Sgraziate forme hai angelicato |
Per essere a dio più simile. |
Poi sei morto, |
in un circolo di applausi che non t’ han riempito l’ anima. |
Uno spazio informe, asimmetrico |
Era davanti a te, |
molti corpi, |
sudati, innumerevoli corpi. |
Poi l’ amore s’ è nascosto come solo con te sa far e, |
dentro te, |
profondamente inabissato, |
celato sotto vesti nere e l’oppressione del tuo crine. |
Hai legato le tue chiome |
e il tuo volto è apparso bianco, |
nessuno s’ è voltato e ha visto in te divina luce. |
******* |
Una solitudine morbosa fluttuava su ali di lene silenzio, scrosciando nell’aria come gelido |
disappunto, posandosi fredda sulla sua pallida fronte. La notte non aveva senso ormai, era un attesa |
delirante ad un nuovo giorno, ove lui si sarebbe mosso stanco e confuso circa le sue prossime |
decisioni sul come abbellire la vita. |
L’angoscia lo abbracciava, donava bellezza a quel corpo di giorno orribile, l’alta figura era |
immobile, aspettava, l’attesa febbrile di un tragico volo. Solo la morte l’avrebbe librato in alto, o |
forse. Chi vuole volare deve patire molti supplizi, deve vivere con la consapevolezza che soffice |
taglia la pelle come in un soave bacio. Il complesso universo l’aveva baciato, egli forse non aveva |
mai chiesto quel bacio, non aveva chiesto di interrogarsi sul moto delle stelle, sulla profondità del |
proprio io, sulla follia dell’amore in cui si rifugiavano gli esseri umani. Egli forse voleva solo essere |
uno di loro, voleva scopare con mille donne diverse, essere incapace di pensare, dedicare i suoi |
giorni ad abbellire la propria vita di fastosi e profumati eventi. |
Ma non poteva, non poteva muoversi con disinvoltura tra quegli esseri così simili agli insetti, non vi |
è niente di male nell’essere un insetto, ma non era colpa sua se lui era diverso, nel bene o nel male, |
nel vino o nel sangue, nel coltello o nella ferita. |
Egli piangeva sangue ogni minuto della sua vita, come costretto ad un eterno tormento, l’afflizione |
lo attanagliava, voleva essere un insetto e nutrirsi dell’inebriante nettare di quel pianeta che avrebbe |
dovuto bruciare su se stesso, come lui, come il sole. |
Ancora le dolci vesti della notte frusciavano e lui inghiottiva la sua saliva malata, era così passivo |
da disprezzarsi, si odiava così tanto da amarsi profondamente, si amava così da farsi del male, da |
provare solo selvaggia furia e fragori vaghi e interiori ogni volta che il mondo lo scacciava da sé. |
“Non vi è un motivo, un motivo per cui io non possa essere un insetto.” |
Gli sembrò di stare per dormire, provò un triste sollievo, finalmente l’oblio per lui che ormai viveva |
ai margini scoscesi e taglienti del suicidio. |
Divine ombre oscurarono la stanza , e lui non seppe se viveva sogno o realtà. |
L’effluvio della morte s’innalzava e un corvo comparve, un nero corvo dalle piume striate di sangue |
scarlatto. I gelidi artigli segnarono la sua spalla, era piacevole avere addosso l’animale che in un |
volo maestoso si era posato per ferire forse innocentemente, come chi anche quando accarezza |
lascia leggere scie di sangue dolci da ricordare, dolci come una madonna decomposta che porge |
malinconica il suo seno di vermi solcato. |
Il corvo sussurrò all’orecchio di lui incapace di muoversi: “L’orso nero non vuole venire qui per te, |
dice che è troppo complesso, ascolta i neri messaggi che porta la notte, vieni tu, giungi sino a noi.” |
Alzò gli occhi , aveva dormito due minuti, forse un’eternità. |
Non vi era traccia degli artigli del corvo,ma ne sentiva il dolore bruciante, evocava con malinconia |
la reminescenza di quel sussurro gracchiante; voleva volare sulla schiena del corvo, senza esitazione |
avrebbe percorso con lui le strade di sangue ove l’avrebbe condotto, o forse il rapace sarebbe |
disceso lento in una silente e sacra foresta, e lì un’eterna pace li avrebbe cullati. |
Forse il becco del corvo avrebbe spaccato il suo petto, anche questa supposizione era valutata come |
affascinante, come una goccia ch e avrebbe mosso le immote, eterne acque della sua inerzia, |
l’immensità del suo nulla spirituale. |
Si destò, tossiva ripetutamente, si vestì di sporchi e sgualciti abiti neri che il tempo aveva sfumato |
in un tono cupo e privo di vita. |
Ultimamente maturava un’ossessione, era ubriaco nella pioggia che flagellava il suo volto quando |
tutto ebbe inizio e la vide, nonostante l’oscurità essa sorgeva maestosa, la sua luminescenza |
penetrava la tenebra, sembrava stagliarsi al di là dell’universo stesso: una titanica gabbia d’oro. |
Quella notte non voleva divenire un insetto,da quella notte la tristezza si sedette sul suo grembo; |
non poteva essere sereno sapendo dell’esistenza di quella gabbia d’oro che imprigionava nel suo |
abissale ventre il moto dei pianeti, che lo attraeva come una falena con la luce. |
Sentì ancora una sensazione, come se un’enorme mantello si chiudesse su di lui, un suono simile al |
fruscio delle foglie si eresse nel silenzio, presto il fruscio divenne verbo: |
“Sono tutti morti, è per questo che non odi più il canto degli orsi, il loro ruggito forse non potrà |
divenire le tue ali, vieni ugualmente!” |
Egli era sul pavimento, sconvolto si interrogò madido di sudore: |
“E’ un richiamo? E’ come la gabbia? Ma sono dissimili, se solo riuscissi a valicare la gabbia.” |
Nello stesso istante in cui formulò la domanda a se stesso bussarono alla porta; chi era? Era solo da |
anni lentissimi. |
Non voleva aprire quella porta, qualunque contatto con il mondo esterno era vano, un empio |
progresso d ella gabbia d’oro. Ma il suono del campanello era così dolce e ammaliante che alla fine |
egli si decise, si guardò nell’opaco specchio, era stravolto, al di là di esso vide una terra di immoto |
dolore, la terra degli angeli consapevoli e prigionieri, il luogo da dove forse anch’egli proveniva. |
Aprì la porta e osservò la magrissima figura che attendeva sull’uscio, era una donna dal petto |
scarno e il viso malato, ella stessa latrice di fosca malattia, dagli occhi di quella donna si scorgeva |
che la malattia era la su a stessa vita. |
“Posso entrare?” Chiese lei in un lamento languido . |
“Perché mai? Chi sei? Cosa cerchi qui?” |
Lei sorrise e in quell’istante sembrò una bambina, una pallida bambina malata di tossicodipendenza. |
“I miei piedi mi hanno portata fin qui, tu sei l’oggetto d ella mia visione, ho compiuto un viaggio |
fatto di allucinazioni e so che tu cerchi qualcosa, qualcosa ch e io non riesco a comprendere, ma io |
conosco la via sulla quale tu f arai scorrere i tuoi evanescenti passi. Io voglio mostrartela per aiutarti, |
non chiedermi il perché, è la chimica mescolata al mio sangue che me lo comanda”. |
Egli ascoltava, triste dinnanzi a lei, quegli occhi erano smarriti proprio come i suoi, sembravano due |
fanciulli cresciuti male, abbandonati al nulla incomprensibile. |
Mentre lei parlava, improvvisamente, lo baciò, un bacio breve che fu per lui un sorso di ignota |
magia, una magia malata, alienante. |
Si guardarono negli occhi , lo sguardo di lei era umido e profondo, profanava la mente di lui che |
non voleva parlare per primo. |
“Sono sicuro” in fine disse lui “che ora mi dirai qualcosa di difficile, mi dirai che la via per la |
gabbia d’oro è il sole e che io dovrò bruciare le mie membra e le mie ossa scagliandomi ci contro, e |
poi, come arrivare fino al sole?” |
“Shhhhh”. Disse lei carezzandolo dolcemente, lui non era eccitato, anche lei sembrava non esserlo, |
quelle due creature trascendevano ciò che realmente sembravano essere, per un oscuro motivo erano |
mascherate da quell’apparenza, i loro volti, le loro forme sembravano avere luogo altrove, ed erano |
proiettate in quella diroccata stanza per un folle, inutile proposito. |
I loro corpi s’unirono nudi, s’amarono passivamente, profondamente lenti in una triste danza. |
Lei aveva le braccia esili, livide e martoriate dai buchi, ma baciava trasportata da un tiepido |
languore la rossa bocca di lui attonito, che si lasciava andare con goffa ed ebete innocenza. |
Sembrava un angelo spastico che s’univa carnalmente alla sua controparte. |
Il magrissimo corpo di lei ora era fermo, stavano per dormire quando lui le chiese: |
“Allora? Come sai della gabbia d’oro?” |
“Di che cazzo parli? Io non ho mai visto nessuna gabbia d’oro ”. |
“ Sei stata tu a dirmi……” |
“Io ho detto solo che conosco la via, solo questo.” |
“Dov’è, dimmi dov’è! ” |
“E’ a Portici, a questo indirizzo……” e gli porse un biglietto. |
“Portici? Pazza!” Si alzò dal letto sfondato e la prese per mano, voleva scacciarla ma non poteva |
fare a meno di stringerla a sé, la trascinò di nuovo a letto e fecero l’amore, si unirono per due notti, |
due notti ove il corvo volava in cerchi sull’edificio, due notti ove il ruggito dell’orso pulsava nel |
sangue di entrambi. |
“Sto male”. Disse lei, era mezzogiorno, il sole cercava di irrompere e investire i loro corpi nudi. |
“Sento che sto per fare il mio ultimo viaggio, sento già dolci le piume della morte carezzarmi, dove |
finirà il mio smarrito e tremante passo?” Lui era confuso, quella donna era molto strana, e lui non |
sapeva neanche come chiamarla, era giunta come una visione, forse lo era realmente, ma il reale si |
confondeva in indistinte sfumature in quella stanza. |
Cercò di aiutarla, tentare di annichilire quel fosco presagio che sembrava inquietarla, la baciò, fu la |
cosa che irruppe per prima, il primo suo pensiero di soccorso. |
La baciò ed ella era gelida, ancora più pallida sospirava febbricitante, tremava fragile e tragica negli |
spasmi di un’oscura malattia, lui pianse e le tirò indietro i capelli sudati, bevve le sue lacrime |
mentre quel petto scarno ansimava gli ultimi, surreali soffi di quell’enigmatico incontro. |
Dolcemente ella morì, e la sofferenza malarica che dipingeva quel volto si levò nell’aria |
dell’opprimente mattino lasciando spazio ad un’esangue espressione, |
ella era cadavere, |
fredde lacrime, |
i fiori bianchi sul volto del cadavere. |
“Vivi ti prego” disse lui lacrimante, pur sentendosi in colpa poiché non riusciva a provare reale |
dolore per quella creatura morta in agonia nel suo letto. |
“Non morir e mai” poggiò la di lei testa inerte sul cuscino e la osservò silente, la osservò per lunghe |
ore nell’ombra e nel silenzio. |
Bevve tantissimo. Si trascinava per la città che si stagliava in alto per poi incombere su di lui, il |
male era nella sua bocca, nei suoi occhi, nel suo dolore. Era pomeriggio, un soporifero pomeriggio |
deserto, il sole incombeva, e lui era solo, solo e senza senso. |
Il corpo esamine di quella donna era ancora nel suo letto, forse ci sarebbe rimasto per sempre, come |
un’ombra ch e aleggia fluttuante nella debole luce dell’eternità. |
Barcollò fino all’indirizzo mosso dall’ignoto, nell’assurdo orbitava inerme, volteggiava trascinato |
da esso come un a foglia lambita dal vento. |
Un vecchio casermone cadente era il posto che lei gli aveva indicato, antichi spiriti erano appollaiati |
eterei come l’angoscia sull’imponente edificio, la tristezza del tempo lo incrostava come lacrime di |
sangue rappreso, una fosca atmosfera s’ergeva morbosa come una donna folle e altera, decadente, |
ornata sontuosamente da un maestoso squallore. |
Valicò l’alto portone, era umido dentro, tutto veniva cinto con cupa leggiadria dalla penombra, u n |
effluvio acre di cibo lo investì, si udivano delle voci confuse, lontane, che sapeva non gli |
appartenevano. |
Salì le scale, una magica angoscia gli opprimeva il petto, un profondo senso di solitudine; quel |
luogo sembrava morto, nemmeno il fruscio del moto soffiava sul suo volto. |
Un nano uscì da un buco nel muro, i suoi vestimenti erano laceri, sembrava atrocemente crudele, |
appariva come un male grottesco che sbuca dal nulla, sorrideva nella sporcizia di quel luogo |
diroccato. |
“Vieni, vieni qui eh eh eh…vieni, vieni”. |
Lui andò, più si avvicinava e più scorgeva l’assurdità di quell’essere, il senso di sconforto che egli |
emanava dal suo sudicio buco, furono l’uno di fronte all’altro, quell’essere sembrava irreale nella |
sua estrema, viscida consistenza; aveva paura di lui, o forse si sentiva solo smarrito. |
“Vieni, entra d entro” e in questa espressione il nano era stato rassicurante e gentile, come se quel |
buco fosse stato una sontuosa dimora. |
Sparì all’interno ed egli lo seguì poco dopo, sentiva di star penetrando qualcosa d’ignoto, quel |
luogo era al di la della realtà, l’unico principio che lo accostava saldo alla fisicità era lo squallore, il |
resto non aveva luogo: odori, sentimenti, temperatura e atmosfere a lui sconosciute lo investivano in |
quella buia latebra ove non scorgeva il nano ne né udiva la presenza. Forse quella era la stasi, |
quell’istante di tenebra che ci squarcia nel momento in cui decidiamo. |
“Vuoi farti una sega ragazzo? Sei un rompipalle, credi che sia facile prendermi a pugni, brutto |
stronzo, brutto stronzo, brutto stronzo…” |
Udiva il nano lontano nel buio, la sua voce era un eco arcigno, ignorava quella voce, essa passava |
su di lui come una soffice nube di fumo. |
“Dove sono le mie ali” . Pensava. |
“Testa, testa, testa di cazzo, ti sparo se non ti muovi, giuro ch e ti sparo, ti sparo nelle palle e la |
finisci di fare il talebano terrorista con la barba, ti sparo e ti massacro, ti odio stronzo, stronzo, |
vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo.” |
Il nano continuava con il suo folle monologo, la nube di fumo delle sue parole prendeva |
consistenza, cominciava a infastidire la sua passività, era armoniosamente atroce e costante nel suo |
innalzarsi come il ronzio di uno strumento elettrico, il lamento dell’opaca follia umana, le ali. |
Finalmente vide il nano nel buio, restarono immobili, poi il nano disse: “Tu stai cercando qualcosa |
che va al di la di una scopata con le troie che stanno qui, magari anche quello ma a te serve un’altra |
cosa, una cosa che solo io ho, che ti fa passare la voglia di sgropparti quelle negre, io te la darò ma |
tu dovrai fare una cosa per me.” |
“Cosa?” Disse lui. |
“Dovrai uccidermi, ah ah” e la sua risata rimbombò sulle umide mura. |
Il piccoletto cominciò a correre in cerchio ridendo ancora, in modo sguaiato, disgustoso. Poi lui lo |
afferrò e lo sollevò, vinse la paura, quel nano era un coglione, non poteva opporgli molta resistenza, |
ma era reale? |
“Mi hai rotto le palle nano, io sono un tipo paziente, ma non sto capendo molto…” |
Il nano rideva ancora, e lui seppe che non c’era niente da comprender e, nulla da svelare, non |
avrebbe ucciso quel nano perché quella bizzarra recita voleva trarlo in inganno, come al solito. |
Lasciò cadere il nano e tornò sui suoi passi, lo sentì bestemmiare lontano, contorcersi nella rabbia |
che s’incarnava nella sua piccola figura: “La società ti riaccoglierà, la società è fatta di coglioni, |
festeggeranno anche il tuo ritorno coglione ah ah ah” |
Uscì dal buco e fu invaso ancora dal silenzio del vecchio palazzo, il verbo taceva, i pensieri |
svanivano, solo morbide e lente immagini. |
Una meretrice silenziosa gli si avvicinava, sbucata da un corridoio, flemmatica, mistica come una |
visione d’assenzio, surreale come un tragico fantasma. Paralizzato era ogni suono, silente anche il |
buco nel muro, nulla si muoveva di quelle oscure forme, nulla tranne il letargico respiro della vita |
che muore e che dunque è più viva nell’avvicinarsi alla morte. L’aria sembrava fluida, fatata come |
l’angelo della non esistenza, l’angelo della malattia. |
La donna lo toccò, era fredda e i palmi delle sue mani erano lisci come il marmo, neri e profondi i |
suoi occhi, di cenere la sua pelle. Lo condusse in alto per le scale ancora in penombra, l’edificio |
restava immutabile, il silenzio vagava per quei corridoi come un fantasma e lungo la ringhiera |
compiva la sua danza incessante. Erano in un’ampia stanza diroccata e sudicia, la luce penetrava |
opaca, sporca, il pavimento era rivestito da un sontuoso tappeto di rifiuti, alcuni colombi |
svolazzavano inquietanti intorno. Il silenzio era infranto ma entrambi ancora tacevano, la donna |
sembrava straniera, lo sguardo zingaro era eloquente, comprensivo, lo avviluppava con la sua |
languida dolcezza. Il silenzio di quella donna ergeva un a sorta di oscuro, inscindibile fascino, egli |
l’amò in un cosmico istante, l’amò mediante lo sguardo che avvolse lo sguardo di lei, ed entrambi |
gli sguardi umidi e malinconici volteggiarono in alto, oltre il soffitto sgretolato, in alto ove |
dimorano gli angeli. |
Poi senza toccarsi, senza che egli bramasse le sue forme coperte si allontanò da lei, non riusciva a |
provare una carnale eccitazione, non riusciva a comprendere l’alchimia di quella sensualità. |
L’accarezzò dolcemente ed ella sorrise, come faceva a non temerlo? Come poteva? Poi la baciò |
sulla fronte……e si gettò dalla finestra. |
Cadde di lato e si lussò una spalla, provò sollievo nel sentire il dolore che si diramava in tutto il suo |
corpo come un cancro, schegge di vetro lo ricoprivano facendolo sanguinare dolcemente. Si voltò |
sulla schiena assaporando il patetico abbandono di quella situazione, guardò verso il cielo con lo |
sguardo annebbiato dal sangue, l’angoscia lo oppresse, al di là del cielo vi erano ancora quelle |
sbarre d’oro, egli le vedeva, le scorgeva brillare in una tetra luminescenza. |
Poi sentì delle gocce sul volto, pensò fosse quella meretrice che piangeva sul suo corpo scempiato, |
ma era la pioggia, la pioggia che cadeva abbondante mescendosi al suo sangue. |
Quando rinvenì era sera, la pioggia scrosciava flebile inzuppando il suo dolorante corpo, tentò di |
muoversi ma era assalito da fitte lancinanti, l’aria penetrò gelida nel suo petto come una nube di |
evanescenti rasoi e lo squarciò dall’interno, tossì lungamente, contorto nella sua drammatica |
impotenza, tossì sino a sputare sangue, provando tragico dolore. La pioggia si mescolava alla sua |
agonia carezzandolo incessantemente, donandogli brividi gelidi; sembrava che quella stessa pioggia |
volesse scioglierlo sull’asfalto. Riuscì a strisciare per qualche metro, rientrò nel palazzo ancora più |
buio, tremendamente silenzioso come un cimitero senza croci, sperava che quella puttana tornasse a |
curarlo coi suoi baci, ma sapeva che poi si sarebbe lanciato ancora, in un ciclo inguaribile di volo |
discendente. |
Ora che era al coperto e la pioggia schizzava al di là del portone aperto sentiva ancora più freddo, la |
polvere gli si era appiccicata addosso, era penetrata nelle sue ferite mescolandosi al sangue. |
Era rannicchiato e sudicio, tremante tossiva in spasmi d’agonia, zuppo e moribondo, eppure udiva |
la pioggia fuori scrosciare, la udiva confusa invaderlo in un armonico fragore ch e riecheggiava nella |
sua mente, il suo sguardo si annebbiò, e provò un languido torpore che sapeva sarebbe durato poco, |
come una carezza d’hashish, udiva la pioggia, sentiva il dolore, ma non vedeva più nulla: la cecità |
del volo discendente, la furia elegante che ottenebra la furia selvaggia. |
“L’orso nero sta venendo a prenderti, odi il battito delle mie ali chiamarti in dolce musica?” |
Era buio, ed egli si alzò, non seppe per ché, non seppe cosa cercava d a quell’agonia. |
Barcollava ubriaco di dolore, annaspava sulle scale polverose strisciandovi come un verme sagace. |
Giunse al buco ove aveva avuto il colloquio con il nano, per terra vi era una bottiglia di vino bianco |
piena per metà, con le mani spaccate e doloranti l’afferrò, con flebile forza, la scolò mentre l’alcol |
gli bruciava le labbra e la gola per poi infrangersi con subdolo impeto all’altezza del suo petto |
spaccato. |
“Nano, nano di merda esci fuori, farò come vuoi, ti ucciderò.” Il silenzio regnava vetusto, solo la |
pioggia si udiva, l’orso e il corvo giungevano a prenderlo, questo lo rendeva felice, ma voleva |
valicare la gabbia d’oro, voleva volare al di là di essa. Entrò nel buco e tossì ancora a causa della |
polvere, sentiva il sangue impastargli la gola, era buio, fitto e impenetrabile, buio che era ansia, |
ansia nociva al sinuoso retrogusto di fluoxetina cloridrato. |
“Nano” urlò sputando sangue, e il grottesco esser e spuntò da un pendio di rifiuti, sardonico e cattivo |
come sempre: “Sei tornato strano coglione, cosa vuoi?” |
Egli afferrò una pietra tagliente e l’appoggiò sulla fronte, la fece scorrere verticalmente lungo tutto |
il suo volto, poi sussurrò: “Voglio la via, ti ucciderò.” |
Abbrancò il nano e lo violentò di colpi confusi e imprecisi, il nano rideva, rideva implacabile. |
Afferrò una pietra più grossa e schiacciò quella piccola testa, il nano morì rivelando il segreto: |
eloquente vi era nella su a mano destra una siringa di eroina, lui la prese e il suo corpo dimenticò |
ogni dolore, la sua mente sulle ali di una sbiadita coscienza guidò la mano verso la vena, la vena |
che era la sua unica via verso un sentiero introspettivo, lui era l’eroina che percorreva un fiume di |
sangue che era la sua vita, quel fiume che non poteva avere esistenza in altro luogo se non dentro di |
lui; la sua vena era la fosca strada. |
Si iniettò il vivo liquido ebbro di una mistica estasi, il suo corpo svanì, volteggiando evanescente in |
un’abbagliante cortina di luce, fluttuando nel surreale scenario della sua esistenza. Vedeva la città, |
la terra, l’universo rimpicciolirsi, scomporsi, sfumare sotto il suo volo. |
La gabbia d’oro si avvicinava, la scorgeva in tutto il suo virulento bagliore, lo abbagliava di febbrile |
trepidanza. Fu a pochi centimetri da essa, stava per toccarla, sentì di stare per sfiorarla in un |
morbido, frusciante tocco, ma di colpo cadde. Cadde ancora nel buio senza appiglio alcuno, |
precipitò in basso come un angelo, un angelo in un volo discendente. |
“L’orso nero sta venendo a prenderti”. ©Davide Giannicolo |
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