Necromania e puro amore per decadenza e violenza, poesia oscura, lirismo licantropico, monumentali astrattismi sanguinari, danza di catene e rasoi al chiaro di luna, letteratura notturna, solinga, antintellettuale. Questo è il manifesto del porto dei misfatti, e i viandanti che vi entreranno sentiranno gelidi moncherini carezzare il loro volto, o sinuose sirene, il cui bacio sa di prostituzione e antichità.
venerdì 2 dicembre 2011
Helmut
Helmut scese dall’autobus penitenziario con dignità regale, aveva tatuati su gran parte del corpo i suoi pensieri, poiché il pensiero era la chiave distintiva di Helmut, il pensiero che si fonde all’azione. Questo binomio era ciò che rappresentava per lui l’esistere secondo una logica eccelsa.
Se l’uomo riesce a fondere l’azione con il pensiero allora renderà l’umana razza l’ultimo stadio di un’ era, e si sa essere gli ultimi stadi è importante, l’ultimo è la fine, è l’ultimo invitato quello più atteso.
Doveva scontare sei mesi il giovane Helmut, aveva percosso un grosso uomo di colore con una tenaglia. Lo sventurato era quasi morto, Helmut era però incensurato.
Incensurato per modo di dire, due anni prima aveva sfasciato la casa di una ragazza e aveva picchiato a morte, a mani nude lei e il suo amante, anche quella volta l’uomo era nero, però riguardo questi accadimenti nulla la legge aveva scoperto.
A quei fatti Helmut stava pensando nell’istante in cui entrò nel carcere, a quel giorno di due anni prima in cui il suo odio s’era acceso.
Quando egli stava salendo le scale che portavano alla porta di Greta e carpì un gemito, poi un altro, poi un altro ancora.
Fu preso dal pensiero di Greta che scopava con qualcuno, ma quasi ci scherzava su; poi quel gemito riapparve fra i sensibilissimi padiglioni auricolari dell’ormai quasi iracondo Helmut, quei gemiti venivano proprio dalla porta di lei.
Si liberò del giaccone di pelle e apparvero nude le sue braccia a testimoniare il furore forse infondato, quelle braccia erano gonfie di rabbia e sospetto, indossava una maglietta stretta, di quelle con le maniche tagliate, l’aderenza di quel tessuto lo stava opprimendo.
Fin che non sfondò la porta con un paio di calci anfibiati, al di là di essa vi era la troia: bionda, candida come un boccone di neve, era nuda e in ginocchio sul pavimento dell’ingresso, in piedi d’innanzi a lei vi era un negro che con un orribile membro le carezzava le guance e la bocca, mediante un ignominioso glande marrone scuro intento a sborrarle in faccia con lo sdegno d’una cavalletta che mangia la carcassa di un cavallo bianco; lei glie lo teneva fra le mani, e tutto ciò per Helmut fu quantomeno traumatico, specie per il fatto che i due sembravano non aver badato allo sfondamento della porta.
Il negro sembrava disinvoltissimo, ma presto ebbe un calcio in petto, poi infiniti altri, Helmut gli mise il capo in terra per poi schiacciarlo con il ginocchio una ventina di volte, poi lo sollevò artigliandolo per le orecchie fino a farlo sanguinare e lo fracassò contro una parete attrezzata.
Greta appariva scioccata , nuda, patetica, sporca di sperma.
Ci sorrideva su Helmut, che intanto entrava in cella, con lui c’era un vecchio tatuatissimo, pensava al fatto che magari lei era stata più turbata dalla sua reazione violenta che dall’esecrabilità dell’atto che lei aveva commesso.
Greta finì molto male, percossa con tavoli, sedie e suppellettili vari, sollevata di peso e scagliata nel muro più volte, poi impalata sui piedi del tavolo.
Greta era straniera, erano in un luogo balneare e fu facile per Helmut, profondamente turbato, partirvene il giorno dopo.
Di rado pensava a macabri dettagli tipo il corpo opulento di Greta impalato a morte ma comunque pervaso da una certa sensualità. Helmut non era uno psicopatico, forse però lo stava divenendo.
Il vecchio tatuato della cella entrò nel raggio del suo chiaro, seppur cupo e assorto sguardo.
“Perché sei qui ragazzo?”
“Perché non riesco a fare qualcosa di più gotico.”
Il vecchio non comprese, Helmut voleva intendere di essere meno violentemente nazi e un po’ più elegantemente attaccato alla vita.
“Che hai fatto? Quello volevo dire!”
“Ho quasi ucciso un nero!”
“E perché?”
“Perché quel grosso maiale era nudo e sudato a fottersi una tipa di diciassette anni massimo, non so se lei era d’accordo, sembrava di si, dovevi vederli, sudata carne ondeggiante diinnanzi a me che lavoro spaccandomi il culo per essere un ingranaggio di una società del cazzo, fanculo!
Gli ho detto che se un bianco scopa una nera è perversione, se un nero scopa una bianca è ignominia, gli ho dato dell’animale, il grosso coglione con il cazzo da fuori voleva aggredirmi, mi faceva schifo toccare quello schifo in erezione, così ho preso una tenaglia e l’ho spappolato, l’ ho sfondato fin quando non è arrivata la madre della puttanella che mi ha anche ringraziato.”
Helmut notò che il vecchio si stava masturbando, forse la storia lo aveva eccitato, aveva infatti tatuati un gruppo di uomini che stuprano e torturano un paio di donzelle, c’era da immaginarsi il tipo. Non vi era differenza tra l’atto deplorevole d’un uomo bianco o di uno nero, questo Helmut lo sapeva, lo sapeva bene.
Scrisse a sua Madre:
Mandami qualche libro di Filosofia mamma, te ne prego.
SCRITTO DA:
DAVIDE GIANNICOLO
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