Necromania e puro amore per decadenza e violenza, poesia oscura, lirismo licantropico, monumentali astrattismi sanguinari, danza di catene e rasoi al chiaro di luna, letteratura notturna, solinga, antintellettuale. Questo è il manifesto del porto dei misfatti, e i viandanti che vi entreranno sentiranno gelidi moncherini carezzare il loro volto, o sinuose sirene, il cui bacio sa di prostituzione e antichità.
venerdì 2 dicembre 2011
Lambiscimi di quell'essenza di Davide Giannicolo
Il pentacolo si aggrovigliava intorno alla grande alce piagandogli le membra, Colo ascolta l’ansimo dell’animale, sente l’affannoso respiro scorrere lungo il suo collo.
Andò via da quel pensiero, sapeva che ogni visione svanisce poiché è sottile richiamo, ascetica concessione di danzanti flussi d’energia al di la del baratro del cosmo.
Frammenti di quei fluttui si potevano scorgere negli occhi rapaci di un gufo, nel volo di un’aquila, nelle ferali movenze di ogni animale.
L’alce ansimava morente nella visione di Colo, archetipo di un male selvaggio schiacciato da un nuovo tiranno, una nuova rappresentazione del male più puro, e seducente il pentacolo di ossidiana si imponeva a regnare nella sua mente.
Dunque una sottile seduzione avrebbe schiacciato l’istinto rapace, una strangolatrice cosmica ornata di nastri di cuoio: la pallida forma sfumata e diafana chiamata bellezza.
E ancora Colo ascolta fissando la notte, inseguendola lungo foschi dirupi come fosse una spettrale fanciulla che nuda sfugge e sorride.
“L’orso nero avanza nella notte e avvilupperà anche te, tu sei la chiave nera dell’oscura mancanza, aggredisci l’orso accogliendo il suo caldo e umido naso fra le natiche, godi della paura strisciante e dolorosa degli artigli avvinghiati alla tua carne, se così farai egli sarà vinto, e tu padroneggerai lussurioso sui viventi.”
“Non essere blasfemo, nulla può fermare dell’orso nero il selvaggio impeto, non cercare di salvarti.”
Colo comprese che si stava tenendo una discussione nella sua mente, una discussione profondamente legata al cosmo e alle sue fluide, impercettibili movenze, entità morbose e psicologiche lottavano per un dominio che in realtà era così misero:
la psiche di Colo.
In ogni mente vi è un bosco antichissimo, al di la di ogni sguardo una stella, poiché l’uomo era destinato a essere imbevuto nell’essenza del cosmo, era una trascendente creazione attua ad uno stadio di perfetta sintonia tra mondo vegetale, animale e cosmico.
Ma questa creatura si rivelò troppo fragile per assorbire quell’intensa magia, l’uomo è mutato schiacciato da un enorme peso, è impazzito in un esile, fragile declino che lo ha reso la creazione più debole e imperfetta dell’universo.
Quello che era il disegno d’un fulgido amplesso siderale ora diveniva un vagante abominio privo di senso.
Qualcuno però, ancora oggi, riusciva ad essere chiamato dalle stelle, o dal bosco, o dall ansimo del puma.
Qualcuno persuaso dal mare perpetra la poesia dell’esizio e della strage.
Mentre poi vi è chi si affida alla frusta, costoro sono coloro che vibrano al contatto col cuoio, coloro che vivono in un macabro bivio fra il dolore e l’oblio.
*
Colo si spogliò per intero, si legò con dei fili di nylon in un complesso nodo, l’arazzo filiforme aderiva alla carne e la tagliava con sottile eleganza, cessò di stringere quando si sentì soppresso dal dolore e rigato di sangue.
Si alzò dal letto e si vestì con il nylon ancora compresso nel macabro nodo.
Si era messo una gonna di pelle, calze autoreggenti e rossetto nero, sotto i vestiti, i fili di nylon ondeggiavano lenti orchestrando il suo dolore.
Scese in strada e si diresse verso il quartiere delle prostitute, il suo aspetto era veramente conturbante ed estremo a vedersi.
Andò dritto verso la più inquietante, era una donna nera dall’aria tossica e allucinata, l’enorme bianco dei suoi occhi avviluppò Colo, antichità shamaniche volteggiavano in quello sguardo.
La donna danzava come uno spettro di inquieta malinconia d’innanzi al fuoco, Colo, vestito da donna, col nylon che gli straziava le carni sotto le vesti del suo delirio, si avvicinò a lei.
“Vieni!”
Disse la donna spalancando ancora gli occhi,
e Colo andò, senza fiatare, rapito da quell’estasi primitiva che la donna evocava.
Si ridestò in un letto di serpenti e i fili ancora scavavano le sue carni, al soffitto pendevano teschi dai cui occhi vuoti fuoriuscivano fluttuati e oppiacee, dolci nuvole di fumo speziato.
Udiva un sonaglio, un velenoso sonaglio che lo ipnotizzava di febbre e delirio.
Poi sentì la smania sessuale abbrancarlo, la donna danzava spasmodica sopra di lui in una selvaggia, isterica frenesia, lo violentava sudata delirando primitivi dialetti. Poi il buio.
Cercò quella donna altre volte dopo essersi risvegliato nudo, abbracciato ad una croce in una cappella sconsacrata, non la trovò mai, senza mai sapere se quell amplesso sbocciato nelle effusioni magiche di un primitivo rituale fosse delirio o realtà.
Colo è stato ritrovato in un bosco impiccato e cosparso di ferite inferte da rami, il che lascia presumere che si sia lanciato nudo in una corsa cieca e furiosa fra i cespugli per poi togliersi la vita impiccato come Odino, appeso all’albero dell’universo per ricercare la suprema saggezza in una pagana cerimonia suicida.
L’universo, la terra, le fiere, avevano chiamato Colo attraverso un doloroso poema, anch’egli come tanti, non era riuscito a sopportare lo schiacciante peso della trascendenza.
©Davide Giannicolo
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