giovedì 1 dicembre 2011

Quando la brezza fruscia sulla seta

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La sera moriva, s’innalzava la notte, stupenda come una donna che non ha bisogno di psicofarmaci, delicata e austera, discreta.
Affascinante perché se ne sta lì seduta a bere slivovitz senza badare a nessuno. Con gli occhi smarriti, privi di sorriso, un segreto che si proietta in profondi tagli sui magri polsi bianchi, cicatrici velate dalla seta dei vestimenti.
Così giungeva la notte, affascinando di delirio i pochi che potevano scorgerla.

“Buonasera signora.” Disse lui giacente sul suo letto intriso di sangue e sudore, si rivolgeva ad una forma indistinta e morbida che era entrata dalla finestra.

“Perché sei coperto di sangue?” esclamò lei con tono severo.

“Ero fuori, solo, tormentato, ho sentito il bisogno di uccidermi, droga, alcol, puttane, assassini, ladri. Cosi ho cercato rifugio nel mio sangue.”

Ma la dolce voce di lei bloccò improvvisamente il suo parlare confuso.
Era calma come una distesa di ghiaccio, fusa alla notte parlò con mesta voce profonda.

“Hai bevuto, ti sei scempiato con le droghe, ma non sono giunta, solo adesso che il tuo sangue scorre lento e conta i battiti confusi del tuo dolore puoi scorgermi.
Ti sei chiesto il perché? Ti sei chiesto perché non riesci più a scopare?”

“Non lo so, non mi interessa, portami con te!”

“Sono già dentro di te, sono il tuo sangue, ti carezzo dolcemente le vene, sono il tuo tormento, la tua tristezza, la tua malinconia, la tua vivente morte.”

“Come sei bella!”
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La brezza carezzò quella sottile figura, i veli di seta frusciarono rivelando un bianco ventre nitidamente librato nella tenebra, un argenteo fulgore esso emanava riverberandosi sulla lacrime di lui.
Quello spettro drammatico era la sua ossessione,  candida madonna di cera.
Nello stesso fruscio con il quale era giunta ella svanì, senza voltarsi, senza mostrare i bianchi piedi nudi allontanarsi.
Forse costei era la notte del tormentato, del dannato che la brama senza mai riuscire a sfiorarla, che può sentire soltanto le sue eteree carezze a mezzanotte e poi finge di scordarla inseguendo la morte, baciando la droga e il misfatto senza sapere che lungo il suo viaggio verso la morte vi è ancora l’ombra soave e in ugual modo tagliente di quel sogno, quel sogno che al crepuscolo fa trepidare e che per ognuno è diverso. Il sogno di volare nelle mani di quel fantasma che di rado si rivela in tutto il suo mirabile lucore, il sogno di attirare lo sguardo di quella donna che beve da sola, ma che poi svanisce nel lene fruscio della seta.

Dedicato a chi soffre d’amore, poiché ciascuna sua lacrima è dolce piuma di dolore che accarezza e taglia il volto.

©Davide Giannicolo.

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