giovedì 1 dicembre 2011

Del dardo e del pugnale

Del dardo e del pugnale
Di Davide Giannicolo



Seppellisci di rose il mio cadavere,
seppelliscimi in inverno
così che la pioggia strozzi i miei lamenti,
così che tu possa ignorare la mia immensità.
Ricopri di terra la mia bara
E lascia che io riposi nel  freddo giaciglio,
lascia che il mondo muoia.

Ricopri di baci la mia bocca
E lo saprai anche tu,
saprai anche tu
cosa significa essere me.



                                                             *************

Talvolta gli stolti superano il risultato supposto, l’aquila maestosa non può volare più in alto poiché è già abbastanza irraggiungibile:

“Possono questi stormi di passeri loquaci
Spartire dell’aquila la solitaria rotta?”.  (Canto di un nobile cuore, Kayo Honen).

Non mi piace ripugnare eppure m’accade così spesso, è troppo bassa per arrampicarcisi e io sono troppo pesante, è troppo bella per lasciarla in mani altrui ma custodir non posso la sua mirabile bellezza, grandi e languidi i suoi occhi di malizia mi portano messaggi taglienti, ora mi rallegra il suo disprezzo, cara stolta Gabriella.
Penserai a me e alle mie labbra ripugnanti che curve in un sorriso sforzato si chinarono alla tua fonte di delizia.
Penserai alle mie mani che tentarono di sfiorare la tua pelle, carezzare le tue chiome.
Impressionante.
Negasti i miei abbracci.
No, ella non nuota nel fango ma in petali di rosa, in delizioso miele ove giacciono le più atroci cattiverie.
Nella dolcezza dimora la malvagità, provate a mangiare tutto il giorno miele e ditemi se la vostra bocca non sarà votata a blasfeme e taglienti offese e atti.
Nell’amaro e austero sapore del tabacco si nasconde un severo padre che ama i suoi figli.
Il cacao è invece un’artigliata seduttrice.
Noto con piacere d’esser male interpretato,
bada bene giovane filosofo imberbe sedotto dalla ribellione, torna a masturbarti o leggi chiara come la costellazione di scorpio la mia chiave di lettura.

Il dolce sapore dei baci richiama il dolce sapore del sangue.
Quante volte si muore in questa breve vita ove nessuno sa capire?
La mia bocca intona bestemmie all’umanità ogni notte, poiché cancello spalancato fu il mio cuore, ma vi si entrò solo per compier razzie, per depredare, saccheggiare, offendere, bruciare, eppure resta ancora un po’ ospitale, un po’, giusto un po’.
E la mia bocca suona ancora per gli stolti che mai saranno illuminati se non dal sangue.
Sono sottile e fragile in realtà, eppure quercia imperiosa,
non poi così gigante?
Un sorriso sa che regna la paura,
suonate violini, seguite i miei ruggiti, suonate e accompagnate il gracchiare del mio cuore.

Odo campane,
non vesto sempre il nero eppure sono a lutto.
Gabriella non esisti più, sei sfiorata ogni notte da un frocio volgarmente brutto che è blasfemo alle regole della forma e della bellezza, hai deciso d’amare un uomo con il volto ed il corpo di vecchia, ammesso che tu amare possa, ed è di questo, di questo che io parlerò in queste pagine, della realtà di voi troie e della disgregazione della terra a causa di quelli come te ed il tuo amante storpio che non riuscirebbe a sollevare un’ascia.

La mia donna è sempre stata morta,
e mai forse aprirà gli occhi celati dal bianco sudario,
ella giace fredda sul marmo del fosco sepolcro,
chi mai osa fermarla?
Ella giungerà a me.
Che folle speranza,
che povero uomo.

Pensare fa male, il tuo respiro s’ingrossa e le mani ti sudano, tremi di rabbia mentre il tuo cuore accelera i battiti. E’ un segnale, i demoni dell’inverno ti dicono di non pensare, fermano il tuo braccio stanco desideroso di violenza.
Devi imparare ad amare quello che hai.
Fanculo,
non verrà mai nessuno a salvarci da voi insulsi esseri, nani infingardi che nell’ombra tramate.
Dunque mi stendo,
e innalzo un nuovo canto,
un lugubre inno alla madre sofferenza.

9\12\1999

Vi è chi è mal interpretato e chi si veste come una baldracca a mezzanotte, chi scrive e si veste di mistero mentre dormiva sul mio ventre e mi agitava per godere di virile, perlaceo latte incandescente, costui che recitava parti femminili nel mio letto ora gode di ciò che non merita, egli che ha l’alito fetido di sperma dona baci alla dolcezza infettando anche la sua ignara, fiduciosa amante. Ed ancora egli godrà, poiché è ricco e potente.
Costui è un’offesa alla vita e al giusto, costui deve soffrire torturato dai dodici molossi bianchi della giustizia di colui che merita.
Egli se così non sarà reggerà il mondo attorniato da altri come lui, egli sarà la legge.
Attenta umanità ipocrita, attenta a chi punisci.
Osanna la forza, dona a Sparta l’infingardo.

Al mio funerale vili amici vorrete apparir commiserevoli,
ebbene piangete pure di falsità d’innanzi alla mia morte,
e voi mie donne così facili di rifiuto,
guardate in basso, verso i vostri seni,
e se volete disperatevi,
poiché essi mi hanno ucciso.

10\12\1999

Verso quell’ora che voi chiamate mezzogiorno, io, malato di desiderio e logorato dalla gelosia, contorto e agonizzante su di un letto di rasoi profetizzo.
La natura un tempo raggiante e vispa, bella e splendente nelle sue forme rotonde ove mille delizie prosperavano e rigogliose brulicavano tornò a voi deturpata, vecchia, con gli occhi impauriti ed il ventre martoriato da frecce e pugnalate.
Sanguinante e malata, morta ormai la sua carne cosparsa di piaghe.
Con il volto smarrito, pallido e cadaverico.
I suoi occhi velati di nero, funesto dolore.
Due solchi scavati nella carne delle guance a causa delle lacrime, putridi, infetti a causa del sempiterno scorrere doloroso.
La schiena un tempo sensuale e liscia ora mostra marce ferite e segni di frusta.
Violentata brutalmente, con le gambe sanguinanti a causa dei violenti stupri che dissacrarono quel vetusto splendore di quando ella vergine, dai bianchi vestimenti vagava per boschi e campagne.
Ma adesso, adesso ella vi fissa con lacrimanti occhi mentre i suoi seni si decompongono divorati dai vermi che nella carne nera e sanguinante si muovono lenti per poi ricadere sul ventre, in unica, viscida massa pulsante, un orrendo suono la segue: la masticazione di quei parassiti e il rumore di essi che scavano e strisciano liquidi nella carne marcia.
Ella, che voi credeste morta, ella si, tornerà a voi con un regale inchino e sputerà su ciascun vostro volto stolto e assassino, maledetti figli di puttana folli che avete scempiato e violato la rigogliosa madre con la vostra plastica, le vostre automobili, i vostri computer, le vostre invenzioni futili
che vi hanno deviato dal divino flusso del cosmo.
Avete stuprato quella povera vergine un tempo sorridente e poderosa, l’avete massacrata, violata, fustigata, scarnificata, bruciata, sondata e la sua bocca implorante  è stata messa a tacere da una verga pulsante di sadico disio.
Io celebrerò il suo funerale e la sua vendetta, farò la stessa cosa alle vostre figlie, i miei molossi sodomizzeranno i vostri pargoli coglioni, brucerò le vostre fabbriche, strapperò i vostri cuori di gesso.
Ella nel suo angolo polveroso, agonizzante ancora mi implora di salvarvi, piange, sono cessate le sue melodie incantatrici e cedono il posto ad un canto straziante, un triste lamento.
Con le unghie strazia il suo volto mentre tento di spiegarle che nulla si può fare per voi, che siete piccoli e ignoranti, persi nelle vostre bieche esistenze.
Quando l’ultimo vostro stendardo di plastica verrà piantato brutalmente nella sua schiena ed ella morrà, in quel momento stesso, il vostro mondo artificiale brucerà, e solo allora cercherete di ricordare, ma non potrete poiché immane e pervicace è la vostra ignoranza.
Solo i puri ricorderanno con dolore quanto lontano è il giorno in cui liberi cavalli cavalcavano impetuosi, e bianco quello più robusto arrestava la sua corsa per abbeverarsi al limpido ruscello.
Immemore sarà il tempo passato, e l’ultimo uomo urlerà fra le fiamme e penserà al dolce sorriso della natura.

                                                      
                                                         IL MISANTROPO

13\12\99

L’amore ha infiniti effetti, io sto impazzendo per esso, la società ha creato il misantropo? No il misantropo si crea da solo isolandosi all’ombra dei boschi.
Non ho più amici, l’abbrutimento mi rende inavvicinabile, sono chiari i miei segnali e non sono sempre ornamenti.
Di notte la mia mente viaggia ed apro le gole di chi mi è più vicino, nessuno può consolarmi, ne la vita ne la morte.
Potrei uccidere tutti coloro che mi attorniano, ma è un lavoro troppo lungo e non ho abbastanza scuse, l’amore, l’amore mi ha reso così, mi ha chiamato tra le sue braccia oscene.
Quanto sangue immagino, non pensavo che il cadavere dell’amicizia ne contenesse così tanto.
Brucerò la città, no , no devo solo allontanarmi, vivere non è difficile, tutti lo fanno o fingono di farlo, non è lì il punto, io non sono l’adolescente stupido che piagnucola, taglierò gole, io non sono “tutti”.
L’amore ha cancellato tutto ciò che si può chiamare un adolescenza felice, a che serve sorridere? A cosa serve l’ombrello quando ti piove dentro?
Se resto in questa stanza, nel mio regno, nessuno potrà più farmi male e io non dovrò usare coltelli su carni che non siano le mie, scarnificherò solo il mio corpo, a volte penserò all’amore, e il sangue mi pulserà alle tempie, la lama cheterà i miei istinti, i miei cani leccheranno il mio sangue acquistando il mio antico vigore, di quando portavo uomini a orde sulle mie larghe spalle.
Non parlerò più a Dio,
poiché egli non mi risponde.


                                                                     IL MONDO

E’ una serie di profumati inganni,
è un applauso fatto il giorno prima di pugnalarti,
è la gloria e la caduta di cesare,
una sfilata di immagini inafferrabili eppure tangibili,
è un’illimitata collezione di ferite:
alcune sottili, altre profonde e lancinanti
le cui cicatrici
ridestano il ricordo.
Fulmini di gloria,
poi l’impotenza.
È un’immensa macchina malsana,
è il mondo.

14\12\1999

Ogni pioggia porta note diverse, ogni goccia ha il suo messaggio.
Danzo al temporale coi miei cani, la mia notte non ha lampioni, l’amore non ama. Danzo sotto la pioggia per ascoltare, ascoltare i lamenti del tempo.
Ogni notte percuote con smanie diverse, l’amore per i coltelli, danzo, e ho i vestiti fradici.
Danzo e i capelli come febbre di delirio si incollano sulla mia fronte.

I miei cani d’innanzi al camino, il mio letto d’asciutte lenzuola.
Dono fuoco, ricevo pioggia.
Nessun dipinto mi sa raffigurare,
nessun musicista saprà interpretarmi.
Il verbo si fece carne per camminare in mezzo a voi.
Non sono un buon musicista, non so dipingere, le parole infine vengono interpretate come si vuole. Avrei bisogno di qualcosa che si imponga per quello che è, poiché purtroppo dentro me ci sono cose che non riuscirò mai a dire, vi sono immagini che mai potrò esternare, poiché impossibili da descrivere con semplici parole. Forse non sono un buon poeta, e ho chiesto a me stesso di esserlo.
Vi sono melodie che le mie dita tengono prigioniere.
Ho bisogno d’imparare, la poesia è così fragile, mentre molto violenta è la pittura, il cinema, la fotografia, tutte cose dittatoriali che impongono colori, sensazioni.
Voglio mostrarvi con minuziosa precisione le minime fossette dei volti sorridenti dei miei animali.
Vi sono cose che non riesco a fare,
come violare le spoglie d’una bella donna morta in un cimitero.
Ho bisogno di interpreti,
anche per me stesso.
Ora muoio,
è ossessionante e disgustoso,
non saper imporre i propri pensieri intendo.



   LO STUDENTE SEDICENNE

Vedo il cadavere d’una donna bassa e tozza, ha due grossi seni ondulanti di colore olivastro sui quali ricadono corvine chiome.
Attirata nella brughiera, violenza, violenza inaudita. Tuttavia non si può essere quel che non si è.
Violenza oscura, lugubre, innata, istintiva.
Il cadavere sorride, nuda la donna ospitava un lussurioso serpente fra le gambe.
Nella brughiera mani tozze toccarono i suoi seni, poi un coltello vi passò, seguito da un crudele, delizioso fendente alle costole.
E il sangue bagnò quel che era di rugiada bagnato, le lacrime irrorarono ciò che prima saliva irrorava.

Il cadavere d’una donna giace in abito da sposa, distesa in una bara foderata di nero. Una fossa è scavata nel cimitero, se vi si guarda si scorge una danza carnale, nudo è l’uomo che viola il cadavere, da solo gode della morta sposa.
Dio pensa ai suoi figli,
io penserò ai miei.
Scoccata l’ora in cui sarò libero d’uscire da questo luogo che spaccia sapienza stantia ma in realtà dell’ignoranza settoriale è il covo, cercherò di liberare la mia mente da questi torbidi pensieri.
Ma la mia amata probabilmente un altro bacerà, e  allora ancora mi trastullerò nella visione e nel dolore.

                                                 L’ODIO DEL MISANTROPO

16\12\1999

E’ davvero triste scoprire di esser superiori, quasi quanto ammettere la propria inferiorità.
Ciascuna cosa ha una chiave ironica, avrò forse scoperto la mia sincerità?
A quanto pare d’ironia se ne possiede poca,  specie quando si succhia, e si sa di essere inferiori, è lì che nasce l’arroganza, è lì che quattordici pugnali straziano il tuo essere ermafrodito.
Ti credi sensibile e alato, misterioso e tormentato, cominci a predicare la tua ignoranza vestendo i panni del filosofo, lambendoti di belle parole di cui nemmeno tu conosci il significato.
Artistotto dannato, c’è il mio stivale a schiacciarti.
Lo sai cos’è un petto ampio? Sai cosa significa esser stato eletto dalla natura ad esercitare il giusto? Vi è un motivo se io sono un gigante di centoventi chili mentre tu sei un esile animaletto non credi?
Il motivo è palese ma il mondo sociale moderno, composto da magnati e reggenti come te non può ammettere questa verità, non può cogliere questa sfida, è palese anche questo non credi?
Mi sgomenta come questo sia accaduto, sarà la potenza della maggioranza, se la maggioranza è una vasca di sterco inutile finisce per voler contaminare il resto.
Vorrei che tu e quelli come te ammetteste la vostra sconfitta. Certo io non ho la tua reputazione di scolaro modello, diligente universitario intellettualoide.
Ma ammetti che il mio è un intelletto raffinato, creatosi da solo, mentre tu sei il plagio dell’intelletto, sei dunque la caricatura dell’ignoranza, tu e quelli come te, vestiti di parole forbite come un tanghero si veste a festa per far bella figura mentre ai miei occhi appari sempre più ridicolo.
Non ti uccido e sai che posso,
questo ti basti a scappare non appena la tua femminea figura mi si parerà innanzi.

                                                   

 IL GIOVANE CONFUSO
19\12\1999

“Non ti incendio perché siamo sotto le feste!”
Dicendo così recitavo la mia scena di clown.
Penso o forse è certo il fatto che sono maledettamente ubriaco, troppe persone cercano confusioni, cosa non direbbe una donna per respingerti e poi apparir giusta e caritatevole.
La bruttezza a volte è fonte d’un pregiudizio chiamato delicatezza.
Un gruppo di prostitute negre genera particolari movimenti al ventre, fonte d’esecrabile vendetta comprare uno di quei corpi e fustigarlo sotto un ponte buio.
Penso che la bellezza in realtà vada ammirata, sono molto volubile, molto schivato, però ci sono occhi così maliziosi, ci sono ragazze così cretine.
La gelosia è una lusinga, ma a volte le illusioni fanno male veramente.
Quante lame stanotte hanno cercato gracili costati, quante volte le mie braccia cercarono un bersaglio, e non parliamo delle mani, che più volte hanno avvolto il collo d’una donna.
Ho camminato con i miei presunti amici di cui non ho ricordo e dei quali vorrei la morte e la tortura mediante pistola spara chiodi .
Ho visto una guerriera danzare, imperiosa e statuaria nelle sue larghe spalle, dea della guerra figlia di Marte danzava sinuosa con due fiaccole in pugno, inebrianti e delicate le sue movenze, eppure così forti.
Ma il dolore ha molte forme, quante donne esistono sulla terra? Quanti uomini meritano davvero la vita?
In realtà tutte puttane, tossiche, cadaveri dotati di forza motoria, un gemito, sette gemiti.
I tempi sono belli quando sono passati, non ci si rende conto dell’importanza della quotidianità.
È blasfemo farmi torto, una guerriera mia sin dalla nascita, l’immagine torna e so che è difficile, si manomettono le sorti oh regina, odio gli uomini e il fuoco a volte aiuta.
Qualcuno dice che io sia repellente, vorrei stabilire la sopravvivenza poiché in ogni caso posso, qualcuno forse sadicamente dall’alto mi manovra.
Spero che la gelosia meriti il mio tormento, spero che le parole abbiano il solito senso, spero che le illusioni paghino il dolore.
Una guerriera danza sinuosa, i miei occhi muoiono ancora.
                             
                                 

LO STUDENTE SEDICENNE E IL BACIO DELLA MALINCONIA

21\12\1999

E’ stupefacente il grado d’azione della sofferenza.
Non mi riconosce più nessuno, sono malato, fragile, pazzo, fragile, delirante, debole.
Ai suoni di violino di madama malinconia io mi incupisco, il mento sul pugno, fumo e tabacco, dolore, pensieri, autoflagellazione.
E mentre tutti si sforzano di dare un senso alla propria vita, credendosi profondi, pensatori, attrici, modelle di cartongesso, cantanti ingabbiate nel verbo proto ormonale dell’impatto porno, vagoni di cazzate su binari che conducono al nulla.
Ancora la dama suona al centro della mia stanza, le mie mani si tendono, ma fendono l’aria.
Allora capisco d’esser stato partorito in un castello di illusioni, così abbraccio me stesso infondendomi il mio amore.
Quando odio me stesso invece non so che fare, quando la dama proprio non cessa di suonare, ed io sono disteso con il mio violino sul petto intrappolato dalla diabolica apatia che mi pervade come assenzio.
D’un tratto però m’alzo in piedi, e nessuno può impedirmi di fracassare quello che mi sta in torno, così cerco volti da odiare, a cosa serva uccidere chi tocca ciò che sarà toccato da altri un secondo dopo che gli hai sfregiato i lineamenti con una pialla?
Capisco che si può uccidere all’infinito, e io ne ho il potere.
L’amore ha come ultimo fine la distruzione, il totale annichilimento di una delle due parti o di entrambe.

23\12\1999

Quando nasciamo uno gnomo peloso dagli occhi rossi depone al capezzale del nostro letto una frusta, questo gnomo bastardo deciderà poi se questa frusta servirà per flagellarsi o flagellare.
Costui decretò per me la strada più dolorosa, così accoltellai ferocemente il suo piccolo ventre, avevo undici anni, ma quella frusta è sempre nel mio pugno, sporca del mio sangue.
Sulla mia schiena vi sono piaghe che si riaprono ogni notte, le fruste non sono tutte uguali, io amo la mia frusta, ha occhi nocciola e lunghi capelli neri.
Se tutti morissero sarebbe un gran bel giorno.

Quando baci una donna ne senti tutto il giorno il profumo della bocca sul labbro superiore, non vi è nulla di più doloroso di quella fragranza.


Davide Giannicolo

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