giovedì 1 dicembre 2011

La tragedia Sanguinaria (parte prima) Un romanzo di Davide Giannicolo

  LA TRAGEDIA  SANGUINARIA
 
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Sbilla, contadina modesta e di grazie delicate, era in preda all’emozione più grande della sua vita, nonostante fosse notte fonda era impossibile abbandonarsi al sonno, il giorno dopo avrebbe sposato il suo amato Black, un matrimonio semplice ma appoggiato e salutato con festa da tutti gli abitanti del villaggio. Il suo gracile petto di colomba era colmato da una smaniosa trepidanza, tutto era pronto, persino la  loro piccola casa attendeva che le stanze ora vuote si riempissero della fragranza della loro prima notte d’amore.
Anche i suoi fratelli erano agitati, raccolti intorno al padre comunicavano attraverso il silenzio la malinconia lieve che li percorreva, Sibilla era la loro unica sorella, era doloroso il pensiero di non poter più sentire la di lei virginale e gioiosa presenza tra le mura di casa.
Presto i primi raggi del sole si allungarono per toccare le guance della promessa sposa,riscaldandole di un puro tepore.
Sua madre entrò poco dopo nella piccola stanza e nel trovarla già desta sorrise comprendendo.
“Stai tranquilla, dopodomani già comincerai ad abituarti all’idea di essere moglie.”
Sibilla pianse, in effetti sentiva l’emozione valicarla, impadronirsi di lei, era piacevole quanto spiazzante, più si avvicinava il momento e più sentiva l’ansia di un qualcosa d’ignoto che l’aggrediva di sorpresa, mentre poco prima questo qualcosa se ne stava nascosto dietro il velo dolce dell’attesa.
Bastò dire un po’ di sciocchezze e si tirò subito su, era l’emozione che confonde anche le menti più lucide.
Con l’aiuto di sua madre in pochi minuti tutto fu pronto.
Nel suo modesto abito bianco Sibilla era splendida, le chiome corvine le ricadevano radianti e lucidissime sulle piccole spalle, il suo sorriso era largo e luminoso, naturale come la fonte che scolpisce la roccia con il suo dolce incedere, la felicità regnava incontrastata in ogni fibra della stupenda ragazza.
Taddinio, il suo piccolo cugino di sangue spalancò la porta, Sibilla si voltò verso di lui e sorrise, quegli occhi emanavano un liquido bagliore che abbagliava di lucori diafani, infatti il bambino sobbalzò tirando un grosso sospiro, poi la sua faccia esterrefatta lasciò spazio ad un sorriso.
“Sei bellissima cugina mia!”
“Sei gentile Taddinio, ma è quasi ora, andiamo.”
Prese la mano del bambino e tutti e tre si incamminarono discendendo le scale ove tutta la famiglia era riunita per ammirare Sibilla in tutto il suo splendore.
Ognuno fece il suo commento tre risa gioiose e giulive esultanze di sottofondo, poi i suoi due fratelli maggiori, impettiti e con il portamento fiero le aprirono la porta, pronti ad accompagnarla all’altare della piccola chiesa del villaggio.
Blanck era già lì ad attendere da tempo con il suo sorriso bonario e i capelli arruffati.
Quando Sibilla giunse all’altare i due si scambiarono un reciproco sguardo di amorevole contemplazione.
“E’ finalmente mia!” Pensò Blanck con orgoglio.
Presto il prete li raggiunse e la cerimonia ebbe inizio, erano state appena pronunziate  le parole formali quando la porta della chiesa fu spalancata.
Tutti si voltarono verso l’entrata e videro un anziano contadino massacrato da frecce cadere in ginocchio, il povero uomo ebbe solo il tempo di dire poche parole prima di spirare:
“Sono i membri del culto oscuro, sono qui per la vergine.”
Nel frattempo una lancia penetrò il suo petto scagliata dall’esterno.
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                                                                          *

Si diffuse il panico, Sibilla osservava Blanck preoccupata, i suoi fratelli afferrarono i candelabri più alti e lo stesso fece il loro padre, insieme attendevano oscurati dall’impellente disdetta.
Le selvagge grida esterne cessarono, il silenzio fu infranto dal trotto di un enorme cavallo nero che maestoso e lento scheggiava coi suoi zoccoli il marmo della chiesa incedendo.
Il cavaliere che cavalcava il destriero era altrettanto enorme, un guerriero del culto oscuro con il volto dipinto coi colori della morte, dalla sua bocca scorreva un rivolo di sangue, certo non suo, poiché i guerrieri oscuri erano cannibali oltre che turpi individui votati al sadismo più efferato.
I capelli unti e raveni del guerriero erano legati disordinatamente, una pelliccia nera copriva le sue larghe spalle, se era di un orso nero significava che costui era un generale, e sembrava proprio fosse così data l’ampiezza di quel manto, i guerrieri razziatori di rango inferiore potevano indossare solo pelli di lupo.
Una spallina di cuoio nero borchiato era la sua unica protezione.
Presto le incisioni simili a tatuaggi che portava sull’avambraccio, mostrate con fierezza, rivelarono il reale rango di quel uomo, portava incise la luna e la madre dea che ricama col sangue la sapienza degli astri, quello non poteva essere che Vorcle, il mangiatore di uomini, capo supremo del culto oscuro.
“Consegnatemi la donna e vivrete, o farò di voi il nostro trastullo.” Solo questo egli disse, in un sospiro malinconico che terminò in un sorriso diabolico, anche i suoi denti erano impregnati di sangue.
I fratelli di Sibilla le si misero innanzi come fossero scudi, erano troppo fieri e decisi per non provocare l’ilarità del guerriero.
Infatti Vorcle con gli occhi iniettati di sangue e follia lanciò una risata sinistra fino a che una schiuma sanguigna  gli colò dalla bocca, afferrò il piccolo Taddinio per i capelli e lo scannò come un agnello, dinnanzi a questo atto così cruento i due fratelli si scagliarono contro di lui, ma la spada e lo stiletto di Vorcle trafissero i giovani petti vanamente sagaci.
Un cenno d’intesa bastò a scatenare la furia efferata delle bestie senza dio che attendevano all’esterno della chiesa.
Blanck fu sodomizzato davanti ai lacrimanti occhi della povera Sibilla.
“Guarda il tuo effeminato uomo come gode dei piaceri dei miei forti uomini!” Gridava Vorcle divertito mentre flagellava il prete inchiodato all’altare, gridava ancora parole blasfeme in preda ad un selvaggio furore mentre il sangue del sant’uomo gli schizzava sulla faccia.
Piangeva Sibilla, impotente, mentre osservava attraverso una nube di lacrime i suoi cari cadere uno dopo l’altro, torturati e scempiati da quella turpitudine senza nome che era giunta a disgregare la sua felicità e a segnare per sempre il suo animo.
L’ultima vittima viva era sua madre, che implorava pietà mentre un nano, anche lui con il volto truccato, le azzannava ferocemente i capezzoli, altri la tenevano ferma dopo averle lacerato le vesti. Vedere il corpo di sua madre nudo, sanguinante, dibattersi tra le laide lascivie di un nano aberrante e dei suoi compagni figli del diavolo, tutto ciò le gonfiò le tempie fino a farla svenire dal dolore.
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Sibilla fu legata saldamente e venne sollevata sul cavallo di Vorcle, si risvegliò fra oscuri boschi osservando confusamente gli alberi sfrecciare lungo la corsa a galoppo.
Aveva sentito leggende sul  culto oscuro, dicerie sussurrate riguardo le scorribande nei paesi vicini, pensava fossero solo cupe fiabe raccontate accanto al fuoco, invece quella che stava vivendo era un orribile realtà, il forte braccio di un sanguinario assassino la stringeva forte alla sella, sentiva intorno il gruppo di circa venti scellerati bestemmiare e dedicarsi a discorsi la cui depravazione violava l’umano.
Vorcle gridava nella foga della corsa sfrenata di avere nel suo castello un fanciullo, narrava cose aberranti, lo costringeva a indossare abiti da sposa e lo usava come sollazzo assoggettandolo alle più atroci umiliazioni.
La cavalcata proseguiva mentre Sibilla veniva rosicchiata dalla sua stessa paura resa inesorabile da quelle ignobili manifestazioni di brutalità.

Trascorsero due giorni, due giorni di viaggio interrotti da poche soste, durante quelle soste Sibilla ebbe modo di apprendere nuove, agghiaccianti notizie riguardo la sua sorte.
 Doveva essere sacrificata sugli altari intrisi di sangue di una nera caverna ai quali i guerrieri si riferivano come fosse il loro covo, gli scellerati avevano una sorta di pretesto spirituale che giustificava le loro macabre azioni, ma sembravano più che altro assoggettati da Vorcle; fosse stato per loro, Sibilla lo sentiva, l’avrebbero stuprata e uccisa fin da subito, ma parlavano con timore di Vorcle e del suo culto, non avrebbero mai osato violarne le regole.
Era loro diritto però possederla una volta consacrato il rituale, e Tiran il nano già pregustava l’evento annunciando che sarebbe stato il più crudele e fantasioso.
Sibilla fu anche testimone delle bestiali abitudini dei suoi rapitori, mangiavano carne cruda, si accoppiavano con animali e spesso anche tra di loro, costoro sembravano essere il parto più ignobile cresciuto in seno al nero capro diabolico che domina i boschi, nulla si avvicinava a un demone quanto un membro del culto oscuro.

Sibilla piangeva ogni notte, e ogni notte, sin dall’inizio Vorcle la fece sua violando la sua verginità e dunque rendendo inutile quella vittima. Vorcle non era uomo da nascondere i suoi intenti e cominciò a dominarla incurante degli altri sussurrando parole impensabili per una bestia di tal fatta,
Sibilla era alienata in una dimensione di totale estraniazione quando l’uomo la possedeva, esiliata nel suo dolore cercava di non sentire la viscida serpe che si stava insinuando nel suo ventre.
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“Non ti sacrificherò, verrai con me al mio castello, ti rapirò poiché tu hai rapito il mio cuore.”
“Come puoi tu parlarmi d’amore, tu che hai sterminato la mia famiglia, il mio sposo, e avevi intenzione di concedermi ai tuoi guerrieri come hai fatto con mia madre.”
“Il mio è un cuore barbaro, ognuno ha il suo modo d’amare e tu ti abituerai al mio, volente o nolente.”
Dicendo ciò Vorcle abbandonò Sibilla alle sue lacrime e nudo s’addentrò fra gli alberi.
Il cuore feroce del guerriero era stato realmente domato dalla bellezza pura della fanciulla, trascorreva malinconiche notti insonni da solo, accanto ai ruscelli con il cupo sguardo immerso in tetre, silenti meditazioni, Vorcle non fingeva, egli non sapeva fingere, per quanto fosse pazzo e brutale egli non era mai stato falso, il mangiatore di uomini a suo modo si era innamorato.
Ma il suo cuore che non aveva mai provato quella sensazione non conosceva delicatezze, per amare la sua Sibilla usava l’unica maniera da lui conosciuta, la strada della brutalità.
Sibilla riconosceva in lui, specie nei suoi occhi, quella fiamma ardente che provava per lei, ma quell’uomo così crudele non meritava nemmeno di pensare una cosa del genere, quello che aveva fatto era imperdonabile

DAVIDE GIANNICOLO '96
                        
......CONTINUA A BREVE                                        

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