LA VERGINE
La vergine si vestì lentamente, copriva d’un diafano velo la splendida carne delle sue forme perfette.
Quella era la reale arte, quello era il gioco di forme della vita che diveniva la massima espressione della carne e del sangue.
Il Demonio la ammirò sazio e soddisfatto, poi le comandò di restar ferma.
Voleva studiare ancora quella bellezza, guardare ancora quella dolce pelle, non con brama bestiale come spiandola aveva fatto in passato o come poteva guardarla ciascun altro di lontano, bensì con il superbo orgoglio del guerriero che sfila dopo aver vinto una battaglia.
Lei annuì con un sorriso e posò per lui, negli occhi aveva la malizia di chi ha appena assoggettato al suo volere il demonio in persona.
Lo stesso giorno, la vergine oziava nel prato fiorito, un cavaliere dal volto coperto galoppava furioso in sella al suo destriero Danese. L’uomo le si avvicinò, e la vergine con la sua voce musicale e incantatrice disse:
“ Oh cavaliere, ammira la mia bellezza, e portala con te ovunque andrai.”
Il cavaliere scese da cavallo, strappò le vesti della donna e la violò, in fine con il suo rozzo coltello consumato dalla morte sfregiò il di lei volto perfetto.
“Ammira la mia crudeltà donna, da oggi dovrai portarla con te ovunque andrai!”
IL FURORE
La musica avvolgeva Aiace come quel bastardo avvolgeva il corpo di lei, quel bastardo che nel percorso della sua esistenza non aveva fatto nulla più di lui per meritare le labbra di Angelica, anzi, forse aveva fatto in meno.
Sigarette si susseguivano alle note, tutto era aggressivo intorno a lui, perché gli sembrava di vederli, abbracciati senza aver nulla da temere, fusi l’un l’altro mediante la carne.
Tanto meno temevano la sua ira, Angelica era troppo bella per poter temere l’ira di Aiace.
Intanto ella probabilmente gemeva, apriva le gambe al bastardo, entrambi bagnati dallo stesso sudore che irrorava Aiace furioso e urlante alla notte.
Inebriati allo stesso modo, lei dal tocco del suo amante, lui dalla pomposa musica del suo odio tumultuoso.
Entrambi danzavano, lei tra le braccia di colui che è comunemente detto il bastardo, Aiace invece danzava con un ancestrale nemico immaginario che d’amore il nome portava, ma anche d’angoscia, delirio e di scorpione passione.
E Aiace saltava, ringhiava, annaspava, fino a che non si lasciò cadere sfinito sulla fredda pietra, in quello stesso istante, sfinita ella si lasciò cadere sul madido, laido corpo del suo vergognoso amante.
La vita è ingiusta e premia gli stolti, la pioggia non lava via il sangue dalle ferite più profonde e la bellezza acceca troppi esseri che non possono afferrarla, nonostante tutto bruciano le fiamme del desiderio, in un rogo violento di scorpionesca passione, passione di chi ha in corpo un letale veleno che usa sulla propria carne.
Provò davvero dolore Angelica quando trovò un pugnale nel petto di Aiace? Ha ella meritato il di lui sacrificio?
Forse questo non interessa alla morbida essenza che nottetempo accarezza la dormiente Angelica, labbra gelide che ogni notte le sfiorano le gote, questa entità non si pone certo tali quesiti.
Non è affatto vero che l’amore è cieco, è l’amore che strappa gli occhi alle sue vittime.
EPILOGO
VIRGO: Che accade? Cosa accende il mio ventre di ardente fiamma? Perché i miei occhi si velano di lacrime ed il mio spirito brama la notte? Perché l’angoscia pasce nel mio petto?
VISCONT: E’ quella fanciulla, è perché hai mirato quei capelli corvini, perché la sublime imperfezione dei suoi occhi dolcemente obliqui ti ha penetrato l’anima. Quella pelle eburnea e come l’argento liscia ti ha donato la malia della sua tagliente grazia.
VIRGO: Ma ella non mi ha toccato, ignoro chi sia, perché la bellezza mi sconquassa le membra? Perché ella ora si ferma, mi guarda in quel modo, posso io meritare di penetrare nell’azzurro nitore di quello sguardo?
VISCONT: Non ti ingannare nel crogiolo del dolce, vellutato veleno. Ella vuole soltanto la tua anima. Ora ha acceso il tuo ventre, domani incendierà la tua mente e poi lo farà con il tuo essere tutto, in un fuoco divampante di cilicio intrecciato di baci.
Immolerai a ella il tuo sangue, urlerai di notte il suo nome, le donerai la tua vita, soltanto per esser guardato ancora da lei in quel modo.
VIRGO: Ciò è orribile, mi spaventa e mi da ansia, non posso sottrarmi a tale destino, poiché già sento i suoi occhi chiamarmi affinché torni in questo luogo ogni giorno ove ella erge il tempio della sua venustà. Sento che la mia vita non appartiene più a me.
VISCONT: Siamo deboli e fragili, io ho ucciso molti uomini, ma sono bastati gli occhi di una donna per rendermi cenere.
VIRGO: Perché tutto ciò? Cosa posso fare per chetare questo tumulto di dolore angoscioso? Perché ella non si dona a me adesso?
VISCONT: Lo ignoro amico mio, lo ignoro veramente.
©Davide Giannicolo
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