martedì 14 ottobre 2025

Fuck Me Serial Killer


La nebbia era bassa e densa, si vedevano a malapena le foglie morte sull’asfalto dei viali della zona suburbana, 31 ottobre sera, poco prima delle sette.

In biblioteca era rimasta solo lei, registrava gli ultimi testi al computer, un silenzio mesto regnava nelle stanze deserte dell’edificio, neanche all’esterno, lungo le strade di aceri e castagni dalle foglie cadute, si udiva alcun suono.

Fu allora che lui apparve, alto e massiccio, nerovestito, una quercia immobile all’entrata della sala. Indossava una maschera e la fissava immobile. Lei si paralizzò, le labbra leggermente schiuse, una piccola goccia di orina tra le mutandine a causa dello spavento, lo scrutava angosciata cercando di capire chi mai si nascondesse sotto quella maschera nera come il resto degli indumenti, un pessimo scherzo di Halloween a quell’ora in una biblioteca deserta. Avrebbe voluto sorridere, risollevarsi, rimproverare il buontempone, ma lui avanzò, lentamente, inesorabile, il terrore si impadronì del corpo di lei.

La mano inguantata le afferrò la gola, la sollevò e schiantò l’esile figura sulla scrivania, il silenzio era lacerante, si udiva solo l’affanno dell’’aggressore, come il rantolo di un orso. 

Le sfilò i pantaloni di pelle  nera che tanto amava indossare per tirare su il sedere, strappò il perizomino filiforme rosa confetto, estrasse un membro pulsante e gonfio dall’immenso glande rosso, le venne in mente una zucca illuminata nelle tenebre della notte mentre lui la penetrava con quell’arnese. La stuprò sulla scrivania, il mostro possente la sconquassava con la violenza meccanica di un pistone. Una danza di pipistrelli fuori dalle vetrate della finestra, il vento gelido di fine ottobre, il fruscio delle foglie cadute, la decomposizione tra le aiuole ordinate, brulicare di vermi impossibile da celare, notte d’Ognissanti, notte di lupi mannarivampiristreghe, mostri e stupratori mascherati. Fu un’esplosione organica, lei venne più volte mentre si stringeva alla sua schiena possente, ma l’orgasmo più grande avvenne quando venne anche lui, riversandole dentro il suo seme  in un getto perlaceo e veemente. Lo sperma le colava dalla vulva, era ancora distesa sulla scrivania a gambe larghe con il sesso ricoperto da una peluria bruna invischiata, mentre lui si allontanava lentamente, così come era venuto. 

Le era piaciuto, non c’era dubbio, era sempre stato il suo sogno, essere posseduta violentemente da un enorme tizio slasher, grosso, risoluto, rozzo e possente.

Tornò a casa, aveva organizzato un festino per Halloween con suo marito, se la gente avesse saputo, la classica bibliotecaria tutta perfettina e impeccabile.

Indossava una divisa nazista femminile con tanto di fascia rossa con svastica, frustino e berretto S.S.

Aveva legato il suo compagno, magrolino e insignificante, con delle manette alla spalliera del letto. Fu allora che lui, lo slasher mascherato, sfondò la porta facendosi nuovamente vivo, questa volta aveva in mano un grosso coltello da caccia modello Bowie. Accoltellò il povero coglione ammanettato e la possedette nuovamente, così, vestita da Gestapo sul cadavere del marito scempiato dalle coltellate, era come una sorta di ménage a trois con il morto, sangue ovunque sulle lenzuola e sulla pelle, un amplesso dal sapore di macello, la carne impiastricciata di fluidi e odori ferrosi, grida di godimento mentre ci si strusciava rantolando sulla carne morta. Una perfetta notte di Halloween per la bibliotecaria repressa dalle tendenze sadomaso, con tanto di cadavere macellato. Lui sparì nella notte insieme ai pipistrelli e alle creature strane ed erranti che popolano quella magica notte d’autunno una volta l’anno, o almeno fu quello che lei raccontò agli inquirenti quando scoprirono il cadavere del marito, perché nessuno ha mai saputo, in quella cittadina fuori mano dove ciascuno sa tutto di tutti, se quella storia fosse vera o fosse stata lei a ucciderlo in un gioco erotico spinto troppo oltre.


Davide Giannicolo

domenica 14 settembre 2025

Mal d’Aurora

 


Nei sobborghi satanici della mia mente,

vaga una solitudine avida d’angoscia.

Impossibile coadiuvare azione e pensiero,

se il primo è zoppo e il secondo marcisce nelle fogne.

Ovunque io mi volti io scorgo il disagio,

la decadenza di un’umanità sull’orlo della catastrofe.

Eppure all’ aurora cantano gli uccelli del mattino, come frammenti ritrovati del Satyricon di Petronio.

Nessuna latebra può nascondere la disperazione del cuore umano, costretto a contorcersi come un verme, eternamente, nel fango dei secoli.

E allora penso, la vita è catastrofe da sempre.

Così come la carne nasce per decomporsi miseramente all’ombra dell’avello.

La mano carezza l’amante fremente e allo stesso tempo sferza la coltellata.

Tutto, ennui perpetua, è uguale a sempre, nel rigore di una nausea inalterata.

Solo la violenza ridona splendore a ogni azione.

Davide Giannicolo

domenica 7 settembre 2025

Tarda Estate

 


Soffia sul mare il vento di Settembre 

annunciando un fantasma d’autunno.

Gli amici partono.

Le onde portano via i ricordi,

cullandoli dolcemente sui fondali silenziosi.

Nulla ha più senso in questa spiaggia adesso, neanche le lacrime o la malinconia.

Inutile indugiare ancora accanto al suicidio delle passate emozioni e tentare di rianimarne il cadavere.

Resta solo l’ombra dei nostri sorrisi passati 

con la speranza di quelli a venire.

Davide Giannicolo



domenica 24 agosto 2025

Notti

 




Il pingue nanetto si avviava verso l'automobile, faceva freddo, un’aria gelida tagliava le ossa cercando di cristallizzarne il midollo.
Eppure qualcosa scaldava il ventre del tizio, un coacervo di immagini non ancora disgregate dal sonno appena infranto.
Turni di notte, che noia, se non fosse per i piacevoli svaghi mai sopiti della propria mente, grovigli di speranze pornografiche represse, ragazze che a lavoro avrebbero sorriso, si sarebbero chinate, mostrando lembi di carne intravista e da scoprire, sobbalzi pettorali di grosse tette il cui pudore viene distratto dalla foga del lavoro.
Tutto ciò era per lui, uno spettacolo messo in piedi unicamente per il suo piacere, o almeno così lui credeva, quei pensieri erano indelebili come un impronta calcata nella sua mente masturbatorea.
Montò in macchina, una leggera erezione aveva vinto il freddo, pensò a dei nomi, nomi femminili, chi si sarebbe chinata per prima? A quale di quelle troiette avrebbe spiato per primo i glutei posti in bella mostra?
Il placido torpore svanì di colpo, vide solo un ombra, enorme, oscura come quella di un orso, che però pareva un lampo.
Il parabrezza della macchina si schiantò in mille pezzi, un oggetto contundente ci si era abbattuto sopra con pesantezza, penetrando nell'abitacolo e spappolando la mascella del passeggero.
Il terrore pompò il sangue a mille, adesso non si trattava più di torpore, bensì di fuoco, roghi di paura che infiammavano il corpo del masturbatore incallito.
Qualcuno aprì la portiera, un gigante o qualcosa di simile, la sua presenza era opprimente, incombeva asfissiando, così come il pregnante odore della pelle nera che aderiva alle sue braccia enormi.
Una mano inguantata, anch'essa ricoperta di cuoio, strinse la nuca grassoccia del tizio, il dolore alla mascella si stava assestando, cominciava a indurre lacrime copiose e conati di vomito.
Venne catapultato sull'asfalto, con la spinta di quell'unico arto che lo aveva afferrato, per terra, stordito ma terribilmente cosciente, il masturbatore potė vedere con chiarezza colui che gli stava innanzi.
Brandiva uno spadone, da usare a due mani a giudicar dall'impugnatura, ma lui la brandiva con dimestichezza con la mano libera, ostentò questo suo mesto potere, poi lentamente appoggiò la spessa lama, molto simile a una mazza di ferro, sulla propria spalla.
Il suo volto non era chiaro nella notte, pareva però pallido, cadaverico, eburneo come quello di uno spettro.
Il colosso issò lo spadone sulla propria testa, indugiò ammirando la paura sul volto della sua vittima, poi abbatté la lama sulla rotula, in un colpo secco e maestoso.
La lama non era affilata, era stata concepita più per spezzare che per7 tagliare, cosa che fece, la gamba si accartocciò sotto il colpo, nessuno, badava alle grida nel parcheggio inghiottito da sbuffi maligni di nebbia, i grilli frinivano, reclamando il sangue in una macabra canzone dedicata alle tenebre.
Lo spadone cadde poi nuovamente sulla schiena dell'uomo rannicchiato sull'asfalto, che pensò bene di fingersi morto dopo quel colpo che forse lo aveva paralizzato per sempre.
Ma udì il clangore del ferro abbandonato con violenza sul cofano della sua automobile, allora aprì gli occhi, ma no, il gigante non stava andando via, srotolò una catena, lunga quanto una delle sue gambe.
Cominciò a farla roteare in aria, quel sibilo era agghiacciante, più volte, le maglie d'acciaio si schiantarono contro quegli esterrefatti sopraccigli che spaccandosi miserevolmente aprirono i getti fascinosi di fontane di sangue.
"La tua bocca è spaccata e non puoi parlare, i tuoi arti spezzati e non puoi muoverti, i tuoi occhi sono sfondati e non puoi guardare..."
Il gigante gettò in terra la catena, accanto al corpo contorto, mugolante e orribilmente contuso, l'uomo trasalì nell'udire quel suono, ma allo stesso tempo un pesante calcio fracassò il suo timpano, e i suoni circostanti non divennero altro che dolore.
Qualcosa poi gli spezzò le mani, forse la spada-bastone, poiché era quello il violentissimo stile del colpo.
"Le tue orecchie non possono udire né le tue mani toccare..."
La bestia era su di lui, in piedi, con uno scarpone a far pressione contro la sua guancia tumefatta.
"Ma vedi, anche in queste condizioni tu sei ripugnante e affatto innocuo agli occhi della giustizia del nostro creatore..."
Spinse ancora di più lo scarpone, sembrava che il cervello dovesse esplodere dalle orecchie e dagli occhi.
"Poiché è la tua mente, la tua anima, queste due cose inscindibili dal corpo, sono queste due cose a renderti sporco e spregevole."
Il piede venne sollevato, ricadde giù con violenza, ed il cranio si spappolò emettendo un sinistro scricchiolio.
Quello che restò sull'asfalto, non era che una parvenza umana, un pezzo di carne smembrato, devastato, semplicemente sfasciato con brutale criterio di logica folle.
"Ringraziami porco, poiché ben più furioso, può essere l'occhio di Dio!"
Igor Vetusta si allontanò dal parcheggio, aveva raschiato via il male dal mondo, anche quella notte.

Davide Giannicolo

Dedicato ai parcheggi isolati nottetempo.

Il Licantropo e la Studentessa

 


Lara stava giocherellando con il suo lecca lecca al limone e vi passava la lingua di sbieco come se volesse levigarlo in una stranissima, indefinita forma. Il crepuscolo uccideva ogni bagliore e la fatiscenza dei cassonetti dei rifiuti tentava di invadere le strade semideserte della città borghese.
La ragazza pensava in maniera sbarazzina a cose assurde e irrealizzabili, frivole ma quasi complesse nella loro incompiutezza.
“Pensa se fossi una Spice Girl, strafiga su tutte a dominare gli uomini tra feste d’ogni tipo, invece sai che palle papà a casa con la tele che mi aspetta e si masturba le cervella, l’autobus che non arriva e gli albanesi coi coltelli che sbucano dagli angoli.”
Effettivamente un Albanese fuoriuscì poco dopo da una piccola collina di rifiuti accatastati. Aveva pantaloni di pelle e maglietta nera unta e ricoperta di lattughe, cominciò a fissare Lara con insistenza da necrofilo.
“Ed eccolo manco a farlo a posta che sbuca l’albanese, cazzo fanno sempre più paura.”
Ma l’albanese in realtà si fermò in mezzo alla strada e vomitò un cerbiatto blu, poi ci si mise a cavallo e sgommò nella sera incombente.
Lara strizzò gli occhi, poi si mise a posto le mutandine, a sedici anni a volte ti vengono le traveggole se la tua sessualità è repressa.
Finalmente spuntò l’autobus all’orizzonte.
159 Scordate poesia e cose profonde” vi era scritto sulla didascalia luminosa, ma Lara non vi badò.
Nel pullman vi era una vecchietta e una ragazza, erano le uniche persone oltre il conducente ed erano sedute l’una accanto all’altra.
Lara si divertiva a sentirle parlare come spesso faceva quando non aveva niente di meglio da fare.
“Cosa fai dunque bella principessina?”
“Studio igiene filosofica del sadomasochismo vaginale, ma in realtà vorrei fare la scrittrice, ho scritto già un libro, si chiama Socrate contro Dracula.”
Al che la vecchietta si alzò dal sedile e cominciò a vomitare addosso alla ragazza, poi si strappò con le unghia le carni di dosso, in una cruenta, sanguinolenta e violentissima esibizione scenica la vecchia si scuoiò aprendosi in due come avesse una cerniera dalla quale svettavano immani quantità di sangue maleodorante.
La ragazzina era tutta impastata di vomito e sangue e nè Socrate nè Dracula potevano spiegarle cosa stava succedendo.
La vecchietta aveva rivelato la sua vera identità, era un diabolico essere metà DeFilippi metà Costanzo con al posto dei genitali un enorme fucile da caccia a doppia canna.
Un colpo sfondò il fegato della fanciulla aspirante scrittrice che si spiaccicò sul finestrino alle sue spalle colando come un pomodoro marcio.
Lara era sconvolta mentre osservava la scena, e intanto però notava che nuovamente le mutandine erano bagnate, che strana storia, che cazzo era quel essere mezzo Maria mezzo Maurizio? E l’albanese sul cerbiatto blu?
L’essere mostruoso gettò in terra la sua prima, sanguinante pelle di vecchietta, si avvicinò a Lara con fare laido e lascivo da cui si intuivano propositi di sadismo e affilata penetrazione.
Ma d’un tratto l’autobus si arrestò di botto, il goffo essere fu catapultato e fece un capitombolo fino ai piedi dell’autista che ora s’era alzato in piedi.
Era un grosso Licantropo peloso e ringhiante, era talmente grosso che poteva strappare via le lamine del pullman con gli artigli, probabilmente era un Ursus Cimiterialis, uno dei più grossi lupi mannari sulla piazza.
Il grosso licantropo fece a pezzi l’essere diabolico e ne disseminò i pezzi lungo tutto l’autobus, lo sfracellò senza emettere nemmeno un ringhio.
Lara sussultò, e ancora le sue mutandine, e non solo, si rivelarono esser bagnate.
Il lupo la fissò e le disse:
“Posso penetrarti con il mio grosso membro peloso?”
Ed allora le mutandine di Lara furono inondate, letteralmente travolte da una diga affluente. Il mannaro le strinse le morbide carni nelle mani artigliate, la denudò ferocemente e le fece vivere il rapporto sessuale più brutale ed estatico della sua sedicenne vita, stare qui a raccontare i particolari sfocerebbe nel pornografico, insomma Lara fu penetrata ovunque e in ogni modo plausibile dalla licantropa foga.
Quando si risvegliò e capì che era tutto un sogno Ezio Greggio era sopra di lei e la fotteva a sangue con in testa un frontino con le corna da satanasso.
Lara aveva sedici anni, e avrebbe dato il culo per fare la velina.

 

Dedicato a coloro che vogliono circondarsi solo di stronzate, che non meritano poesia né sublime metafora, che forse non se ne accorgono, ma sono proprio dei coglioni.


Davide Giannicolo

domenica 10 agosto 2025

Diario di un Cadavere

 


In questa landa che nessuno visita mai, sotto la quercia che affonda le sue radici nel mefitico terreno sconsacrato succhiando linfa nefasta, concimata dai morti abbandonati. Ai cui rami robusti penzolano dozzine di corde, sotto ciascuna di esse un impiccato langue nel terrificante abbandono della morte. In questo luogo desolato, solo il boia mette piede, neanche i becchìni osano farci visita, lasciando i nostri corpi appesi fino a che non divengono scheletri spolpati dai corvi.

Il boia vive in un capanno nel bosco poco distante, è un essere abbietto sia nel corpo che nello spirito, è sporco, dal volto sfregiato a cui qualcuno un tempo ha strappato via il naso con qualche attrezzo di tortura. Quando viene morso dal capriccio, favorito dall’estrema solitudine di questo luogo silente, ove si ode solo lo stridio delle corde, il frusciare delle foglie e l’ululato del vento, egli giunge al mio albero completamente nudo; si arrampica su una scala marcia, con l’aiuto di un coltellaccio arrugginito taglia la corda avvinta al mio collo, lasciando cadere pesantemente il mio corpo sulle foglie, senza curarsene minimamente, come se io fossi una bambola inerte e priva di valore alcuno. Approfittando delle mie già evidenti nudità e della mia totale incapacità di movimento mi possiede carnalmente, facendomi cose orribili, sussurrandomi all’orecchio atrocità indicibili, violando ogni orifizio e ogni intimità, dissacrando perfino la mia presunta morte. Sì, perché io sembro morta da settimane, ma in realtà, per chissà quale oscuro incantesimo malefico, io non lo sono, sono perfettamente cosciente durante questo suo stupro necrofilo, ma il mio corpo resta inerte, non riuscendo a muovermi né a proferire verbo sono costretta a subire le viscide spinte e gli affanni dal fiato nauseabondo di quell’uomo esecrabile. Quando infine ha scaricato dentro me il seme del demonio che striscia nel suo ventre, mi stringe una nuova corda al collo e con la forza di un bruto issa nuovamente il mio corpo sul ramo nodoso della quercia, al quale faccio da pendaglio fino alla sua prossima voglia.

Eterna solitudine compone i miei giorni tra questi morti impiccati, è quasi un anno che sono qui e non mi decompongo, il mio corpo resta florido e questo piace al boia, anche se l’ho visto giocare con altri cadaveri, con carcasse a cui già la carne putrida esponeva l’osso. Noi siamo i suoi balocchi e questo è il suo regno di follia. Il tempo sembra immoto ed eterno nei giorni normali, ma di tanto in tanto giunge un nuovo condannato, molta gente accorre dai villaggi vicini per godersi l’esecuzione, per me sembra un giorno di festa, non sopporto più questa solitudine.

Il mio ventre è gonfio e il Boia non se ne accorge, forse è distratto dai nuovi arrivati. Qualcosa si agita nelle mie viscere, sotto la luna piena, in una notte demoniaca ho capito di avere una vita scalciante dentro me.

Il frutto diabolico degli abusi del pazzo viene alla luce in una notte di luna piena, non vagisce, non urla, come fosse figlio della morte anch’egli. Assecondando uno stravagante prodigio si arrampica strisciando sul mio corpo nudo, avvinghiandosi avidamente alla mie mammelle, gonfie di un tetro latte cimiteriale e mortifero.

Pasce così la progenie mostruosa, è un maschio! Diviene sempre più alto e forte, giorno dopo giorno, nascondendosi tra le querce e all’ombra dei pini, scampando allo sguardo del boia.

Una mattina, ai grigi colori di un’alba autunnale, il piccolo giunse sotto il mio albero con in mano la testa recisa del boia, il padre degenerato era stato decapitato nel sonno, senza che neanche potesse accorgersi di avere un figlio, nato dal cadavere empio d’un’impiccata di cui aveva violato i resti.

“Mamma, è per te!”

Disse il mio bambino porgendomi la testa del boia che irrorava di sangue la terra dei condannati.

Spero che nessuno trovi il ragazzo nei dintorni, non capirebbero, in fondo è un’anima così innocente. Finirebbero per condannare anche lui, l’ultima cosa che vorrei è trovarlo qui di fianco al mio ramo, a penzolare insieme a me in questa eterna solitudine.


Davide Giannicolo

giovedì 17 luglio 2025

Manolete



Manolete danza insieme alla morte con serena eleganza.

Il drappo porpora volteggia nell’aria ricamando disegni leggiadri, come la gonna d’una ballerina fatata, mentre lui rimane ritto e immobile, imperturbabile.

Lo spadino celato pronto a finire Islero sfiancato, nella Suerte de Matar. 

Recibiendo: antico movimento, nobile postura tra la musica dei plausi e le grida di giubilo.

Il sangue zampilla rendendo reale questo sogno.

Islero ha occhi di brace.

La morte prende per mano Manolete a ogni carica del potente animale, il manto  nero come la notte, le corna lunghe e affilate come lame, un diavolo possente e micidiale, allevato appositamente come una macchina da combattimento dal nobile Eduardo Miura.

“Olè”

Grida la folla, sospiri d’ammirazione indiscussa, un angelo sceso tra noi incarna Manolete, eppure egli ha una vita tormentata che grava sul suo cuore di maestro e campione.

Ma nulla conta adesso, la vita è un sogno, una danza leggiadra con la morte, di cui Manolete è innamorato, non vede l’ora di baciare le sue labbra insanguinate di scarlatto rossetto e Islero è il suo colossale messaggero.

La poesia di una rosa che cade sulla sabbia dell’arena come una goccia di sangue.

La passione, il palpito della carne, la lotta, l’obbligo a sanguinare, la danza dell’angelo sceso in terra, Angelo tormentato dagli occhi tristi. Il brusio della calca osannante che lo rende schiavo.

“Maestro voi siete il più grande!”

Lo spadino penetra nella carne di Islero donandogli la morte, ma anche le sue corna affondano in un ultimo guizzo del collo mostruoso nella coscia del genio dei toreri, l’immenso, raffinato, statuario Manolete.

La vena femorale squarciata zampilla fiotti di sangue, rose rosse sulla sabbia dell’arena.

Islero dagli occhi di brace, vermigli come l’ira di Lucifero, ha ucciso il maestro Manolete, Angelo dannato sceso in terra.

La folla resta muta, sguardi attoniti, i petali delle rose si sfaldano, appassiscono.

Aveva solo trent’anni.

Davide Giannicolo

martedì 1 luglio 2025

Proditoriamemte




 Proditoriamente il Diavolo si intrufola nel campanile, massacrando il sagrestano a colpi di violino e cacofonia.

Proditoriamente il Diavolo s’acquatta nel fienile, sorprendendo la bella fattrice assopita sulla paglia, nel suo sonno di mezza estate.

Le solleva la gonna, le accarezza la pelle, con artigli affilati e leggeri come l’ombra d’un vigneto.

Tutto mentre il sole arde accecante nel cielo turchese, senza l’ausilio delle tenebre, come si crede erroneamente.

Impazziscono le cicale in un canto di afa e canicola, mentre il signore delle mosche piroetta beffardo nei campi bruciati dal sole o all’ombra dei palazzi di borghi deserti e silenziosi nel primo pomeriggio, in cerca d’un grottesco sollazzo.

Proditoriamente all’ora della controra, subito dopo pranzo, quando tu hai svuotato la tua bottiglia di vino bianco e ronfi nella camera in ombra cercando un filo d’aria, il Diavolo entra dalle finestre, si nasconde tra le scale, alita fuoco nefasto sul tuo volto come fosse il mantice d’un fabbro, t’osserva, ti fiacca, ghigna…sei suo!

Davide Giannicolo

A Edgar Allan Poe

mercoledì 4 giugno 2025

Decadenza d’estate

 


La peonia appassisce.

Il muro si scrosta.

Cedono le fondamenta.

Muschio sulle statue d’una antica casa nobiliare.

Il sole ferisce le membra.

Corpi come frutti marcescenti che cadono al suolo.

Sesso all’aperto.

Pesche troppo mature divorate dai vermi.

Vita finita.

Pelle fradicia di sudore.

Rantoli.

Eiaculazione.

Decadenza d’estate.

Villa diroccata.

Ubriachezza all’ombra di un pruno.

Vigne disfatte dagli insetti.

E io.

Ti spio.

Mentre ti chini.

Sognando la pineta 

che dà accesso al mare 

e il sogno del Mastino 

ormai morto.

La peonia appassisce come la mia verga.

Stanca e ributtante.

Nel profumato suicidio 

di tutti i sentimenti

quando mi svuoto dentro te.

Davide Giannicolo

martedì 20 maggio 2025

Tarda Primavera

 


Tarda primavera, un cadavere tra i fiori di campo.

Gialli riverberi di piante in germoglio.

Grappoli sanguinanti.

Marcescenza.



Tarda primavera,

uno scheletro tra le fronde spolpato da un viluppo verminoso, 

il frinire di una miriade di insetti,

grappoli sanguinanti.

Il silenzio, 

la morte,

in tarda primavera.

La carne putrefatta concima il terreno avido.

Timido sole, 

tombe a cielo aperto,

api giocose scavano gli occhi della carcassa abbandonata nel luogo solingo.

Tarda primavera, 

marcescenza che avanza, 

olezzo di verzura, 

alberi brulicanti,

luce abbagliante,

viscere scavate dagli stessi parassiti di sempre.

Grappoli scarlatti,

mirabili riverberi dorati tra gli specchi delle foglie.

Grappoli sanguinanti,

morte glauca, 

intrisa di odori…

Silenzio…

…e null’altro.



Davide Giannicolo

mercoledì 7 maggio 2025

Un Amore Estivo

 


Un amore estivo

in cui mi preferisti a un tizio inutile.

Il mio ego in frantumi e tu appartata con lui.

Un amore estivo,

bellissimi ricordi,

non per me.

Un amore estivo, 

lingua in bocca ai falò 

e sul mare nero 

le stelle divenivano lame scintillanti.

Un amore estivo, 

ora non soffro più. 

Provo solo rancore eterno 

e sdegno verso la tua fica slabbrata.

Un amore estivo, 

ora che non puzzo più di tana materna né di romanticismo,

non ti toccherei neanche con un uncino arrugginito.

Un amore estivo che non ricordi neanche più.

Mentre per me, 

sul mare nero,

le stelle divenivano dolorose lame 

dal meraviglioso scintillio.

Davide Giannicolo

domenica 4 maggio 2025

Katana Split


Katana Split , per regolare i conti.

Maschera di demone e mutilazione.

Tutto a poco prezzo, 

Questo è il mio dessert.

Katana Split in campagna ed in città, 

Firma killer chef da non dimenticare.

Morboso Tsujigiri,

Ferro attuo all’offesa,

Spargimento di sangue.

Vittima innocente?

Omicidio all’angolo di strada,

Agguato.

Katana Split, alone di mistero, 

tutto a poco prezzo, 

Soldi ed erezione.

Acciaio economico, 

facile da duplicare, 

Roba usa e getta 

di cui potersi sbarazzare.

Per soldi o per vendetta o per depravazione,

L’identità del demone si approprierà di te.

Katana Split non può mancare sul menù,

Taglio trasversale di cui sai solo tu.

Davide Giannicolo



domenica 27 aprile 2025

Demone Antico

 



Un Demone Antico. 

Le virtù dell’isolamento e della misantropia.

Nubi oscurano il sole nei dintorni del tempio.

Luna sanguinante, discepolo e maestro.

Vetusto Rituale nei sotterranei del castello.

Arcano Maggiore, bestia sopita.

Sigillo tramandato nei secoli, rubino scarlatto montato sull’oro.

Rancore, sangue, violenza.

Un Demone Antico, 

Sempre si risveglia, 

Nei secoli.

Taglio, 

contusione,

 pugnale, 

mazza, 

spada e catena.

Demone Antico.

Cripta sotterranea.

Tomba segreta.

Tarocchi.

L’ardore dell’anello ritrovato.

Demone Antico, 

mai domo, 

mai sopito, 

risorge.

Davide Giannicolo



domenica 13 aprile 2025

Cessi Pubblici(Sordida Babele)

 

Nella sordida Babele putrescente, un negro si filma l’uccello disgustoso menandoselo in un cesso pubblico, sorretto da sinfonie d’olezzo di piscio e peli di cazzo.

Poco più in là, all’aria aperta, una bionda baldracca dalle adipose natiche stropicciate fa jogging, vendendo tacitamente il suo culo allo sguardo di tutti, come fosse un suino ricoperto di mosche esposto al mercato.

Carne malata, eppure comprata, meglio la morte o questa vita infetta?

Insetti sconosciuti scavano nelle carogne, deponendovi larve pulsanti impazienti di diffondere il morbo.

Il sole grigio, ricoperto da nubi eterne, fomenta funghi mefitici dai tentacoli blu.

Un Dio deforme discende da piramidi interstellari ed estraendo un membro viscoso sguainato da aliene carni obese, eiacula sul sesso perduto d’una sacerdotessa umana, pronta a barattare le sorti del mondo con un tetro, inutile potere che ubriaca unicamente di boria.

Meglio la morte o l’agonia di tutto ciò che un tempo rifulgeva di bellezza?

Una scolopendra enorme, lunga più di un uomo adulto, se ne sta immobile sul muro di mattonelle dell’orinatoio, gustandosi l’umidità e il fetore indugiando cullata dal più incomprensibile e disagevole nulla.

Il negro nel cesso pubblico eiacula e scrive sulla parete bisunta la parola “Bitch ass”.

Le sue mani sono ancora imbrattate di sperma quando gli sparo un intero caricatore nel petto, nella testa e nel cazzo, spappolandolo, ho comprato una pistola a 100 euro da mano ai pakistani alla stazione, chissà quanti morti avrà già alle spalle questo attrezzo di morte.

Voglio ritardare la venuta del Dio deforme, allora sparo anche nelle natiche stropicciate di quella che fa jogging.

Oscuri serial Killer portano a volte il giusto nelle strade sudice di Babele venendo fraintesi e alcuni pakistani vendono pistole.

La stazione è il cuore pulsante dello squallore, il muro irto d’erbacce dai gialli fiori malevoli, il ventre del cane randagio disseminato di tumori, la discarica a cielo aperto, collezione di squallori, il luogo nefasto ove opera il pazzo Gran Garrota.

Davide Giannicolo 



lunedì 24 marzo 2025

Trauma



Il trauma spadroneggia nel mio inconscio,

banchetta con le scorie della mente.

Cose che avrei potuto fare. Immobili ad aspettarmi in un ghiaccio malefico.

Parole che non ho mai detto, cucite come lepidotteri nella mia bocca ormai priva di fiato.

Paure malamente sopite.

Oltraggi mai lavati col sangue, la cui onta impunita m’addenta le costole.

Ferite lasciate a imputridire senza sanarsi.

Nostalgie consunte dal tempo come vecchie foto.

Sensazioni svanite in un deserto di nulla eterno, irrecuperabili.

Dormo,

ricercando una piccola morte,

poiché la vita m'è avversa.

Ma il trauma s’impadronisce anche del sogno.

È scaltro, si beffa di me, conosce ogni disarmo e colpo di punta.

Come un crossdresser si palesa disgustandomi ogni volta.

Altre volte appare come una baldracca di carne tremolante che scoppia d’opulenza, disfacendosi al mio tocco in un groviglio di vermi che rovina sul piancito della mia corteccia cerebrale.

Si veste di rabbia, rancore, lussuria, malinconia e suicidio itinerante.

Pregno di invisibilità, mai sazio di ricordo incompiuto e fallimento ancor rovente.

Muore e immantinente risorge, non ha voce.

Il trauma, giorno e notte, fustiga i miei neuroni.

Davide Giannicolo



venerdì 21 marzo 2025

Blasting Enomao

 


Distruttivo Enomao dai cavalli invincibili, più veloci del vento del nord, donati dal feroce dio Ares, suo violento e sanguinario padre.

Tetra profezia costringe la sua mano a decapitare ogni pretendente della figlia Ippodamia, la cui giovane carne però, freme d’ardore.

Distruttivo Enomao continuamente in lizza, nessun pretendente può battere il suo possente carro in un agone, tantomeno l’auriga che lo conduce, Mirtilo figlio di Ermes, anch’egli ahimè a insaputa di Enomao, innamorato segretamente  di Ippodamia.

Distruttivo Enomao, tradito dalla sua stessa carne. Invischiato sanguinante nella polvere, massacrato, a causa della sua stessa figlia.

Le ruote del carro manomesse, il povero Mirtilo ingannato da una bugiarda promessa d’amore. La carne scorticata, le ossa spappolate, la prima gara persa, l’agone della morte inesorabile.

Distruttivo Enomao sei stato beffato.

Pelope, lo scaltro bastardo, lui è il responsabile. 

Lui ha sedotto tua figlia Ippodamia, lui l’ha persuasa a ingannare Mirtilo in modo da manomettere il tuo carro. È lui quel genero vaticinato che ti avrebbe ucciso. Ma tua figlia, sua complice, quello non te lo aspettavi. Il trionfo della carne, le trombe pompose della morte, la tua rovinosa caduta nella sabbia, il cranio spaccato da una pietra. 

Distruttivo Enomao, credo che eterno sia stato e sarà il tuo rancore, fantasma di furia e dolore che ancora oggi riecheggia sull’altare di Poseidone, testimone di ogni tuo spargimento di sangue.

Davide Giannicolo

domenica 16 marzo 2025

Una passeggiata con Edwin



Maria Clemm, la zia di Edgar Allan Poe, dopo la morte di suo marito, se la passava veramente male a livello economico. Si vide quindi costretta a vendere Edwin, lo schivetto negro di famiglia, che oltre a essere una bocca in più da sfamare serviva a poco e niente. 

Maria per Edgar più che una zia era una vera e propria madre, dato che lui la sua l’aveva vista morire  sputando sangue a causa della tubercolosi quando era ancora un bambino. Fu naturale dunque assegnargli quella facile commissione, come mandarlo a comprare il pane. 

“Edgar, mio caro, ho deciso di liberarmi di Edwin, non possiamo più permetterci di mantenerlo, non è che mi faresti il favore di farmi da agente e andare a venderlo per conto mio? Lo darò via per quaranta dollari, è un prezzo basso lo so, ma ne abbiamo bisogno, poi ci scapperebbe fuori anche una bella mancetta per te.”

Edgar già si vedeva in taverna, con qualche dollaro di cresta, in fondo bastava occuparsi dei documenti di vendita, togliersi dai piedi quel negro rompicoglioni nella transazione e magari sfotterlo pure un pò mentre lo lasciava nelle mani di qualcuno meno delicato di zia Maria, che lo avrebbe scorticato di bastonate dalla mattina alla sera. Insomma Edgar Allan Poe già pregustava la sbronza quando rispose. 

“Ma certo zia Maria, me ne occuperò io, non devi affatto preoccuparti, sarà una transazione semplicissima e io ti farò da agente.”

Era il 10 dicembre del 1829, alle tre di pomeriggio, quindi dopo pranzo e ovviamente con una massiccia dose di liquori post dessert in corpo, con un freddo rigido che gli infiammava le guance scaldate dall’alcol, che Edgar Allan Poe presentò l’atto di vendita dinnanzi a un giudice di pace e cedette Edwin per quaranta dollari; un prezzaccio, come se il negro fosse una cassapanca tarlata di seconda mano.

Un po’ di firme e l’affare era fatto, Edwin adesso apparteneva a un certo Henry Ridgway, a quanto pare nero a sua volta, una cosa veramente surreale nonché aberrante. Edwin sarebbe stato però ceduto per contratto il primo marzo dell’anno successivo. Dunque Edgar Allan Poe doveva sorbirselo a casa della zia ancora per qualche mese. 

Quello sfaccendato scansafatiche che gli rubava la minestra mangiando gli avanzi che toccavano a lui, che per campare si era dovuto arruolare nell’esercito. Non fu facile sopportarlo, fortunatamente non era quasi mai a casa, i soldi del servizio li aveva incassati e si erano immediatamente tradotti in vino, ma aveva promesso alla zia di portarlo dal nuovo padrone personalmente, sempre dietro una piccola mazzetta.

Giunse il primo marzo del 1830, Edwin doveva cambiare casa e Edgar lo accompagnò, doveva prendersi i quaranta dollari e farsi una bella cresta, voleva bersi tutta la sua parte alla faccia del negro.

Era una bella giornata a Baltimora, piena di corvi svolazzanti nella pioggia di un marzo pazzo.

“Dai su mio caro Edwin, non fare quella faccia triste, vedrai che starai bene!”

Un ghigno malefico si allargava sotto i baffetti di Poe che aveva l’ombrello mentre Edwin si beccava lo scroscio della pioggia e qualche corvo planando in basso tentava di cavargli un occhio.

“Lo so che non vedrai mai più i tuoi amici, la tua famiglia, tutti i tuoi affetti, che magari verrai picchiato a sangue tutti i giorni, mica hanno tutti la mano delicata come zia Maria, ma quei quaranta dollari ci servono Edwin, mica potevamo mangiarci la tua carnaccia. Dai tirati su, magari un giorno troverai uno scarabeo d’oro!”

Il negro taceva con la sua faccia triste, giunsero all’abitazione di Ridgway. 

Edgar si liberò di Edwin mettendolo nelle mani del nuovo padrone sull’uscio di casa di quest’ultimo; intascò i quaranta dollari e quando la porta si chiuse non li rivide mai più, lasciando ai negri quel che era dei neri e agli schiavi ciò che loro spettava.

Aveva ore di studio da compiere, cosa se ne sarebbe fatto Edwin invece della libertà? Avrebbe poltrito ed evitato la fatica, come già faceva da schiavo, anche se qualcuno qualche secolo dopo avrebbe detto il contrario, che Edwin magari avrebbe potuto scrivere       “Il Corvo” ma si sa che c’è sempre qualche cialtrone che rema contro corrente a dire la sua castroneria.

Dei quaranta dollari a casa Clemm ne tornarono solo trentacinque, cinque li aveva scialacquati Edgar in una gara di versi in taverna, che perse, di conseguenza dovette pagare sia le sue consumazioni che quelle dell’avversario, più qualche altro bicchiere di consolazione. Un corvo, uno solo volava sulla taverna malfamata di Baltimora, il corvo dal nero piumaggio della poesia.

Voi penserete che tutto ciò non è giusto, che Edwin era un essere umano e non meritava un simile trattamento, ma cosa devo dire io, che dopo secoli da questa vicenda, ammiratore di Poe, vedo ogni giorno un Edwin che mi guarda su un muletto? Lo vedo chiaramente che si venderebbe la mia vita per meno di quaranta dollari.


Davide Giannicolo


Note dell’autore:

Questo racconto si basa su una storia vera, realmente Poe vendette Edwin per quaranta dollari per conto di sua zia Maria Clemm e qui ne riporteremo gli atti originali conservati nella Poe Room alla Enoch Pratt Free Library, la biblioteca pubblica di Baltimora. Dove si trovano tutt’ora.




Come prima fonte vorrei citare il preparatissimo Daniele Imperi senza il quale questo racconto non avrebbe avuto vita dato che a ispirarmelo è stato proprio il suo articolo riguardante l’argomento che potete leggere qui: https://edgarallanpoe.it/schiavo-venduto-da-poe/ 

Fonte inesauribile sulla biografia di Poe che ho contattato personalmente ai fini di questo breve racconto.

Altra fonte utile, in lingua inglese, è stata la seguente: https://baltimorehistories.substack.com/p/edgar-allan-poe-and-edwin-the-enslaved