HARRY SPLATTER E LA FUGA VERSO LO SCOLO
Si risvegliò cullato dalle onde, supino sull’acqua, le braccia spalancate come se fosse stato crocefisso al salato liquido turchese, alto nel cielo ardeva un sole assassino, lo stesso sole che aveva desiderato scaraventare sulla terra così da poterla incendiare in un rogo funesto, adesso l’astro infuocato ustionava il suo volto, era implacabile, forse offeso dall’arroganza di Harry.
L’apprendista fallito distolse lo sguardo dal disco fiammeggiante, quel gesto era la testimonianza del suo fallimento, non poteva reggere al confronto con il sole, impossibile sfidarlo tenendo gli occhi fissi nei suoi, poiché avrebbero miseramente preso fuoco.
Una nave dalle larghe e maestose vele era vicinissima a Harry, aveva solcato l’orizzonte avvicinandosi lentamente, varcando i fluttui con il suo scafo imponente, l’apprendista però non l’aveva notata, troppo occupato a contemplare la propria disfatta, ma ora che essa era a pochi metri, sovrastandolo con la sua immensa ombra, non poté fare a meno di scorgerla.
Si trattava di un galeone pirata di dimensioni gigantesche, la polena raffigurava un fauno di cui l’immenso fallo era puntato minacciosamente innanzi a sé come fosse una spada, la scultura di legno era così reale, l’espressione del fauno così minacciosa e i suoi occhi furentemente macchiati di sangue così ben fatti da terrorizzare Harry all’istante, ad accrescere il timore fu la bandiera che sventolava in cima all’albero maestro e ciò che essa rappresentava: su uno sfondo nero vi era raffigurata una donna, o forse è meglio dire il tronco di una donna dai grossi seni, la testa, le braccia e le gambe mutilate, non vi erano dubbi riguardo quell’effige, si trattava dello stendardo del feroce pirata Von Sodom il pazzo, noto narcotrafficante cocainomane, necrofilo, sodomita, spietato e antropofago, di lui si diceva che mangiasse peni e vagine, che tagliasse gole con la facilità con cui ci si pettina.
Dal ponte apparve un gigante barbuto, la piccola parte del volto non coperta dalla barba era ornata da serpeggianti tatuaggi, il petto nudo, anch’esso coperto dalla nera barba e dai tatuaggi che coprivano tutto il tronco, l’eloquenza dei tatuaggi confermava lo stesso gusto della bandiera, raffiguravano donne, uomini e bambini mutilati in un inferno di tortura, affollamento di corpi martoriati del tutto simile a un quadro del pittore fiammingo Hieuronymus Bosch.
Lo sguardo di quell’uomo era pervaso da abissi di follia, occhi costantemente spalancati, figli dello stupro e del delitto.
“Tiratelo su per Dio, o vi spacco le reni con la mia mazza ferrata!”
L’ambiguità di della frase mobilitò immediatamente gli uomini, anch’essi tatuati e abbronzati all’estremo, un gruppo di questi si calò mediante delle scale di corda fino a raggiungere la superficie dell’acqua, l’abilità da nuotatori di costoro non necessitava l’uso di scialuppe.
“Sembra morto capitano, anzi, decomposto!”
“Meglio, me lo scoperò fino a farlo diventare uno scheletro e anche oltre! O qualcuno di voi preferisce prendere il suo posto?”
Harry trasalì a quell’affermazione, quale infima sorte lo attendeva? Era sfuggito ai maghi per cadere nelle mani di un necrofilo trafficante di cocaina.
I marinai afferrarono Harry non senza repulsione:
“Che schifo, è ricoperto di pustole!”
“Già, ormai il capitano fotte anche i rifiuti marini!”
“Spero di suscitare lo stesso ribrezzo anche al capitano Sodom!”
Pensò Harry mentre veniva trascinato su, peso morto che si fingeva incosciente.
Lo distesero sul ponte bollente arso dal sole, subito l’estremo calore gli contorse lo stomaco, tossì convulsamente, si voltò su un fianco e vomitò i tre litri e mezzo d’acqua che aveva inghiottito sul fondo dell’oceano, poi aprì lentamente gli occhi, una scia di bava salmastra gli tingeva il mento e le screpolate labbra; intorno a se vide facce segnate dalle cicatrici, torvi sguardi da criminali, occhi scolpiti dal misfatto, dal saccheggio, dal delitto e il furto, ad alcuni mancava un occhio e lo fissavano con l’unica iride sospettosa, altri portavano uncini al posto dei moncherini, altri ancora gambe di legno, arti perduti in risse, scorribande attraverso i mari e battaglie coi guardacoste.
L’individuo più spaventoso però restava Von Sodom il pazzo, che guardava Harry con occhio lubrico, famelico, sessuale, per lui il risveglio di quel mostriciattolo era stato come il dischiudersi di un fiore purpureo che mostra l’umida corolla, corolla che lui bramava dilaniare mediante la sua possente cuspide, turgido pungiglione che già gli si gonfiava sotto il grasso ventre.
“E’la creatura più bella che abbia mai visto!”
Disse con voce sognante il folle pirata.
Harry non si aspettava un simile slancio poetico da un così rozzo lupo di mare, poi realizzò che profferite dalle sue labbra necrofile, quelle parole non erano certo da considerarsi una lusinga.
“Sembra morto, putrescente, ma non lo è, non è un corpo inerte, è vivo, vivo e caldo, fatti toccare!”
E Von Sodom si chinò su Harry, lo sfiorò con la bramosa mano, callosa a causa dell’usura causata dal manico del pugnale con il quale aveva sgozzato milioni di innocenti.
“Voglio scoparmelo subito, subitooo!”
Il colosso barbuto infilò la lingua in bocca all’apprendista , si, la fetida bocca di Harry Splatter, sulla quale nessuno aveva mai osato posare le labbra, adesso invece profanata dalla grassa lingua di un pirata che frugava fin nei suoi più intimi recessi come se avesse voluto leccargli le viscere, giungendo con il suo viscido tocco fino ai molari marci e le gengive grigie, tumefatte, che al tocco espellevano grumi di pus giallo.
Il pirata non provava ribrezzo, anzi era estasiato, innamorato, in un pederasta, necropedofilo colpo di fulmine.
Harry intanto rimaneva passivo, una bambola mostruosa assoggettata ai voleri del gigante, il bacio durò venti minuti buoni.
“Diverrai il mio secondo, mi accompagnerai lungo i sette mari, ma adesso vieni con me, sto esplodendo, voglio succhiare le piaghe purulente del tuo sfintere, profanarti i budelli, empirli del mio possente nettare!”
Il pirata afferrò Harry per un braccio trascinandolo nella sua cabina mentre la ciurma se la rideva sguaiatamente, sorrisi sdentati, quasi nessuno desiderava i favori violenti del capitano Von Sodom, vizi che quasi sempre sfociavano nell’assassinio del partner sessuale, nessuno aspirava a simile sorte, tranne i suicidi recidivi e i masochisti all’ultimo stadio naturalmente, s’intende.
Non appena furono soli ebbe inizio il delirante amplesso, i preliminari furono disgustosi e violenti, ma Harry continuava a subire passivamente, Von Sodom consumò immani quantità di cocaina e tre intere bottiglie di Bourbon, così alcolizzato e fatto si spinse ai limiti estremi dell’efferatezza, pestò Harry a sangue, lo legò al letto, con il suo coltellaccio arrugginito dalla salsedine tagliuzzò le carni purulente del ragazzino, poi, estraendo il suo membro mostruoso, lo strozzò con esso, conficcandoglielo fino in gola come fosse un pugnale, eiaculò nella bocca mescolando sperma infetto a infetta saliva, in seguito mise Harry prono, infilzando il suo ano con una gamba di legno appartenuta a un defunto amante, continuò fino a farlo sanguinare.
Venne sei volte, poi svenne completamente ubriaco, lasciandosi andare addormentato sull’esile corpo del raagazzo che quasi soffocava sotto il peso di quella lardosa, sudata, tatuata e pelosa bestia cocainomane.
*
“Sono stato dragone di fuoco e adesso invece sono la puttana di un corsaro, la verginità che non ho perso con la bellissima sirena me l’ha fatta perdere lui analmente, da tre mesi mi costringe a baciare le sue chiappe segnate dalle cicatrici del vizio, a succhiare le sue emorroidi come faccio con il suo fallo, sono ancora vergine però, non si è mai fatto inculare, che consolazione del cazzo.”
Harry pensava sul ponte notturno, osservando la luna circuita dalle giocose stelle.
“Che almeno il mare torni ad amare la luna, che spezzi la quiete di questa tavola immota con il fragore delle sue onde adirate!”
Udì dei passi alle sue spalle, Von Sodom, completamente ubriaco e barcollante, giunse fino a lui, gli cinse le spalle con le possenti braccia, come fosse un amante romantico che contempla la luna con la sua innamorata, infilò la lingua nell’orecchio cesellato di croste di Harry Splatter, l’ispida barba che passava sul collo donava carezze latrici di laidi propositi.
“Stiamo per sbarcare sull’isola delle Battone Ninfomani, dopo mesi di mare e omosessualità sia io che i miei uomini abbiamo bisogno di sani bagordi, Naitha, la matrona dell’isola-bordello è una vera cagna, sono intere notti che sogno la sua umida, nera caverna, inoltre l’alcool sta per finire, lì hanno delle ottime distillerie artigianali, portiamo con noi un grosso carico di coca, ne baratteremo una parte con whiskey, puttane e oro!
Vai in cabina e cambiati, ho fatto fare un completino a posta per te, camminerai al guinzaglio, non posso mostrarmi clemente nemmeno per un istante, capisci? C’è in gioco la mia sanguinolenta reputazione!”
Harry tacque, come aveva sempre fatto dinnanzi ai soprusi, tranne quella volta in cui il suo grido interiore era esploso divenendo puro fuoco.
In cabina lo aspettava il suo completo, una tuta in latex nero cosparsa di campanellini e pon pon, una maschera con lampo sulla bocca, guinzaglio e collare, la indossò senza fare storie, mentre Von Sodom cadeva, perdutamente ebbro, in un sonno profondo.
*
Il giorno dopo sbarcarono sull’isola delle Battone Ninfomani, Harry si muoveva al guinzaglio del suo padrone scampanellando ad ogni movimento, vergognandosi di sé stesso e di quegli abiti che ardevano sotto il sole cocente emanando un forte odore di preservativo scadente.
Già sulla spiaggia si respirava un aria di festa, ragazze di tutte le nazionalità, seminude, accolsero gli schiamazzanti scellerati, alcune di loro erano grasse e sdentate, altre magre come sciacalli, ma altre ancora sembravano veramente belle, di una venustà sensuale che a Harry Splatter non era dato conoscere, chissà, forse dopo tre mesi di prigionia e torture sulla nave di Von Sodom forse avrebbe perso la sua verginità con una di quelle donne meravigliose ed esotiche.
Ma Von Sodom non lasciava per un istante il guinzaglio che teneva stretto a sé il piccolo mago fallito, che veniva strattonato, umiliato, mentre il grasso corsaro brandiva perennemente una ambrata bottiglia.
I bagordi si protrassero per tutto il giorno, tra droghe, canti ubriachi, alcool e sesso; di tanto in tanto scoppiava una rissa o si vedeva una donna sanguinante sbucare dagli alberi, inseguita da qualche nudo pirata intento a reciderle un seno o il clitoride, presto però nell’isola lambita dal mare tropicale calò il silenzio, puttane e puttanieri si erano addormentati tra i fumi dell’alcool che aveva avuto il sopravvento sull’ebbrezza della coca, Von Sodom giaceva nudo sulla spiaggia con addosso tre cagne cellulitiche, russava profondamente e aveva finalmente mollato la presa dal guinzaglio di Harry, solo dalla grossa capanna-bar-lupanare provenivano musica e grida deliranti, un pappagallo starnazzava:
“Scopala, spaccala questa puttana cinese e dopo sfregiala, sfregiala!”
Era ovvio che il pennuto era stato allevato da un pirata.
Si era finalmente manifestata ad Harry l’occasione propizia per scappare, si alzò lentamente, i campanellini non destarono l’addormentato Von Sodom, così ne approfittò per dirigersi verso il mare affondando i suoi passi nella sabbia leggera, si denudò subito liberandosi di quell’orrendo suono scaturito dalle sue vesti perverse, rimase in mutande, orribile e magro come la zampa di un ragno.
Sulla riva erano arenate più scialuppe, mentre la nave, immenso monumento di tenebra, con il suo fauno apotropaico dal minaccioso membro eretto, era ancorata verso il nero mare aperto.
Spinse la scialuppa e vi montò sopra, lo scrosciare dell’acqua e la spuma bianca ricamata nella tenebra gli annunciarono la libertà ritrovata, remò instancabilmente, se Von Sodom si fosse accorto della sua fuga per lui sarebbe stata la fine, un orribile fine di cui faceva orrore il solo pensiero.
Guardò in alto verso il cielo, la luna rischiarava il suo percorso brillando argentea come uno spettro sul mare.
“Troia, non vedi quanto gli fai del male?”
Si riferiva alla fredda relazione che la Luna teneva con il Mare.
*
Quando Von Sodom riaprì gli occhi si sentì come se una scimmia gli avesse defecato nel cervello, la sabbia lo aveva impanato come una cotoletta insinuandosi anche nelle più recondite pieghe di lardo, notò dopo un po’ che nella sua mano non vi era più il guinzaglio, era solo, le puttane si erano svegliate prima di lui e orinavano nella foresta di palme, ne scorgeva i grossi culi tra le fronde, accovacciate di schiena, come frutti che espellono un liquido dorato, era stata proprio una bella festa.
“Dov’è Harry, dov’è!”
Lo cercò in tutta l’isola, quando realizzò che era scappato lanciò un grido disperato e furente, un grido in cui si mescolavano amore, morte, rabbia, tristezza, dolore e frustrazione.
“In mare presto!”
Harry era già in mare aperto, aveva molte ore d’anticipo sui suoi inseguitori, ma sapeva che le ampie vele del galeone divoravano i fluttui a velocità impressionante, mentre le sue esili braccia già da ore non ne potevano più di remare, dunque Sodom poteva abbrancarlo da un momento all’altro.
Dinnanzi a sé vide una striscia di terra, la raggiunse dopo qualche ora, rapito dal desiderio di cercare un rifugio, una volta conquistato il bagnasciuga si lasciò cadere sfinito sul letto di umida sabbia, fu in quell’istante che udì il sinistro schioccare di chele innaturali e il suono dello zampettare di un enorme granchio che gli si avvicinava.
Il granchio aveva le dimensioni di un cane di grossa taglia, era repellente nella sua armatura grigiastra e la bocca mostruosa che faceva scattare convulsamente una sorta di piccola antenna, questa andava orizzontalmente avanti e indietro senza fermarsi mai, come fosse un corazzato, rigido, acuminato polmone.
Per giunta sembrava che il granchio fosse in grado di parlare:
“Salve giovane ragazzo, tu devi essere Harry Splatter!”
“Come sai chi sono?”
“La descrizione è inconfondibile, tutti i maghi della terra ti cercano!”
Harry trasalì.
“Qui ci sono maghi?”
“Qui? No, qui ci sono solo io e qualche stupido volatile!”
“Bene, ho bisogno di nascondermi per un po’!”
“Posso offrirti la mia ospitalità, la mia casa è laggiù, tra gli scogli!”
Harry si fidava del grosso crostaceo, una sensazione epidermica che non aveva mai provato, simile a quella che avvicina gli umani in un bacio senza parole schioccato nel buio, era la prima volta che incontrava una creatura gentile dopo il Mare, che però si era dimostrato essere un pazzo.
Seguì il suo compagno verso la modesta tana fra gli scogli, dopo un po’ si distese deciso a dormire, la stanchezza e il sopore erano orami padroni delle sue membra, ma nel momento in cui stava per cedere al sonno cullato dall’andirivieni delle onde, un quarto d’ora dopo la reciproca buonanotte, sentì il corpo spigoloso del granchio incollarsi al suo graffiandolo dolorosamente; zampe rigide e sottili, aiutate dalle chele, presero ad accarezzargli il corpo in una crostacea danza d’amore, intanto un suono sinistro si innalzava dall’interno del granchio, una vibrazione sonora simile allo scatto di una cesoia, erano le fusa del compagno di Harry, che presto si rivelò essere una lei.
Quel tocco doveva apparire disgustoso, invece ridestò in Harry qualcosa di selvaggio e primitivo, una sensazione promiscua, sconosciuta, innominabile: era preda di una spaventosa erezione.
La granchiona gli si strusciava contro sempre più, in una tacita intesa Harry cominciò a palparle la corazza e la parte morbida del ventre dove bianche si congiungono le zampe, l’umido tocco di quella carezza strozzava i suoi sospiri, mentre la fragranza del mare si innalzava posandosi intorno a quell’immondo intreccio.
Voleva penetrarla, non sapeva però da dove cominciare, allora la granchia lo aiutò, si voltò mostrandogli il sedere piatto e spigoloso, a un tratto dalla sua corazza, accompagnata da un viscido e untuoso suono, fuoriuscì una sacca trasparente, simile a un fiore vivo, era la sua vagina, candida come la polpa dalla quale proveniva, umida di una bava viscosa, scaglie sottili che la coprivano prima del suo dischiudersi, adesso attorniavano l’organo muovendosi convulsamente, anche quella appariva come una danza amorosa, gli spasmi parevano invitarlo, ad Harry sembrava di notare qualche oscuro organo interno attraverso quelle mucose pareti diafane, il suono vibrante aumentò d’intensità, ipnotizzava Harry spaccandogli lo sterno, allora scattò avanti, mosso da pulsioni quasi elettriche, introdusse il membro con timore in quello splendido orrore, ma al lieve contatto la vulva del granchio agguantò il pene contorcendosi e stringendolo a se, cominciò a far da sola, era gelida e rovente in ugual modo, le zampe ed il corpo del crostaceo restavano immobili immobili, si trattava di un lavoro interno, era come se suggesse il pene di Harry, lo aspirasse dentro se in un paradiso liquido, un’estasi arcana lo pervadeva infatti, nebulosa di sensazioni a lui sconosciute, dimenticò chi era, da dove veniva, perché era lì, con i sensi oscurati si preoccupava solo di spingere, lo accompagnavano in quel cammino cosmico la foga repressa e la rabbia, allora anche il granchio fu scosso dall’estasi, il suono delle sue antenne mascellari divenne più umido, denso, poi Harry esplose nel suo ventre polposo, inondandola di pastosa bruma, aveva perso la sua verginità.
*
“Resta con me!” Disse la granchia.
“No, non posso, mi stanno cercando, ti ucciderebbero con sadismo, è ora di apprendere seriamente la magia come voleva quel negromante alcolizzato di mio nonno, andrò all’isola delle scimmie pazze.”
“Sei pazzo, nessuno può fare una cosa del genere!”
“Io sembro un coglione, ma ho sentito anch’io le leggente su Saduront! Lui ce l’ha fatta!”
“Saduront è solo una storiella che raccontano agli imbecilli”.
“Non ho scelta, mi faranno a pezzi se non ci provo!”
Harry salutò così il suo primo amore, con il ventre ancora caldo montò sulla scialuppa e cominciò a remare verso Est senza voltarsi indietro, era lì che si trovava l’isola delle scimmie pazze.
Era ormai in alto mare quando un bruciore funesto si fece sentire sulla punta del suo pene, rabbrividendo lo tirò fuori al fine di controllarsi, era gonfio, cosparso di macchie e liquami purulenti, prudeva dolorosamente, la punta rossa come la cresta di un gallo, si era beccato lo scolo!
Lo diceva sempre sua madre prima di morire che il sesso non porta altro che malattie veneree.
Davide Giannicolo CONTINUA....
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