Vento divino
Di Davide Giannicolol
Mi chiamo Moahmed , sono un martire secondo i precetti della mia gente, o almeno lo sarò tra breve. Ma questo non importa, io trascendo il mio popolo, vado al di là della mia gente.
E’ notte fonda, e domani sarò vento divino, vento divino che sacro aleggerà tra le colonne d’occidente, un vento delicato e soave che accarezza le foglie ma che diviene impetuoso, inesorabile come l’annientamento.
Ho cercato Allah con fervore in questi giorni, anche questa notte, con ossessione ho recitato molti suthra a voce alta. So di non essere blasfemo se dico che non vi ho trovato Allah, poiché egli è già in me, dimora ben saldo nel mio spirito guerriero.
Eppure mi sento così stanco, è la vita che mi tenta distogliendomi dalla mia finalità, ieri per esempio ho visto una ragazza, attendeva qualcuno all’entrata dell’albergo e ci siamo scambiati uno sguardo per un labile, fulmineo istante.
Inizialmente ho pensato che Allah il grande si fosse fatto scorgere per un istante in quella donna, poi la bellezza ha offuscato quel pensiero, la bellezza infatti aggredisce sempre il mio spirito, in ogni sua manifestazione.
Ho pensato di dirle tutto, di confessarle i propositi della mia missione e pregarla affinché salvasse quelle genti che per forza di cose avrebbero dovuto far da contorno alla catastrofe, poiché non vi è catastrofe priva di vittime.
Ma in realtà volevo che lei salvasse me, volevo che con le ali della sua bellezza mi librasse al di sopra del mio titanico vuoto.
Sarei fuggito con lei lontano dalla mia sete d’olocausto, lontano persino da Allah.
Ma a pensarci bene credo che mi sarei suicidato se avessi fatto una cosa del genere, la mia vita non è più carne, sangue, ossa, sesso, preghiera. Tutto sta nel credere che la vita rappresenti qualcosa, io mi chiamo Moahmed e vado al di là di ogni rappresentazione, la mia vita ormai, è vento divino.
************
E’ l’alba, la mia ultima alba, un guerriero piange a volte, se è conscio di star scrutando per l’ultima volta il ciclo della vita.
Di me penseranno gli occidentali che sono un pazzo guerrigliero invasato, mentre la realtà è che sono qui nudo, in ginocchio, assorbendo la brezza in lacrime mentre contemplo la mia ultima alba.
*************
Mi sono vestito senza badare al coltello a serramanico che ho nell’ano e che ormai ho imparato a portare come se fossi un fodero, ma non mi piace la sensazione che quest’azione dà al mio corpo, un senso di dissacrante profanazione, è come se questo corpo estraneo dentro me intaccasse la mia purezza.
Questi vestiti occidentali mi calzano male, sembro molto lontano dall’idea che avevo di me nell’atto di divenire un martire.
Comunque sia sono sceso in strada e mi sono diretto verso l’aeroporto, mi sono ricordato che questa notte, durante la mia veglia ho chiuso per un istante gli occhi, quella goccia di tempo mi ha avviluppato in un sonno simile ad un allucinazione, così ho fatto un sogno, uno strano sogno.
Ero nudo e seduto su una roccia tra i monti, un corvo si è posato accanto a me e mi ha parlato, stupendo e nerissimo egli mi disse queste parole:
“Seguirai dell’orso nero il lento passo, il giusto è nei tuoi occhi, poiché tu guarderai con gli occhi dell’orso raveno.”
Poi il corvo si è alzato in volo, offuscando con le sue ali nere il sole accecante.
Cosa significa questo sogno? Allah mi parla attraverso un vile corvo? Chi è l’orso nero e cosa ha a che fare con il cataclisma che sta per compiersi?
Sono giunto all’aeroporto senza nemmeno guardare fugacemente i miei compagni, in realtà sono solo, lo sono sempre stato, e ognuno di noi dovrà compiere il proprio cammino.
Sono salito sull’aereo e ho scelto un posto a caso, continuo a ignorare i fratelli che sono saliti con me come se fossi un estraneo, penso al coltello dentro di me. Penso che il mio corpo è un arma.
L’attesa è stata dolce e onorevole come il calvario di un martire, ho pensato a molte cose e ho udito la voce del corvo, sudavo e temevo che qualcuno mi scoprisse, ma è andato tutto per il meglio.
Tra poco i miei compagni si alzeranno, estrarranno i coltelli e prenderanno l’aereo, e allora io, che sono flebile fruscio diverrò vento divino, implacabile vento divino.
*******************
Le urla non mi scalfiscono, ora che ci siamo focalizzo il bersaglio.
Il mio corpo è già fuoco che freme, e come una torcia ancestrale appiccherà l’incendio alle torri del potere, le torri della bellezza plastificata che il mondo crede imperante e dominatrice, noi conserviamo il nitore della bellezza sotto un velo, ma purtroppo non siamo più i custodi della venustà, forse non lo siamo mai stati, eravamo semplicemente i patetici conservatori di un valore morto, la bellezza è morta, e ora il suo cadavere è esposto al mondo intero.
E’ questo quello che mi ha detto il corvo, penso proprio che egli sia la mia anima.
“Tutti fermi e non accadrà nulla!” sentivo urlare in inglese continuamente, ho guardato una donna negli occhi, avrei voluto coprirla di un velo per custodire almeno lei, ma ho estratto il coltello e le ho sfregiato il viso, lei ha urlato e pianto, avevo bisogno di quell’atto poiché mi ha reso chiara la visione del corvo, chiara come un alba di novembre, sola, come me stesso, nella ignota magia della percezione.
********************
Sono entrato nella cabina di pilotaggio,calmo come l’acqua di un ruscello ho preso il comando, quel volo sublime mi ha riempito l’anima per metà, l’altra metà era sublimata dall’angoscia.
Mi sentivo un angelo,un angelo distruttore che plana in un olocausto discendente.
Scorgo le torri avvicinarsi, ne sento il potere maligno, incombono come strumenti di tortura perpetrando una laida egemonia, non mi interessa della vita che annichilirò infrangendomi ci contro, poiché la vita è morta, e anch’essa ora canta nella confusione crescente della mia mente mescendosi agli incomprensibili versi del corvo.
Di Davide Giannicolol
Mi chiamo Moahmed , sono un martire secondo i precetti della mia gente, o almeno lo sarò tra breve. Ma questo non importa, io trascendo il mio popolo, vado al di là della mia gente.
E’ notte fonda, e domani sarò vento divino, vento divino che sacro aleggerà tra le colonne d’occidente, un vento delicato e soave che accarezza le foglie ma che diviene impetuoso, inesorabile come l’annientamento.
Ho cercato Allah con fervore in questi giorni, anche questa notte, con ossessione ho recitato molti suthra a voce alta. So di non essere blasfemo se dico che non vi ho trovato Allah, poiché egli è già in me, dimora ben saldo nel mio spirito guerriero.
Eppure mi sento così stanco, è la vita che mi tenta distogliendomi dalla mia finalità, ieri per esempio ho visto una ragazza, attendeva qualcuno all’entrata dell’albergo e ci siamo scambiati uno sguardo per un labile, fulmineo istante.
Inizialmente ho pensato che Allah il grande si fosse fatto scorgere per un istante in quella donna, poi la bellezza ha offuscato quel pensiero, la bellezza infatti aggredisce sempre il mio spirito, in ogni sua manifestazione.
Ho pensato di dirle tutto, di confessarle i propositi della mia missione e pregarla affinché salvasse quelle genti che per forza di cose avrebbero dovuto far da contorno alla catastrofe, poiché non vi è catastrofe priva di vittime.
Ma in realtà volevo che lei salvasse me, volevo che con le ali della sua bellezza mi librasse al di sopra del mio titanico vuoto.
Sarei fuggito con lei lontano dalla mia sete d’olocausto, lontano persino da Allah.
Ma a pensarci bene credo che mi sarei suicidato se avessi fatto una cosa del genere, la mia vita non è più carne, sangue, ossa, sesso, preghiera. Tutto sta nel credere che la vita rappresenti qualcosa, io mi chiamo Moahmed e vado al di là di ogni rappresentazione, la mia vita ormai, è vento divino.
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E’ l’alba, la mia ultima alba, un guerriero piange a volte, se è conscio di star scrutando per l’ultima volta il ciclo della vita.
Di me penseranno gli occidentali che sono un pazzo guerrigliero invasato, mentre la realtà è che sono qui nudo, in ginocchio, assorbendo la brezza in lacrime mentre contemplo la mia ultima alba.
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Mi sono vestito senza badare al coltello a serramanico che ho nell’ano e che ormai ho imparato a portare come se fossi un fodero, ma non mi piace la sensazione che quest’azione dà al mio corpo, un senso di dissacrante profanazione, è come se questo corpo estraneo dentro me intaccasse la mia purezza.
Questi vestiti occidentali mi calzano male, sembro molto lontano dall’idea che avevo di me nell’atto di divenire un martire.
Comunque sia sono sceso in strada e mi sono diretto verso l’aeroporto, mi sono ricordato che questa notte, durante la mia veglia ho chiuso per un istante gli occhi, quella goccia di tempo mi ha avviluppato in un sonno simile ad un allucinazione, così ho fatto un sogno, uno strano sogno.
Ero nudo e seduto su una roccia tra i monti, un corvo si è posato accanto a me e mi ha parlato, stupendo e nerissimo egli mi disse queste parole:
“Seguirai dell’orso nero il lento passo, il giusto è nei tuoi occhi, poiché tu guarderai con gli occhi dell’orso raveno.”
Poi il corvo si è alzato in volo, offuscando con le sue ali nere il sole accecante.
Cosa significa questo sogno? Allah mi parla attraverso un vile corvo? Chi è l’orso nero e cosa ha a che fare con il cataclisma che sta per compiersi?
Sono giunto all’aeroporto senza nemmeno guardare fugacemente i miei compagni, in realtà sono solo, lo sono sempre stato, e ognuno di noi dovrà compiere il proprio cammino.
Sono salito sull’aereo e ho scelto un posto a caso, continuo a ignorare i fratelli che sono saliti con me come se fossi un estraneo, penso al coltello dentro di me. Penso che il mio corpo è un arma.
L’attesa è stata dolce e onorevole come il calvario di un martire, ho pensato a molte cose e ho udito la voce del corvo, sudavo e temevo che qualcuno mi scoprisse, ma è andato tutto per il meglio.
Tra poco i miei compagni si alzeranno, estrarranno i coltelli e prenderanno l’aereo, e allora io, che sono flebile fruscio diverrò vento divino, implacabile vento divino.
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Le urla non mi scalfiscono, ora che ci siamo focalizzo il bersaglio.
Il mio corpo è già fuoco che freme, e come una torcia ancestrale appiccherà l’incendio alle torri del potere, le torri della bellezza plastificata che il mondo crede imperante e dominatrice, noi conserviamo il nitore della bellezza sotto un velo, ma purtroppo non siamo più i custodi della venustà, forse non lo siamo mai stati, eravamo semplicemente i patetici conservatori di un valore morto, la bellezza è morta, e ora il suo cadavere è esposto al mondo intero.
E’ questo quello che mi ha detto il corvo, penso proprio che egli sia la mia anima.
“Tutti fermi e non accadrà nulla!” sentivo urlare in inglese continuamente, ho guardato una donna negli occhi, avrei voluto coprirla di un velo per custodire almeno lei, ma ho estratto il coltello e le ho sfregiato il viso, lei ha urlato e pianto, avevo bisogno di quell’atto poiché mi ha reso chiara la visione del corvo, chiara come un alba di novembre, sola, come me stesso, nella ignota magia della percezione.
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Sono entrato nella cabina di pilotaggio,calmo come l’acqua di un ruscello ho preso il comando, quel volo sublime mi ha riempito l’anima per metà, l’altra metà era sublimata dall’angoscia.
Mi sentivo un angelo,un angelo distruttore che plana in un olocausto discendente.
Scorgo le torri avvicinarsi, ne sento il potere maligno, incombono come strumenti di tortura perpetrando una laida egemonia, non mi interessa della vita che annichilirò infrangendomi ci contro, poiché la vita è morta, e anch’essa ora canta nella confusione crescente della mia mente mescendosi agli incomprensibili versi del corvo.
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