Una notte, mentre Sibilla era immersa nei suoi pensieri, la piccola figura di Tiran varcò la soglia della sua tenda, pronto a divertirsi e a violare qualsiasi ordine pur di soddisfare la propria brama bestiale, il nano offendeva la fanciulla con le più crudeli imprecazioni. Non appena la mano di Tiran tentò di sfiorare Sibilla, Vorcle apparve dietro di lui, il colosso non perse tempo e afferrò l’omuncolo rompendogli brutalmente il collo come fosse uno stele.
Sibilla approfittò di quello stato di confusione, e con determinazione e coraggio sgattaiolò dalla tenda e si dileguò protetta dall’immensa oscurità dei boschi.
Presto in un iracondo frastuono Vorcle riunì il gruppo di guerrieri, molti furono uccisi al fine di chetare la rabbia immensa che gli pervadeva le membra a causa di quella stupida fuga.
“Siete degli idioti, giacete ubriachi senza nemmeno sorvegliare un prigioniero, ma che razza di guerrieri siete? Se non la riporterete indietro vi impalerò tutti e sono sicuro che nemmeno i corvi vorranno toccare le vostre miserabili carni, avrei fatto meglio a portare con me Tarantula, solo lui vale più di cento di voi stolti. Andate, cosa aspettate andate MALEDETTI!!!!!”
Il gruppo si lanciò in un cieco inseguimento, nessuno sapeva da che parte Sibilla fosse scappata, Vorcle con occhi folli era in testa alla cavalcata e speronava a sangue il suo cavallo, determinato a recuperare colei dalla quale aveva appreso l’amore.
Sibilla correva delirante, il cuore le tuonava nel petto all’impazzata facendole credere di star per esplodere, sentiva le selvagge grida dei suoi inseguitori vicinissime, ma nella sua folle corsa, d’un tratto incontrò un ostacolo sulla sua strada, un qualcosa di duro come roccia, vi andò a sbattere e rotolò all’indietro, quando alzò gli occhi in preda ad una febbrile agitazione, vide dinnanzi a lei un cavaliere, la sua statura era simile a quella di Vorcle, il suo corpo era completamente avvolto nelle scaglie d’una rossa, fiammeggiante corazza, cupe e tenebrose dall’elmo serrato uscirono le sue parole:
“Da cosa scappi fanciulla? Leggo una indomabile paura nei tuoi occhi, non riceverai alcun male dalla mia spada, anzi, essa è al tuo servizio.”
“Non siete voi colui che temo cavaliere, il culto oscuro m’insegue, hanno ucciso la mia famiglia e Vorcle stesso vuol prendermi in sposa.”
“Non temo il culto oscuro fanciulla.”
Intanto i guerrieri si annunciarono con violente grida, non appena giunsero alla loro vista, il cavaliere si parò innanzi a Sibilla come un muro ferrato, poi ruggendo si scagliò contro il gruppo.
In pochi istanti in sette caddero sotto i suoi poderosi colpi mentre Vorcle li osservava con in volto un fiero sorriso, i due avevano l’aria di conoscersi, anche il cavaliere, affannato lo attendeva con la spada issata, immobile e possente.
Vorcle discese dal nero cavallo e ringhiò:
“Questa donna è mia e verrà con me!”
Il cavaliere non si mosse d’un centimetro, era ancora innanzi a Sibilla.
“Non verrà se non lo vuole!” infine disse.
Vorcle sguainò la spada e si lanciò contro il fiero cavaliere che lo emulò senza perder tempo.
L’impatto fu spettacolare, velocissimi colpi di spada venivano scagliati con ugual foga, violenti fendenti parati e restituiti con ferocia e indomabile forza da entrambi, Vorcle era guidato dalla furia dell’amore, ma da dove proveniva la sofferenza che rendeva il cavaliere suo rivale così determinato? Solo un dannato può lottare con quell’ardore. I due erano troppo equilibrati, e al chiaro di luna continuarono a scambiarsi letali colpi, mentre si affrontavano con furia sanguinaria,Sibilla indisturbata ne approfittò per scappare ancora.
I guerrieri non badarono a lei, tanto furiosa era la loro violenza che in un vibrante colpo le due spade si spezzarono, seguì uno scontro a mani nude, gli alberi caddero sotto le loro spinte fino a che entrambi caddero sfiniti in terra.
“La donna è lontana ormai!” Disse il cavaliere.
“La raggiungerò, ovunque essa sia.”
*
Sibilla scappava da cinque giorni nel fitto dei boschi, non faceva altro che pensare al cavaliere dall’armatura rossa, l’aveva salvata con disinteresse solo perché il suo cuore era nobile, forse era morto sotto i colpi del mangiatore di uomini, forse aveva avuto la meglio, o probabilmente dato l’equilibrio tra i due si erano ammazzati a vicenda.
Chissà quale magnifico volto si celava sotto quell’elmo, il magnificente cavaliere poteva lenire il recente dolore della perdita di Blanck.
Si nutriva della immagine sbiadita di lui maestoso che si scontrava contro il grande Vorcle furente d’amore per lei, la grande bestia, il mangiatore di uomini incapace d’amare che infine aveva pianto per una ragazzina, Sibilla vedeva in lui un uomo guidato dal destino, inconsapevole dell’atrocità dei suoi gesti, in fondo provava pena per Vorcle.
Immersa nei suoi pensieri la bella Sibilla udì un rumore, si voltò di scatto e si trovò di fronte il cavaliere dall’armatura rossa. La ragazza sussultò, ma subito, nel riconoscerlo in lei si fece spazio un sorriso.
“Mia bella dama, Vorcle il sanguinario vuole farti sua, ti troverà, stanne certa. Accetta la mia protezione e vieni con me alla mia umile casa, te ne prego, se non vuoi farlo per il tuo bene allora fallo per il bene della mia anima.”
“Perché hai tanto a cuore il destino di questa misera sventurata? Ho imparato a non credere ai nobili fini.”
“Troppo tempo ho vissuto immerso nella mia malinconica solitudine e un volto come il tuo è arte per il mio spirito, la tua voce è dolce musica che m’allieta e mi fa sospirare, la tua sola presenza nella mia dimora sarebbe raggio di splendente, sempiterno astro del mattino.”
“Verrò con te allora.” Disse Sibilla sorridente e maliziosa, dentro se vi era un tripudio di sensazioni dirompenti e impetuose come lo scorrere d’una fonte di delizie, le parole di quell’uomo erano così nobili, così degne d’un poeta, la sua spada aveva pareggiato con quella di Vorcle, cos’era costui se non la perfezione?
“Ma dimmi, qual è il tuo nome cavaliere?”
“Scarlatto mi chiamano i boscaioli oh mia signora.”
Cavalcarono dolcemente per circa venti minuti e giunsero alla casa di Scarlatto, Sibilla si reggeva a lui incantata dalla sua fermezza a cavallo, stettero in silenzio, ciascuno rapito da pensieri di cui l’altro ignorava la matrice.
La casa era precaria, una capanna di tronchi con il tetto di paglia, ma il paesaggio in cui era immersa era sconvolgente, fitti alberi sorgevano maestosi intorno e un limpido ruscello scorreva dolce alla sinistra della casa.
“Questa è la mia umile capanna mia bella Sibilla.” Disse Scarlatto facendole strada.
L’interno era povero ma accogliente e l’unico letto di paglia fu presto da Sibilla occupato.
La ragazza s’abbandonò ad un sonno profondo, erano accadute tante disgrazie, ma finalmente si sentiva al sicuro, si addormentò con un leggero sorriso sulle labbra mentre cupo Scarlatto vegliava il suo sonno contemplando l’innocenza di quella immacolata bellezza.
Il cuore dell’uomo ardeva, l’amore lo logorava dall’attimo stesso in l’aveva scorta per la prima volta durante la sua fuga, doveva affondare la spada nel cuore di quella donna prima che si fosse impiccato dal dolore, egli non poteva amare.
Una strana luce brillò dagli occhi di Scarlatto al di sotto dell’elmo rosso sangue, era una lacrima.
*
Così trascorsero molti mesi, i due vivevano serenamente e Sibilla pareva aver affievolito un po’ delle sue trascorse tragedie, anche se di notte a volte madida si destava di soprassalto dopo aver sognato l’impetuoso Vorcle cavalcare nella tempesta simile ad un demonio per giungere a portarla via. Molte volte Sibilla aveva fantasticato sul volto di Scarlatto, ma mai egli si era fatto scorgere. C’era qualcosa di profondamente poetico in questo, era come se il cavaliere avesse paura d’una ignota forza. A volte i loro corpi erano terribilmente vicini, come flussi magnetici i loro desideri si attraevano, ma sempre vi era la corazza del cavaliere a frapporsi fra loro, e allora lui scappava e cavalcava per ore da solo lasciandola immersa in tristi pensieri.
Un giorno, destatasi di buon ora Sibilla trovò Scarlatto già sveglio.
“Buon giorno lady Sibilla, spero che il modesto letto sia stato degno del vostro sonno.”
“Il letto era perfetto, non so come ringraziarvi. Ma questa mattina al mio risveglio un cupo pensiero mi ha assalita, siete sicuro che Vorcle non verrà in questa valle?”
“Vorcle non può arrivare fin qui, gli è proibito, non mi chieda il perché madamigella.”
L’uno di fronte all’altra i due si sfiorarono lievemente le mani, la piccola Sibilla guardava dal basso, con venerazione il grosso cavaliere, Scarlatto respirava profondamente, travolto da emozioni impetuose.
Restarono lungamente in uno stato di reciproca contemplazione, fu un tuono improvviso a destarli dal sogno inebriante, seguitò una pioggerella che presto mutò in temporale.
Si rifugiarono così velocemente nella capanna, anche se Scarlatto avrebbe preferito congelare il tempo in quell’istante divino.
Sibilla era avvolta da una bianca veste ora fradicia, era stupenda con il pallido volto contornato dal nerissimo crine gocciolante, ci fu un momento di silenzioso imbarazzo, fino a che ella non scoppiò in una briosa risata.
Scarlatto restò mesto, le si avvicinò lentamente e le posò un dito alle labbra come per farla tacere, dolcemente, con la delicatezza d’una piuma di cigno che si posa sul bianco ventre d’una vergine.
“Un fuoco violento e devastante arde dentro me Sibilla, io ti amo e ti venero come una dea splendente che illumina la tenebra infinita del mio cuore fin ad ora addormentato, fino a quando tu resterai qui io verserò ogni notte lacrime di dolore infausto.”
“Parli come chi ha già ricevuto un fatale verdetto cavaliere, ma anch’io sentii qualcosa sin dal principio, anch’io vorrei perdermi adesso tra le tue braccia ma sono frenata da questa tua paura, cosa ti affligge nobile uomo? Cosa ti impedisce di mostrare il tuo volto? Anch’io bramo le tue labbra.”
Scarlatto si allontanò da lei impaurito, dopo un luttuoso silenzio disse con tono greve e cupo:
“Non posso mostrarti il mio volto, scapperesti da me impaurita, non posso amarti, la tua bellezza non si addice ad un abominio.”
“Non credo a tutto questo tuo terrore, il tuo animo è troppo nobile e bello e non si può non amarlo, se tu ami dunque me come io ti sto amando, ebbene non vedrò il tuo volto, il nostro sarà un platonico amore, mai ci sfioreremo, il nostro amore sarà fatto di nobili gesti e dolci parole.”
“Come tu vuoi Sibilla, come tu vuoi!” Disse Scarlatto tristemente e le prese delicatamente la mano.
Ancora più velocemente passarono i giorni dopo che entrambi confessarono il loro amore che di giorno in giorno diveniva più forte, nonostante la loro carne non si sfiorasse mai.
Passeggiavano al mattino lungo i ruscelli nel bosco, coglievano fiori e si scambiavano dolci parole d’amore, ma vi era sempre qualcosa di mesto e fatale negli atteggiamenti di Scarlatto, qualcosa di cupo e inesorabile.
Di notte Sibilla era a volte assalita da strane visioni, vedeva in sogno un abominio storpio e gobbo tendergli la mano, ma era troppo ripugnante perché potesse toccarlo, si svegliava di colpo e Scarlatto non c’era, fuori dalla finestra occhi rossi la guardavano colmi di lacrime.
Al mattino parlava di quei sogni al suo amato, ma Scarlatto sembrava incupirsi a quelle parole e cambiava discorso, lo stesso accadeva quando lei gli chiedeva del suo passato.
L’uomo che Sibilla amava non era altri che uno sconosciuto, una figura oscura e malinconica, ma il loro amore era troppo grande e non poteva spezzarsi con tanta semplicità, anche se di tanto in tanto la ragazza ricordava Blanck e si sentiva sacrilega per non averne rispettato degnamente la memoria commemorandone il lutto, si era completamente dimenticata di lui, massacrato sull’altare, e ora si rifugiava tra le braccia d’un uomo mascherato che rifiutava di rivelarle il suo volto.
Ma a chetare il suo senso di colpa vi era la tangibile verità, Scarlatto l’aveva salvata da una misera sorte, Vorcle e le sue barbarie erano spariti dalla sua mente grazie a lui e se non fosse giunto in quella notte, lei adesso vagherebbe in una valle di ombre e umiliazione.
Eppure Vorcle la toccava, pur non vivendo l’idillio che ora erano i suoi giorni di poesia, ella era la sua preda ogni notte e nonostante l’atrocità di quelle violenze Sibilla era attratta dal brutale piacere che provava schiava delle rozze mani del cannibale.
A volte quando era presa dall’estasi del desiderio pensava con colpa lasciva che avrebbe ripetuto quella esperienza proibita, avrebbe dato qualunque cosa, accesa da una voluttuosa fiamma al ventre, affinché Vorcle apparisse in sella al suo destriero a liberarla da quel fuoco, offendeva Scarlatto in preda a spasmi carnali e irrefrenabili, pensava fosse un megalomane fanatico.
Ma una volta placati quegli attimi di febbrile delirio mediante le sue dita affusolate si sentiva sporca, si chiedeva con vergogna e orrore come aveva fatto a invocare l’arrivo di colui che aveva sterminato i suoi cari e abusato di lei difendendosi dietro uno scudo che lui osava chiamare amore.
Così in lacrime correva verso Scarlatto, lo stringeva forte, affondando il volto delicato nel suo petto ferrato gli confessava per la millesima volta il suo amore.
Immobile Scarlatto la stringeva a sé, irrorandole i nerissimi capelli di bollenti lacrime a sua volta, simbolo dell’estremo sacrificio e del dolore eterno.
“Percepisco il tuo dolore mia amata, tu vorresti stringere a te carne calda piuttosto che freddo acciaio, sacrifichi la tua bellezza rimasta inviolata dalle mie mani, ma credimi, è il mio sacrificio che ti tiene a me, se non fosse così scapperesti impaurita dal tuo Scarlatto.”
“Dimmi che verranno giorni più felici! Io ti amo mio oscuro cavaliere, dimmi solo che verranno giorni più gai!”
E Scarlatto non poteva far altro che annuire, anche se sapeva che nulla sarebbe mutato, che il dolore era l’archetipo della sua esistenza e lo stava marchiando a fuoco anche sulle carni superbe di quella fanciulla, così la stringeva ancora più forte, e restavano così per ore.
Quale ignobile e malvagia entità aveva unito quelle due creature in quella tragedia?
CONTINUA.......
Necromania e puro amore per decadenza e violenza, poesia oscura, lirismo licantropico, monumentali astrattismi sanguinari, danza di catene e rasoi al chiaro di luna, letteratura notturna, solinga, antintellettuale. Questo è il manifesto del porto dei misfatti, e i viandanti che vi entreranno sentiranno gelidi moncherini carezzare il loro volto, o sinuose sirene, il cui bacio sa di prostituzione e antichità.
giovedì 1 dicembre 2011
La tragedia sanguinaria (parte seconda) Un romanzo di Davide Giannicolo
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