingresso con lo sguardo fisso su di me, poi c’era il barista, un tipo secco e nervoso, con occhiali da sole nonostante fosse buio pesto, capelli a spazzola che sembravano pungere come gli aculei di un porcospino, mi guardava anche lui sghignazzando. Tutta l’altra gente, due o tre persone, erano svenute sul bancone. Erano le due di notte ed ero lì già da un pò. 
Le tipe mi si avvicinarono, una a destra e l’altra a sinistra mi sedettero accanto mettendomi nel mezzo. Le tette mi strusciavano i gomiti.
“Ciao bello, non ti ho mai visto qui o sbaglio?”
Il barista continuava a sghignazzare.
“Voi invece? Siete abitudinarie? Per me un posto vale l’altro, basta ci sia da bere!”
L’altra tipa, con mezza testa rasata, alta circa uno e ottanta col corpo massiccio, infilzò con un colpo secco un grosso coltellaccio da caccia sul bancone.
“Questo non è un posto per ragazzini, né per tipi curiosi!”
Si andava subito dritto all’osso, me lo aspettavo, non ero certo lì per fare domande o ficcanasare. In tasca avevo un fischietto, lo estrassi e cominciai a fischiare come un pazzo, tutti mi guardarono attoniti, immediatamente O’Vampir sfondò la porta con un calcio e senza fare domande sparò nella schiena alle due tipe con un fucile a pompa, io azzoppai il buttafuori a colpi di revolver. Restava il barista che si era accucciato dietro al bancone, gli altri clienti continuavano a starsene svenuti. Afferrai il barista per il collo mentre il buttafuori strisciava cercando di spararmi in un lago di sangue, O’Vampir gli spappolò la mano armata con un bel getto di pallettoni.
Mostrai la foto della ragazza al barista:
“Come vedi qui non scherziamo un cazzo, so che conosci questa ragazza, devi solo dirmi dov’è!”
Ma il barista sembrava un duro e mi ringhiò:
“Tu sei fottuto amico, non ti rendi neanche minimamente conto del casino…”
Non riuscì a finire, lo colpii con uno schiaffo, ma c’era dell’altro ad attrarre la mia attenzione adesso, O’Vampir aveva ripreso a sparare, questa volta all’impazzata, senza fermarsi, come se fosse braccato, e non capivo il perché. 
Le due donne si erano alzate, con le schiene bucate e sanguinanti, ma non erano più donne, bensì mostri pelosi e ringhianti alti due metri, anche il buttafuori fece lo stesso, nonostante avesse la mano monca e sanguinante, era incazzato nero e mi artigliò il petto scaraventandomi tra le bottiglie dietro al bancone, cominciai a sanguinare come una bestia al mattatoio immediatamente. Lo so che mi giudicherete un pazzo ma io avevo già il sentore di imbattermi in qualcosa di simile, era per questo che m’ero portato dietro un pò di roba più pesante del solito. Lanciai una granata in faccia alla bestia calcolando bene i tempi, nell’esplosione brandelli pelosi si disseminarono in una pioggia di sangue per tutto il locale, feci lo stesso con le altre due che stavano strattonando O’Vampir tentando di strapparlo a metà come a volersene contendere i pezzi. Il mio aiutante riuscì a ripararsi per un soffio, prima che l’esplosione devastasse i corpi delle lupe affamate.
Ripresi la mia discussione col barista:
“È la droga vero? La lunatic a trasformarli, non è così?” 
“Te lo ripeto amico, tu non hai capito un cazzo, dai retta a me, sei ancora in tempo, togliti dai coglioni!”
“Mi dispiace, ti ringrazio per le premure ma non è il mio stile, devo trovare la ragazza o quello che resta di lei, visto l’andazzo qui intorno!”
Intanto O’Vampir s’era alzato uscendo dal suo riparo.
“Tu sei un grandissimo figlio di puttana, mi stavi ammazzando, te ne rendi conto Mario del cazzo?”
“Adesso ho da fare compare, ne riparliamo dopo, ti darò il doppio per i rischi che hai corso.”
Il barista iniziò a ridere:
“Tu non ti becchi proprio un cazzo, siete morti, siete già morti coglioni, questa è la loro tana, non è la droga a renderli così, queste sono solo cazzate dei giornalisti, è Gouge, è il suo morso a trasformarli…”
Con perfetto tempismo qualcuno colpì O’Vampir così forte da farlo svenire, quello stesso qualcuno, un gigante dalle lunghe chiome e la barba che gli arrivava al petto, mi torse un braccio fino a quasi spezzarmelo, liberando il barista.
“Stavate parlando di me? Gouge sono io, posso fare qualcosa per voi?”
Non ebbi il tempo di rispondere, dei colossali lupi mannari ci caricarono in groppa come fossimo sacchi  della spazzatura e ci portarono in cantina.

I sotterranei di quel posto erano vere e proprie grotte, antiche forse più della città stessa. Sentivo l’odore di resti di carne spolpata e il tanfo di bestia selvaggia. Ero nella loro tana, e presto mi sarei unito ai tumuli d’ossa che vedevo sparsi qua e là lungo il tragitto.
Ci legarono a delle catene terminanti in collari, le mani erano libere, si fidavano della loro forza.
Gouge mi si avvicinò col suo fiato di fogna e macelleria costretta a chiudere da una ispezione sanitaria.
“Allora dimmi fratellino, cosa ci fai qui nella nostra zona? Prima che ti strappi un occhio!”
Non trovai nulla di meglio che dire la verità, Gouge si mise a ridere, nel farlo si trasformò in licantropo, enorme, raccapricciante, cominciò a ululare rimbombando nelle gallerie sotterranee.
“Il vecchio non vuole proprio mollare! Vuoi sapere se la ragazza sta bene? La vuoi proprio vedere? Credo proprio che ti accontenterò, per farti capire che non sono un selvaggio e non temo nessuno.”
Il lupo mi fissava con magnetici occhi gialli simili alla luna che seduce gli assassini inducendoli al misfatto.
“Chiamatemi Moon!”
Ringhiò ai suoi sgherri borchiati non ancora trasformati.
Ricapitolando c’è n’erano tre, compreso Gouge, mutati in lupi mannari. Gli altri, circa una ventina, avevano forma umana, a parte i piercing e i tatuaggi.
Arrivò la ragazza, era serena, per nulla costretta dagli altri.
“Moon, mostra al nostro ospite cosa sai fare!”
La ragazza si trasformò in un enorme licantropo bianco, dagli occhi rossi e intelligenti.
Gouge mi disse:
“Lei è una matriarca bianca, molto rara tra noi licantropi, si nasce così, può trasformarsi quando vuole, non è assoggettata alla luna piena, neanche noi tre lo siamo, siamo degli arconti, molto antichi nella gerarchia lupesca, ti assicuro che ciascuno di noi ha più di trecento anni. Gli altri che vedi, la nostra cucciolata, sono stati battezzati dal nostro morso, li abbiamo scelti ed eletti, loro possono mutare solo con la luna piena, ogni mese circa, finché non impareranno a controllarsi. Lei è nata per guidarci, unirci e comandarci, capisci che non potremmo mai lasciarla andare!” 
Sfiorò il mio occhio coi suoi artigli affilati come lame.
“Ora voglio che tu vada da suo padre, spieghi tutta la storia così com’è e lo convinca a desistere. Sua figlia è nata con un preciso destino, magari incasserai anche il tuo misero compenso e saremo tutti felici!”
Intanto si udì un boato terrificante, una bomba di grandi proporzioni aveva fatto tremare il soffitto di pietra millenaria sulle nostre teste, subito ci fu un andirivieni di Punk e motociclisti armati di cannoni dall’importante calibro.
“Finalmente sono arrivati!” Sussurrò O’Vampir mentre riprendeva i sensi.
“Macheccazzo dici? Chi? Chi è arrivato? Ci stava lasciando andare, avevamo quasi risolto, che cazzo hai combinato?”
Dissi al mio compare tentando di togliermi il collare.
“Lo sai che ho delle conoscenze, ho avvisato un paio di gang, che cazzo, secondo te venivo qui da solo con un coglione come te a culo scoperto? Poi tutti vogliono quella droga, qualcuno ha avvisato pure la Camorra.”
Il mio compare aveva scatenato una guerra, già sentivo raffiche di mitra, ululati e urla disumane sopra le nostre teste. 
Gouge e i suoi arconti, con Moon, la lupa bianca, imboccarono una galleria, senza combattere, offrirono in sacrificio la loro cucciolata. 
Fu un massacro, le gang appoggiate dalla più forte organizzazione criminale locale rasero al suolo il Red Moon. Fortunatamente riuscimmo a liberarci dai collari con un coltello che portavo alla caviglia. Entrammo anche noi nella tortuosa galleria prima che i malavitosi in cerca della fantomatica Lunatic raggiungessero i sotterranei.

Uscimmo da un tombino, proprio sotto il ponte nei pressi del porto, dove era stato trovato il cadavere sfigurato del detective che mi aveva preceduto. La zona e le gallerie erano zeppe di ratti enormi, ero traumatizzato, non lo nego, ormai era l’alba.

Ci mettemmo un oretta ad arrivare nel mio ufficio coi mezzi pubblici. Eravamo sfiniti, lasciai O’Vampir nel sexy shop dove viveva e si procurava da vivere. Feci una doccia, dormii circa cinque ore sognando zanne gialle che mi dilaniavano, poi chiamai il padre della ragazza invitandolo a raggiungermi. Arrivò nel primo pomeriggio, piovigginava fuori e io ero stanco e indolenzito, avevo ancora sonno e speravo di convincerlo a pagarmi, bere qualcosa e tornare a dormire lasciandomi i lupi mannari alle spalle.
“Lupa o non Lupa io rivoglio mia figlia, se non me la riporta non avrà un centesimo!”
Proprio quello che temevo, la faccenda non era ancora finita.
Come trovare quattro licantropi in una metropoli?
Sicuramente erano in cerca di un nuovo covo e di nuovi cuccioli per fortificarsi.
Mi convinsi che bastava stare un po’ attento alle notizie.
In meno di una settimana scoprii che la gente veniva dilaniata e sbranata in un punto specifico della città. Molti testimoni avevano visto strane, mostruose ombre, udito rantoli animaleschi e ululati alla luna.
La droga Lunatic stava imperversando facendo impazzire la gente. L’epicentro dell’accaduto era l’immenso cimitero di Poggioreale.
Bingo!


Restava un problema, potevo uccidere Gouge e gli altri, ma come intrappolare una Lupona bianca alta due metri? Mi serviva un cacciatore, non un macellaio uccisore come O’Vampir o Igor Vetusta, ma un tipo tecnico, uno che se ne intendeva di trappole e bestie feroci, come trovarlo in una metropoli marcia come quella in cui vivevo?

Mi stavo scervellando quando bussarono alla mia porta. Entrò una signora bellissima, alta, elegante. 
Posò una busta di carta sulla mia scrivania, gli diedi una sbirciata, c’erano molte banconote, allora gli diedi una contata, era il doppio del compenso che mi offriva il paparino.
La signora mi guardò, occhi gelidi e grigi, pelliccia di volpe bianca, gioielli scintillanti.
“Lei deve lasciare le cose come stanno, questa faccenda deve finire qui, basta sangue, basta massacri, loro vogliono solo trovare la loro strada! Lasci che la gente creda a questa storia della Lunatic, in fondo la droga distrugge già tanta gente.”
La guardai per qualche secondo, infondo a me interessava solo dei soldi, che si sbranassero pure, questa città è così, succede lo stesso anche senza lupi mannari.
“Per me può andare bene, ma lei chi è?”
“Sono la madre della ragazza!” Disse lei con un irresistibile, fascinoso sorriso sornione.
“Faccio fatica a crederlo mia bella signora!”
Si trasformò immediatamente davanti ai miei occhi, una lupa immensa, tutta bianca come il ghiaccio in Antartide.
Chiamai al telefono il vecchio davanti allo sguardo algido della Licantropa.
“Salve, si, sono io, Mario Lovebuzz, ci ho pensato su, è troppo per me, rinuncio all’incarico, venga pure quando vuole a riprendersi l’anticipo.”

Non dissi niente a O’Vampir, nelle notti di luna piena ancora se ne va in giro col suo fucile a pompa a caccia di Lupi Mannari.

Davide Giannicolo

Note dell’autore: 
Questo racconto è un omaggio alla storia a fumetti di Ghost Rider e Werewolf by Night (Licantropus) intitolata “Return of the Braineaters” uscita in America nel 1992.

Il nome “Gouge”, del capo dei lupi mannari è tradotto in italiano “Sgorbia”, utensile da falegname attuo a scavare il legno. È un omaggio al racconto “L’uomo finito-Un racconto della recente campagna contro i Bogaboos e i Kickapoos” scritto da Edgar Allan Poe, pubblicato nell’agosto del 1839. Dove appunto una “Sgorbia” viene usata per cavare un occhio umano. Gouge infatti accarezza gli occhi del protagonista coi suoi artigli col palese intento minaccioso di cavargli gli occhi e a giudicare dal nome assegnatogli dall’autore, forse questa pratica è a lui molto avvezza, magari potremmo leggerne e saperne di più in storie del suo passato o del suo futuro mannaro.

sabato 1 marzo 2025

Corpo Caotico

 


Corpo caotico, abbietto desiderio. 

Il contrario plastico della perfezione greca.

Linee asimmetriche, caos delle forme, impossibile da modellare.

Carne confusa, buttata a caso da un Dio pazzo, accompagnata da una sbornia anale, sporca orgetta con whisky e due lesbicone su un divano sfondato, effusioni di bagordi, lingua grassa e avida nella bocca, pulsioni e pulsare da tutti i fronti, enormi natiche spalancate come la bocca dell’inferno, sole di un folle pomeriggio di primavera in mezzo ai campi.

Corpo caotico, cosmica follia, sordido segreto matriarcale.

Molle materia, onde sgraziate, oscurità Dionisiaca e informe, figlia della pazzia, malsano desiderio.

Amorfo abisso di sobbalzi e capezzoli grossi come occhi sgranati fuori dai bulbi, tentacoli tremuli, ovunque bocconi morbidi, rotoli e pieghe di mastino glabro, materia rosea di delirio della carne, abnorme mostruosità assisa sul trono di un fallo massiccio come un palo.

Scheletro inesistente, plasticità di pura carne attua a inghiottire nel suo lento, inesorabile, elefantesco avanzare verso la bocca implorante d’ogni peccato.

Sguaiata, innominabile confusione delle forme.

Corpo caotico, febbre di luna, inconfessato spasmo interiore.

Corpo slabbrato, pelle immonda che cede al caos, seni di vacca gravida, fianchi sfatti in cui violentemente affonda la mano e ogni carezza diviene schiaffo nel delirio tattile di un impasto umanoide di lardo e sangue, purulente sensazioni soffocate malamente.

Scultura incompiuta, adagiata come impasto su qualsiasi tocco, che sia il marmo d’una nascosta latebra o il talamo della mia ardente irrequietezza.

Davide Giannicolo