La lettera era stata portata da una impaurita stronzetta neutrale, era una sfida, per quello stesso pomeriggio, alle tre, dietro i garage di un condominio come da consuetudine, così che il silenzio della solitudine estiva avrebbe contornato la violenza della lotta.
Rebecca era arrabbiata, Giulia le aveva soffiato il ragazzo proprio il giorno prima, ma era solo la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, i due gruppi si odiavano da tempo, bisognava attestare chi erano le più toste della scuola, se le Velvet Blades o le Satan’s Folowers.
Giulia apparteneva alle Velevet, sapeva di non poter vincere in un corpo a corpo contro Rebecca, era una cicciona Rebecca, la schiena enorme, le mani cattive, pensare che aveva solo 12 anni come lei.
Ma anche Giulia aveva la sua cicciona nel gruppo, Monica, solo lei poteva battere Rebecca, se le erano sempre date di santa ragione da quando erano alle elementari, non si era mai capito chi delle due era la più forte.
In un duello dunque Giulia non aveva possibilità, a meno che non avesse avuto un arma, ma sapeva che anche se formalmente la lettera faceva pensare a un duello, le sfide dietro ai garage, nel primo pomeriggio, erano sempre uno scontro tra i due schieramenti, sarebbero arrivate tutte con la voglia di menare le mani, era rissa, e nessuno poteva tirarsi indietro.
“Allora? Cosa facciamo?” Chiese Monica rileggendo la lettera.
“Cosa vuoi che facciamo? Dobbiamo accettare, è arrivato il momento di dargliele a quelle troie!”
Giulia giocava a fare la cattiva, ma le tremavano le gambe.
“Le ragazze stanno già facendo qualche arma rudimentale, bastoni con chiodi, bottiglie, qualche coltello, lamette, catene!”
Nicoletta si fece avanti, voleva essere la leader da tempo, e adesso approfittava della tensione.
“E’ tutta colpa tua Giulia, è perché sei una troia e la dai a chiunque, tra un po’ suona l’ultima ora, e questo pomeriggio, con questo caldo, ci toccherà sfregiarci a sangue per farti tenere il manzo?”
Giulia sbadigliò con finta disinvoltura:
“Sei libera di non venire Nicole, nessuno qui ti sta obbligando, loro cercano solo una scusa, vogliono lo scontro da mesi, sei della banda, e sicuro te la faranno pagare in cortile!”
Da lontano una ragazza apparentemente innocua le osservava, La Regina la chiamavano, faceva paura a tutti, eppure aveva un aspetto così dolce, era ricchissima, sempre vestita come una bambola, gli occhi turchesi e i boccoli biondi, la mattina la accompagnava a scuola un autista, una macchina nera, enorme.
La Regina non apparteneva a nessuna gang, non guardava nemmeno di sbieco i ragazzi che facevano impazzire le altre, i suoi abiti erano costosi, i suoi profumi, perfino il suo modo di parlare, tutto era superiore.
Perché tutti temevano la Regina? Perché era estremamente perversa, diabolica, subdola, vendicativa.
Nicole l’aveva vista un giorno sventrare un gatto e affondare le manine rosa nelle sue viscere, la regina credeva di essere inosservata, ma quando aveva notato Nicole, s’era voltata con disinvoltura, l’aveva guardata sorridendo, senza estrarre le mani dallo stomaco del gatto, quegli occhi erano gelidi, satanici, adulti, avevano inchiodato Nicole, un infinita malignità traspariva da quello sguardo apparentemente soave, una luce malsana, sanguinaria, era un avviso, “Ti sembra una cosa strana? A me piace, sono il male, per questo stammi lontana!”
Questo dicevano chiaramente lo sguardo ed il sorriso inquietante dell’algida Regina alta un metro e cinquanta.
Sembrava divertita dall’imminente sfida, amava il sangue quella piccola bambola, e soprattutto amava la paura di quelle loro compagne Punk, che ostentavano tanta aggressività per piacere ai maschi ma che adesso se la facevano nelle mutandine colorate.
“Parla piano, di quella lì non mi fido, di sicuro verrà a vederci scannare tra di noi mangiando zucchero filato come fosse al cinema!”
Disse Nicole.
Giulia si sedette sul banco, era sottile, piccolina, lei e Nicole sembravano gemelle, solo che una Giulia era bionda e Nicole nera come l’ala di un corvo.
“Quanto vorrei avere una pistola, le metterei tutte a sedere da sola!”
Disse Giulia sbuffando.
“Potremmo dirlo ai maschi, risolverebbero tutto!”
Mara aveva osato fare questa proposta.
“Sei pazza? Che figura ci faremmo?” Ribatté la taurina Monica, “dobbiamo affrontarle, e schiacciarle una volta per tutte”.
La regina non la smetteva di sorridere, tutte si chiedevano cosa balenasse nella sua testa da psicopatica.
I garage condominiali erano luoghi perfetti per gli scontri tra bande di ragazzini, posti circoscritti dai quali non si può scappare, silenziosi, dove si aggiravano spettri pomeridiani fatti di silenzio e solitudine.
Pochi anni prima, le ragazze bambine, ci giocavano a palla a volo, o scrivevano i loro nomi uniti a quelli delle amichette del cuore, adesso qualcuna di loro ci perdeva la verginità, almeno quella orale, adesso erano luoghi di scontri, di sesso, di sangue.
Si erano viste tutte insieme a casa di Mara, lei viveva in campagna, era nel suo capanno che erano custodite le armi: catene, due coltelli, un bastone con chiodi arrugginiti e una vanga che solo Monica riusciva a sollevare a giusto modo, ma sapevano che Rebecca l’obesa Dark si era sempre vantata di possedere un pugno di ferro, con il quale aveva rotto la mascella di una di classe sua, Rebecca la tettona maledetta, che a dodici anni le aveva già grosse come le loro madri.
Adesso le ragazze avanzavano sul grigio asfalto dei garage, il sole pomeridiano arrivava solo parzialmente a illuminarle, li regnava l’ombra, e le loro carni surriscaldate dalla calura ora erano percorse dai brividi, era la tensione dello scontro, la trepidanza della lotta, tutto era silenzio, la poesia dei garage condominiali, gli spettri di un sole pallido, il tintinnare delle catene che violava il silenzio, tutto era perfetto.
Le Satan’s Flowers le stavano aspettando, erano in dieci, le Velvet Blades avevano raccolto chiunque fosse stato disponibile a menare le mani, erano in otto, ma con loro c’erano campagnole terribili e cattive, ragazze selvagge abituate a far partorire cavalli e che già si facevano scopare nei campi dai cugini maggiori, avrebbero maciullato la faccia della tettona dark come fosse burro!
“Satana ci guida miei fiori velenosi, il diavolo ci illumina, le sbudelleremo in suo onore queste troie!”
Urlò Rebecca quando loro furono abbastanza vicine da sentirla.
Giulia sorrise fingendosi rilassata, stringeva nella piccola mano ossuta un coltello arrugginito:
“Il Black Metal ti ha rincoglionita cicciona!”
Erano schierati orizzontalmente, una gang di fronte all’altra, bambini dal trucco pesante con abiti Punk e Dark, armati di spranghe, catene e approssimati pugni di ferro ricavati da ferri da stiro, aculei di fortuna, catene di biciclette, palette da giardino, bottiglie.
Seguì un urlo selvaggio, e lo scontro ebbe inizio, una rissa furente, le campagnole erano terribili, picchiavano con crudeltà disumana le finte ribelli, il sangue zampillava contro le serrande imbrattandole, si udivano tonfi, grida, legno marcio che si spezzava sulla carne, ciuffi di capelli strappati dolorosamente, il suono dei corpi che si infrangeva rumorosamente contro le saracinesche metalliche.
Rebecca si era subito lanciata su Giulia, era feroce la grassona, voleva menomarla seriamente, ma Monica si frappose fra loro due, le mollò una badilata sulla faccia, la Dark fu intontita dal colpo, vacillò all’indietro, allora Monica incalzò dandole un nuovo colpo in un fianco, Rebecca si piegò, in quell’istante Giulia le saltò addossò accoltellandola a una gamba, la lama penetrò per metà, una Satan’s Flower mollò una catenata sul volto di Giulia spaccandole il volto a metà, il sangue era caldo, e fluiva copiosamente, il garage non era più silenzioso, grida e singhiozzi di ira o pietà infuriavano rimbombando nel condominio, le due leader caddero una accanto all’altra, sanguinanti, semicoscienti.
Monica intanto veniva frustata con la catena di colei che aveva messo fuori combattimento Giulia, le maglie di ferro le avevano sbucciato le nocche costringendola a mollare il badile, un colpo di catena sul sopracciglio la mise a sedere in terra, anche Marta era fuori combattimento, aveva preso un paio di calci al ventre e adesso preferiva starsene ferma sul pavimento mentre osservava i piedi della gente lottare e quasi calpestarla, ma qualcuno di tanto in tanto infieriva su di lei credendola svenuta, allora le arrivavano colpi di mazza sulla schiena o bottigliate nei fianchi.
Nicole si rese conto di essere sola con le campagnole, agitando la lama alla cieca tentava di tenere lontane le tre ragazze che le lanciavano pietre e bottiglie addosso incalzandola, presto però le furono addosso, la bloccarono con la schiena sul freddo asfalto dei garage, fu allora che tutto si fermò e divenne silenzioso, si udì un ringhio, un abbaiare tonante, e il ticchettio delle unghie di un grosso cane che avanzava sul pavimento.
“Toglietevi di mezzo, andate via, tutte, o sciolgo Fenrir e vi faccio sbranare!”
Era la Regina, elegantissima come al solito, con un cappottino di velluto nero nonostante la calura di inizio estate, le calze bianche e le lucide scarpette da bambola, era così gelida da doversi coprire anche in estate, per questo la gente pensava fosse un cadavere, nessuno aveva mai visto i suoi genitori, qualcuno credeva fossero vampiri.
Avanzava sorridendo, il solito sorriso diabolico e perverso di chi è sereno e totalmente pazzo, aveva al guinzaglio un cane enorme, avrebbe potuto scaraventarla al suolo in qualsiasi momento, ma il molosso ubbidiva con mansueta riverenza ai comandi della ragazzina che le arrivava al garrese.
Tutte scapparono in un lampo, il cane guardava le ragazzine correre restando calmo, negli occhi però, si scorgevano scintillii di violenza mal contenuta, avrebbe insomma affilato volentieri le proprie zanne su quelle piccole ossa.
Nicole fece per alzarsi, era rimasta da sola con la Regina, e la cosa la inquietava non poco, specie se la perversa compagna era accompagnata da quel cane mostruoso.
“Tu no, tu resta qui ancora un po’ Nicoletta!”
La Regina le sorrise, e a Nicole si sciolsero le viscere, cosa voleva da lei? Sistemare la faccenda del gatto?
“Sono venuta a posta per te, non mi interessava niente di quelle poveracce, ma non credere che ti abbia salvata con disinteresse!”
Gli occhi azzurri della bambola inquietante si illuminarono, il sorriso da automa continuava ad allargarsi inquietantemente sul suo volto.
“Tu mi piaci Nicoletta, e adesso sei mia, vuoi?”
A Nicole si strinse la gola, come quando nei sogni si vuole urlare ma non si riesce.
“Verrai tutti i giorni da me, dopo scuola, studieremo insieme, lascerai la gang, staremo sempre insieme, sai, mi sento così sola!”
Il cane si era seduto, era alto come la Regina, entrambi apparivano come figure partorite da un incubo grottesco.
“E ci baceremo, e tu frugherai dentro me, e mi accarezzerai, proprio qui…”
La piccola manina rosea indicò il basso ventre.
“Sarai la mia migliore amica, la mia ragazza, il mio giocattolo, me lo devi Nicoletta, ti ho salvata, ma non avrei sopportato che quelle luride avessero sfregiato il tuo bel visino!”
La regina si avvicinò a Nicole e le carezzò il volto, poi le baciò una guancia, soavemente.
“Mi piaci molto, hai una pelle così liscia, mi bacerai vero? Mi bacerai tutto il giorno e non sarò più sola, saremo buone amiche, berremo il tè e ci accarezzeremo, vuoi?”
La regina era ripetitiva, sembrava un Robot, o una bambola parlante che conosce solo pochi termini, cosa poteva risponderle Nicole, che pensò:
“Questa ha qualche ritardo, perciò è così fuori!”
Ma disse:
“Si, voglio!”
E la Regina rise, felicissima, come una bambina molto più piccola di quello che lei era, una bambina che ha ricevuto uno splendido regalo.
“Allora a domani Nicoletta, dopo scuola, pranzerai da me, dillo a tua madre, e staremo insieme tutto il giorno, mi bacerai, mi accarezzerai, proprio qui, sai, è molto bello, mi piaci molto tu, moltissimo, credo proprio di amarti sai? Siamo amiche adesso non è vero Nicoletta? E lo saremo per sempre vero? Starai sempre con me? Non mi lascerai mai vero?”
Nicole era ancora seduta per terra, una ragazzina molto carina dalla pelle ambrata e punte di seni appena sbocciati.
“Si a domani Regina!”
La regina andò via, era piccolissima, molto goffa nel camminare, il cane la seguiva pigramente, si voltò a pochi passi da Nicole guardandola di sbieco, gli occhi turchesi, felici, estremamente satanici, pareva una bambina posseduta.
“Non provare a non venire Nicoletta…ti voglio bene e adesso sei mia!”
Era chiaro, doveva andarci, tutti i giorni, per tutta la vita.
©Davide Giannicolo
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