Mesta
Come l’alba d’un vetusto mattino ormai lontano
Ella sospira e la mia anima
Brandisce come fosse alabarda.
Eppure così esili, così fragili sono le sue mani.
Sul ventre di Iside cosparsi il mio pianto,
nottetempo accadde,
accadde come fosse stata l’evanescente carezza d’uno spettro,
accadde che del suo labbro ho tatuata la fragranza.
Smarrito a tratti ora vago sui sentieri siderali del mio chetato istinto,
il moto degli astri erige il maliardo suo canto
e leggera, lene come il soffio d’amore d’una fata la malinconia di quelle note mi fa sanguinare.
Attendo
Guerriero apatico avviluppato da depressivi demoni,
attendo quella morte venusta che la mia lama brama,
attendo affinché dell’orso possa condividere la danza,
la divina danza degli astri a disgregare questi sogni di vetro.
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